Ci ritroviamo nella stanza della Pasqua, intorno alla sua tavola. Ogni volta che la Chiesa, la comunità, si ritrova intorno al suo altare, (mensa che include sempre il leggio da dove si proclama la Parola di Dio) siamo in quella stanza di piena comunione, nella quale lo scambio tra divino e umano è pieno: il dono pieno di sé, presenza nella provvisorietà drammatica della nostra vita. Siamo e diventiamo intorno a Lui la sua famiglia, non per i nostri meriti ma solo per il suo amore, che è grazia, perdono, misericordia. È per noi.
È la nostra casa ma guai a farne possesso o diritto: la rovineremmo, come avviene spesso nei nostri amori. È amore, solo amore, e chiede solo amore. Non siamo qui, nella sua casa, per diritto, eredità, per qualche qualità particolare, addirittura per una superiorità come immagina il nostro orgoglio, ma solo così come siamo, peccatori amati. Facciamo sempre fatica a capire, tanto che Gesù lo ricorda a Pietro che risponde con sicurezza. Sappiamo come i discepoli si scandalizzano, continuano ad appassionarsi nella discussione su chi tra loro fosse il più grande, ignorano Gesù che parla a loro della sua sofferenza e che consegna il suo corpo.
Sono, e siamo, pronti a reagire al male con il male tanto da portare con sé la spada. Senz’amore per Lui e per i suoi fratelli più piccoli, per il prossimo, vince in noi l’amore per noi stessi e così scappiamo tutti lasciandolo solo. La speranza non delude perché Gesù ama sino alla fine e, deluso, non delude, affronta le avversità, il tradimento, l’opportunismo, la mediocrità, il folle amore per se stessi che rendono arroganti e fragilissimi. Cristo ha attraversato le avversità senza smettere di amare, anzi, perdonando. Il Concilio afferma che «Partecipando realmente del corpo del Signore nella frazione del pane eucaristico, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi: “Perché c’è un solo pane, noi tutti non formiamo che un solo corpo, partecipando noi tutti di uno stesso pane” (cfr. 1 Cor 10,17). Così noi tutti diventiamo membri di quel corpo (cfr. 1 Cor 12,27), e siamo membri gli uni degli altri” (Rm 12,5)» (LG7).
Il pane è tutto Gesù, il suo amore. È nutrimento umile, mio e nostro, uguale per tutti e per tutti speciale, intimo e molto sociale. È corpo, non un’entità informe, quindi poco impegnativa per chi la dona e per chi la riceve. È corpo, e la venerazione che lo ha circondato, e che deve circondare l’Eucarestia, aiuta a comprendere questa Presenza e a venerarla nel rispetto e nell’attenzione, anche esteriore, verso ciò che abbiamo di più prezioso.
Questo corpo spirituale ci aiuta a vedere spiritualmente, riconoscendo Gesù che oggi realizza la sua alleanza nuova ed eterna, la speranza che non delude perché nessuno ci può separare dal suo amore. Non capiamo noi stessi, l’altro e il mondo senza questo sguardo spirituale, che scruta la vita stessa, penetra il profondo della storia perché sguardo di amore. (DN 64). E solo l’amore vede bene, si accorge, si rende conto per davvero. Si vede bene solo con il cuore. Diceva Papa Benedetto XVI: «Dall’orizzonte infinito del suo amore, Dio è voluto entrare nei limiti della storia e della condizione umana, ha preso un corpo e un cuore; così che noi possiamo contemplare e incontrare l’infinito nel finito, il Mistero invisibile e ineffabile nel Cuore umano di Gesù, il Nazareno».
