Siamo tutti davanti alla croce di Gesù, del Figlio di Dio che non ha salvato se stesso, mistero di amore che ci aiuta a credere nell’amore e a scegliere di amare. La croce – non un discorso, un’interpretazione, una lezione – ci aiuta a sentire amata e abbracciata la nostra personale croce e, insieme, quella del nostro prossimo. Ogni croce ci interroga, perché in essa riconosciamo il volto umano di Cristo e del nostro fratello. Fermarci davanti alla croce ci fa alzare lo sguardo verso la nostra salvezza, ci aiuta a non voltarci dall’altra parte davanti alla sofferenza, a non guardare in maniera spietata come possono fare l’indifferenza o il giudizio. Non possiamo farne un simbolo spiritualizzandola, svuotandola della sua concreta umanità. L’uomo dei dolori è nascosto in ogni persona e Gesù “si è caricato delle nostre sofferenze”, “è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità”.
Gesù sperimenta tutte le delusioni: dei suoi amici per i quali dava la vita, il tradimento della fiducia, il travisamento delle intenzioni, il calcolo e le convenienze personali, la loro attrazione verso il potere, l’uso della ricchezza. La delusione della croce: se sei Re fai vedere chi sei! La speranza è Gesù perché adesso sappiamo che Dio non ci abbandonerà mai. Affronta le sue e le nostre delusioni, la più grande quando tutto sembra definitivamente perduto, perché la speranza non deluda. Davanti al suo amore non ci chiediamo perché Dio lo ha abbandonato, perché è il Padre che lo ha mandato per vincere il male. Chiediamoci dov’è finita l’umanità, in un mondo e in persone segnati dalla violenza, che coltivano la pericolosa illusione di combattere il male con le sue stesse armi. Dov’è finito il cuore se ci abituiamo all’ingiustizia per cui la vita non vale niente? Dove siamo finiti se facciamo ricrescere l’odio, l’ignoranza, il pensarsi contro gli altri? Dove sta la folla, manipolata, e che presuntuosamente conta di giudicare? Anche i discepoli sono travolti dalla delusione, scappano, forse si sentono in diritto di lamentarsi pensando che non dovevano seguire un Maestro sbagliato o dare fiducia a un Re fallito. La delusione porta a indurire il loro cuore, a non credere più a niente, prigionieri dell’amarezza e segnati dalle ferite. Sperimentiamo anche la delusione verso noi stessi, l’umiliazione del nostro orgoglio, come Pietro che scopre la fragilità, la contraddizione, e il bisogno che ha di perdono e cambiamento. Quanta delusione di fronte al male della guerra, dell’odio, della sopraffazione che distruggono la vita di bambini e colpisce inermi! Che delusione lo scherno volgare dei ricchi e dei forti che non hanno alcun interesse verso il povero Lazzaro che pure è sulla soglia della loro casa! La speranza di Cristo non delude perché nessuno ci può separare dal suo amore. “Ecco perché questa speranza non cede nelle difficoltà: essa si fonda sulla fede ed è nutrita dalla carità, e così permette di andare avanti nella vita. In realtà solo “attraverso il buio si scorge una luce”. Con Gesù l’amore “non è un guscio vuoto, non è puro sentimento, non è un’evasione spirituale. È amore, che ci ama fino alla fine aprendo le braccia sulla croce” (DN 102). E non dimentichiamo che «chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20). E in realtà avviene anche il contrario: chi ama il Signore che non vede, ma che vede con il cuore e la fede, impara a riconoscere e ad amare il fratello che vede. “Se contempliamo il dono di sé che Cristo ha fatto per tutti, diventa inevitabile chiederci perché non siamo capaci di dare la vita per gli altri: «In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16)” (DN 171).
