Oggi è la domenica della Trinità, mistero di amore che sta nel cuore stesso della fede cristiana. Lo ripetiamo spesso automaticamente – ma è sempre efficace- nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, comunione di amore pieno, unica sostanza in tre persone. È allora la domenica della comunione, ce ci unisce al Padre, il nostro Padre, al Figlio, che ci rende fratelli e che ci mostra il volto del Padre e ci insegna ad amarlo, ad amarci, ad amare, cioè ad entrare nella loro comunione di amore; e allo Spirito Santo, che scende nell’intimo del nostro cuore, che rende nuovo ciò che è vecchio, che trasforma la faccia della terra, che permette a persone come noi, limitate e misere, di diventare una cosa sola tra loro perché piene di Cristo. Quanto è vero che non siamo fatti per vivere soli, per chiuderci nell’individualismo che ci fa contrapporre l’amore per noi stessi a quello per gli altri! Dio è unità di amore e lo comprendiamo solo amandolo, lo “conosciamo” sentendo la sua presenza nella miseria della nostra vita. Capiamo chi siamo solo in relazione con gli altri.
E capiamo anche Dio solo in relazione con Lui, personale e libera, andando nel profondo della nostra vita e lasciandoci riempire di Lui. È vero che “solo se noi siamo, io sono” ed è vero per l’unità che ci unisce a Dio e, quindi, tra noi. Papa Francesco, tempo addietro, spiegò come nel Padre Nostro non c’è l’io, non c’è nessun individualismo nella preghiera: c’è solo il Tu e poi il noi. E scoprire il tu, che è Dio, ci aiuta a sentirci parte del noi e a chiedere per me e per il noi, insieme. “Nella preghiera cristiana, nessuno chiede il pane per sé: lo supplica per tutti i poveri del mondo. Non c’è spazio per l’individualismo nel dialogo con Dio”, perché solo così l’io capisce chi è: in relazione. Noi apparteniamo ad una generazione che ha accentuato la convinzione che l’identità è quando siamo autonomi, che ci fa nascondere la fragilità e la debolezza che ne fanno parte, che sembrano non esistere o ne siano la negazione. Viviamo segnati da unindividualismo sfrenato che ci fa credere di poter essere noi la regola per noi stessi, tanto che cancelliamo il valore del legame umano e dell’interdipendenza. Diamo un grande valore all’indipendenza e all’autosufficienza a discapito delle connessioni e della reciprocità con gli altri.
Finiamo così per cercare l’altro solo se ci conviene, per utilitarismo, per prendere, possedere, affermarci. Tanto che l’altro diventa così un esterno che resta esterno, con il quale interagiamo ma che non amiamo, e dal quale ci manteniamo essenzialmente distanti, coltivando la convinzione che, anzi, dobbiamo salvarci da soli, diffidenti come siamo dell’amore. Quanto dobbiamo imparare ad amare, curando le nostre relazioni così sciape di amore, diffidenti, solo difensive! Dobbiamo iniziare a curarle e a permetterle, crescendo nella benevolenza e nella gentilezza. La prima ci fa vedere il bene nascosto in ognuno e la seconda regala attenzione riguardo a tutti, mette tutti in condizione di aprirsi e sentirsi amati, stimati. Amati, insomma, per quello che sono non per quello che hanno o per la loro apparenza o forza. «Dobbiamo vivere da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri». «Una persona è una persona attraverso le altre persone», «io sono perché noi siamo» (FT 96).
Viviamo ogni relazione come un cammino di amicizia, avendo cura dell’altro, attenti al bene che l’altro ha da donarmi e a quanto anch’io posso offrire a lui, con l’impegno di operare per la nostra umanità e farla diventare «cantiere di fraternità». È possibile a tutti e tutti ne sono coinvolti. È la comunione, la comunità. La Chiesa è comunità. Abbiamo bisogno gli uni degli altri, l’autosufficienza è in realtà una condanna, perché abbiamo bisogno dell’Altro a cominciare dal primo altro che è Dio. Quando l’identità è l’autonomia, ci esercitiamo a fare da soli più che a mettere quello che siamo per il prossimo, a prendere più che a donare e, anzi, sentiamo questo come alienazione, annullamento. Ognuno, invece, è pienamente se stesso solo quando appartiene a Dio, perché essere suoi è garanzia di libertà, perché solo Lui ci ama per quello che siamo e ci affranca da ogni dipendenza e idolatria. Amore e libertà, infatti, sono intimamente uniti e solo se siamo liberi possiamo amare.
Liberi anche dai limiti della nostra fragilità, ma non perché li ignoriamo, pensandoci onnipotenti e dilatando il nostro io. Solo insieme troviamo l’amore, che è la domanda più personale che portiamo dentro di noi. Non nascondiamola, non ignoriamola nell’altro ed impariamo ad amare ascoltando e lasciandoci portare dal Suo Spirito di amore. Come disse un missionario, e lo riprendeva sovente mons. Bettazzi, impariamo l’aritmetica di Dio: uno più uno più uno è tre, quelle tre persone che si pensano l’una per l’altra, unità di amore infinito. Ma uno per uno e per uno è sempre uno, come avviene quando ci pensiamo per gli altri. “Con il tuo unico Figlio e con lo Spirito Santo sei un solo Dio, un solo Signore, non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza”.
Oggi, allora, è questa festa di comunione che ci unisce a Dio e tra di noi. Possiamo vivere da individualisti, pensarci da soli, ridurre Dio a prodotto per ottenere benessere personale ma senza l’amore per Lui e per il prossimo? C’è tanta solitudine! Possiamo pensarci in una comunità di persone concrete, prendendo su di noi il legame di amore. Noi non abbiamo ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma uno Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!».
Non siamo degli ingranaggi di un meccanismo incomprensibile che ci usa, degli schiavi segnati dalla paura, ma dei figli ai quali è chiesto di ricordarci sempre del Padre, di lasciarci abbracciare da Lui, di abbandonarsi al suo amore, di raccontare con la nostra vita e con le nostre parole l’esperienza di amore con Dio, di essere rivestiti dal suo perdono per una festa non meritata del tutto ma che è la nostra solo nell’abbandono all’amore. Non siamo soli. Non viviamo da soli e non lasciamoci ingannare dall’individualismo, che rende l’altro un pericolo e non un prossimo da scoprire e da amare.
Non sciupiamo il dono di essere comunità, anzitutto aiutandoci ad ascoltare la Sua Parola, farci generare a figli amandoci da fratelli. Nessuno è solo. “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. E se c’è Lui ci sono i nostri fratelli e sorelle, la comunione che è mia e nostra.