Si può vivere senza? Cosa capiamo della vita senza cuore o riducendolo a sensazione, a fibrillazioni continue? Solo il cuore vede bene, capisce l’essenziale, ci libera dal restare prigionieri dell’istinto, di quell’orgoglio che così poco combattiamo perché pensiamo che coincida con il nostro io. È il cuore il nostro io più profondo! Ecco, pieni del suo cuore troviamo il nostro. “In questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore”. (DN 9)
Gesù ci insegna a sentire il cuore del prossimo, a fare nostre le sue sofferenze, speranze, gioie e dolori, a farlo “in una società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede”. Con il cuore ogni incontro diventa pieno di significato, generativo di vita perché impariamo a vivere e a pensarci in comunione con il prossimo! Senza finiamo per essere pieni di passioni inutili, che ingannano il cuore, siamo vicini ma non ci conosciamo, restiamo distanti, così facilmente cresce l’infido seme dell’inimicizia. “Il nostro cuore coesiste con gli altri cuori che lo aiutano ad essere un tu”. (DN 14)
Si diventa se stessi solo quando si acquista la capacità di riconoscere l’altro. Ecco perché l’eucarestia è il cuore della nostra vita cristiana, di ogni comunità e ci è chiesto di viverla con il cuore. Ed è il senso di pensarci insieme con Gesù e tra di noi. Qui siamo quello che saremo: una cosa sola. L’eucarestia fonda la comunità e ci chiede di conservare questo legame di amore nella vita ordinaria, mettendo in pratica il suo comandamento dell’amore. Per questo il gesto della lavanda dei piedi è parte di questa eucarestia. Come sappiamo, l’evangelista Giovanni non riporta la cena e Gesù che dona se stesso, ma solo il gesto di lavare i piedi. È la sua eucarestia. Ci alziamo da tavola per iniziare il servizio. La lavanda dei piedi è sempre lo stesso amore fino alla fine, suo che diventa nostro, nostro che diventa suo. La “fine” indica pienezza. “Sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani” mostra chi è davvero più grande, come aveva sempre detto per liberare i suoi discepoli dalla prigione ossessiva dei confronti, della prestazione, dell’esibizione di sé. Il suo gesto è molto concreto, non è simbolico. Semplicemente lava i piedi. L’amore non è una buona intenzione intimistica, virtuale, e quindi sempre perfetta e irraggiungibile, ma è una scelta molto umana, che si misura con la nostra parzialità e miseria fisica. L’altro è quel fratello, non un’idea! Lui lava i piedi a discepoli dei quali conosce le contraddizioni.
Risponde così al tradimento che Giuda porta nel cuore e che tutti i discepoli vissero scappando. Gesù non condiziona il servizio a qualche condizione. Lavatevi i piedi l’un l’altro. Non giudica: serve. Ci insegna ad avere fame del suo pane e ad abbassarci chiedendoci di amare come lui. Il pane ricevuto diventa pane di amore donato nel servizio. Non dice alcuni lavino i piedi: tutti, l’un l’altro, che è la vera reciprocità e complementarietà della Chiesa. L’amore non esclude nessuno e tutti hanno bisogno di essere amati, e nessuno è esente dal farlo. Non aspetta che glielo chiedano: il servizio anticipa la richiesta, per certi versi la suscita, si mette a disposizione e mette l’altro in condizioni di sentirsi amato. Gesù lava i piedi perché non ci siano scuse: se lo fa Lui possiamo e dobbiamo farlo tutti e a tutti, ad iniziare dai fratelli più piccoli di Gesù, i poveri, che non sono quindi estranei, o coloro da cui tenersi lontano o al massimo da aiutare un poco, ma sono i fratelli e le sorelle da amare. Nessuno è esente. “Fate come io ho fatto a voi”.
Significa anche che lo capiamo solo facendolo, misurandoci con la concretezza del fratello, con l’abbassarci, con l’umiltà del gesto e della cura che questo richiede. Fatelo non come vi pare, ma come ho fatto io, amando, che significa anche con tenerezza. È l’esempio per capire come fare e come trovare una misura nell’incertezza della nostra vita, nel relativismo dell’io. Troviamo cuore, infatti, solo relativizzandoci a Gesù, al suo amore, al prossimo. La sua dignità non è l’affermazione di sé, la propria considerazione, il potere, la forza che umilia e si impone, la forma che nasconde l’ipocrisia, le abitudini. La sua dignità di Maestro è servire l’altro, renderlo degno perché amato, amarlo e trattarlo con dignità anche quando non lo merita. Ecco la differenza del Vangelo con i prodotti benessere di una generazione che piega tutto all’idolatria dell’io: l’amore ricevuto diventa amore per il prossimo.
Solo così è e sarà nostro. “Dio è il fondamento della speranza, non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Il suo Regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo Regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto”. Ecco il cuore che ci fa sentire e capire la vera grandezza di ogni persona, la bellezza della nostra vita, la gioia di una comunione di amore.