Ecco il giudizio della croce. Io amo. E tu? Dove sei finito? Il suo è un giudizio per la salvezza: guarda il cuore, È sull’amore e viene dall’amore che ci raggiunge e ci mette di fronte a noi stessi, svela i sentimenti del nostro cuore. Il giudizio degli uomini è per la condanna, è impietoso, perché è sulla prestazione, sul possesso e l’esibizione, sul potere e facilmente diventa una condanna. Ed è un giudizio che costringe a nascondere la fragilità. Abbiamo tanto bisogno del giudizio della croce perché solo nell’amore capiamo chi siamo. “Nell’epoca moderna il pensiero del Giudizio finale sbiadisce: la fede cristiana viene individualizzata ed è orientata soprattutto verso la salvezza personale dell’anima”. Il giudizio non è un’immagine terrificante, ma un amore di cui abbiamo bisogno, che rivela il nostro e ci giudica amandoci. Ci aiuta a metterci davanti alle nostre responsabilità, senza ipocrisie, giustificazioni, liberi dalle deformazioni del nostro io. Ci aiuta a capire il nostro peccato che non è certo solo quello che provo io. Non basta cercare di non fare il male, perché il peccato è non avere amato. Il peccato è il male fatto, il dolore causato al prossimo, i semi di violenza, di odio, di insofferenza che inquinano le relazioni e producono sempre altra violenza. Il giudizio ci mette di fronte alle nostre responsabilità e lo fa per aiutarci a cambiare, per rendere nuovo ciò che è inesorabilmente vecchio. Il giudizio del Signore è di un Padre che ci fa capire – e quanto dobbiamo farlo purificando il nostro cuore – la sua sofferenza per noi. Vuole poterci abbracciare perché non aspetta altro, dobbiamo liberarci da quello che ci tiene lontani dal suo amore, come la sufficienza e l’orgoglio, la paura o una distorta idea, per vivere una pienezza di comunione. Un amore così grande ci fa soffrire e capire le nostre misure avare, quando ci siamo approfittati della sua fiducia, quando l’abbiamo tradita per un po’ di benessere, quando ci siamo lasciati sedurre dal banale vivere per sestessi. Un amore pieno svela le possibilità sciupate e, quindi, tolte al prossimo, il tempo perduto, il ricorso alla violenza e al potere. La speranza non delude: niente ci può separare da un amore così. Disse Papa Benedetto XVI: “Questo aspetto del rinnovamento, della restituzione del nostro essere dopo tante cose sbagliate, dopo tanti peccati, è la grande promessa, il grande dono che la Chiesa offre. E che, per esempio, la psicoterapia non può offrire. La psicoterapia oggi è così diffusa e anche necessaria di fronte a tante psichi distrutte o gravemente ferite. Ma le possibilità della psicoterapia sono molto limitate: può solo cercare un po’ di riequilibrare un’anima squilibrata. Ma non può dare un vero rinnovamento, un superamento di queste gravi malattie dell’anima. E perciò rimane sempre provvisoria e mai definitiva. Possiamo essere risanati. Le anime che sono ferite e malate, come è l’esperienza di tutti, hanno bisogno non solo di consigli ma di un vero rinnovamento, che può venire solo dal potere di Dio, dal potere dell’Amore crocifisso (7.2.2008 Incontro con i Parroci e il Clero della Diocesi di Roma)”. Ecco la salvezza della croce: guardiamo il crocifisso, cerchiamolo per capire chi siamo, o quando siamo nella prova, quando i conti non tornano, quando le nostre famiglie si trovano ad affrontare il dolore, la tribolazione. Il crocifisso ci fa trovare il coraggio per continuare a camminare, la consolazione di essere suoi. Papa Benedetto XVI scrisse: “Guardando indietro abbiamo motivi di spavento e paura, ma siamo comunque con l’animo lieto perché confidiamo fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato (Paracleto)”.
Quando capiamo il nostro peccato iniziamo ad essere liberi, la morte è sconfitta, vediamo il male e lo combattiamo dentro di noi per vincerlo nel mondo. La speranza di Cristo non delude e dona speranza. Dentro il buio della croce vediamo la luce della resurrezione, nel seme caduto in terra il frutto dell’amore che non finisce.