Fonte Cei
Ringrazio di cuore il Metropolita d’Italia ed Esarca dell’Europa Meridionale, Sua Eminenza Reverendissima Policarpo, per questa memoria che ci unisce nel profondo e che ci fa vivere e rivivere il sessantesimo anniversario dell’abolizione delle scomuniche. Liberarsi di ciò che divide e abbracciarsi è la volontà di Dio.
Ringrazio i Vescovi ausiliari della Sacra Arcidiocesi Ortodossa in Italia.
Ringrazio tutte le Autorità e i rappresentanti ufficiali della società civile che sono con noi oggi e rendono ancora più preziosa questa nostra celebrazione con la loro presenza.
Il 7 dicembre 1965 san Paolo VI e il patriarca Atenagora firmarono congiuntamente l’estinzione delle scomuniche. Contemporaneamente, nella sessione solenne del Concilio Ecumenico Vaticano II e nella cattedrale del Fanar, a Istanbul, venne letta la Dichiarazione comune «per togliere dalla memoria e nel mezzo della Chiesa le sentenze di scomunica dell’anno 1054».
Una memoria che ci riporta ai giorni nostri: il viaggio di papa Leone XIV e l’incontro con il patriarca Bartolomeo I, le parole della Dichiarazione comune che ci hanno consegnato, confermano questo nostro incontro. Non è un caso che papa Leone abbia scelto di compiere il suo primo viaggio apostolico nella terra che è legata inscindibilmente alle origini del cristianesimo e oggi richiama i figli di Abramo e l’umanità intera a una fraternità che riconosca e apprezzi le differenze.
Voglio ricordare insieme a voi e fare risuonare nei nostri cuori le parole del patriarca Atenagora sulla cancellazione delle scomuniche: «Il passato vive in noi, per questo dovevamo cancellare il brutto passato, o piuttosto permettere a Dio di cancellarlo, perché provocava l’odio in noi. Avevamo finito con il pensare che non appartenevamo più alla stessa Chiesa anzi alla stessa religione. In Occidente, si era arrivati a immaginare che gli ortodossi non fossero cristiani! Ecco perché bisognava purificare dal brutto passato la memoria della Chiesa e spalancare il futuro ai disegni di Dio». E ancora: «Per quanto riguarda la revoca degli anatemi, solo dopo ho preso coscienza di ciò che implicava. […] La revoca degli anatemi ha costituito l’atto esemplare di un nuovo approccio all’unione. In primo luogo, esso risulta da un dialogo costantemente condotto “su un piano di eguaglianza” ed esprime già l’esperienza della fraternità».
Qual era il clima? Lo si percepisce dalla conversazione riportata da alcuni osservatori del primo colloquio tra san Paolo VI e il patriarca Atenagora, avvenuto alle 21.30 del 5 gennaio 1964, durante il pellegrinaggio di Montini in Terra Santa (4-6 gennaio 1964). Il Patriarca rivela al Pontefice di essere «profondamente commosso»; afferma: «Mi vengono le lacrime agli occhi». E allora il Vescovo di Roma gli dice: «Siccome questo è un vero momento di Dio, dobbiamo viverlo con tutta l’intensità, tutta la rettitudine e tutto il desiderio»… «di andare avanti», interviene Antenagora. E Paolo VI aggiunge «di fare avanzare le vie di Dio». «Le parlo da fratello: sappia ch’io ho la stessa fiducia in Lei. La Provvidenza ci ha scelto per intenderci. Sono così ricolmo di impressioni che avrò bisogno di molto tempo per far emergere ed interpretare tutta la ricchezza di emozioni che ho nell’animo.
Voglio, tuttavia, approfittare di questo momento per assicurarla dell’assoluta lealtà con la quale tratterò sempre con Lei». Due anni dopo, nel 1967, Paolo VI commenta: «Le nostre Chiese hanno vissuto per secoli come sorelle, celebrando insieme i Concili Ecumenici che hanno difeso il deposito della fede contro ogni alterazione. Ora, dopo un lungo periodo di divisione e incomprensione reciproca, il Signore, malgrado le difficoltà che nel tempo passato sono sorte tra di noi, ci dà la possibilità di riscoprirci come Chiese sorelle. Nella luce di Cristo noi vediamo come sia urgente sormontare questi ostacoli per arrivare a condurre a pienezza e perfezione la comunione già così viva esistente tra di noi». È anche la nostra scelta e l’esperienza di unità. Il Pastore Ricca, di santa memoria, ha sottolineato che «non sappiamo più bene se siamo divisi o se siamo uniti, non sappiamo più bene quanto siamo divisi e quanto siamo uniti. Potremmo dire che siamo ancora a metà strada tra divisioni e unità: non siamo più veramente divisi, non siamo ancora veramente uniti. In questa situazione nella quale si trova tutta la cristianità, riceviamo una spinta: l’amore di Cristo che ci obbliga ad andare oltre, vuole darci il coraggio della riconciliazione».
Non c’è una via diretta che non passi attraverso Dio. Diventare altro, diventare nuovo. Questa nostra memoria ci aiuti a diventare nuovi per vivere la piena riconciliazione. Ha ragione il patriarca Bartolomeo I: «L’unità cristiana non è un lusso, ma l’ultima preghiera di nostro Signore Gesù Cristo e la condizione essenziale della missione della Chiesa».
Giovanni Paolo II nel 1979, Benedetto XVI nel 2006 e Francesco nel 2014: i viaggi apostolici compiuti nel tempo attestano che la Santa Sede non solo mantiene buone relazioni con la Repubblica di Turchia, ma desidera cooperare per costruire un mondo migliore con l’apporto di questo Paese, che costituisce un ponte tra Est e Ovest, tra Asia ed Europa, e un crocevia di culture e religioni. Tutti questi momenti storici ci rimandano a passaggi importanti, così come abbiamo potuto ascoltare anche prima dalla introduzione tenuta da due teologhe cristiane, una di tradizione ortodossa e l’altra di tradizione latina, che ringrazio perché hanno fatto una sintesi storico-teologica dei passi compiuti nell’arco temporale che va dalle scomuniche del 1054 al Vaticano II e dal Vaticano II ad oggi. Tutto questo, illuminato anche dalle recenti parole di papa Leone XIV e del patriarca Bartolomeo, permette di dire che in ascolto della volontà di nostro Signore Gesù Cristo, continuiamo a camminare con ferma determinazione sulla via del dialogo, nell’amore e nella verità (cfr Ef 4,15), verso l’auspicato ripristino della piena comunione tra le nostre Chiese sorelle.
Consapevoli che l’unità dei cristiani non è semplicemente risultato di sforzi umani, ma un dono che viene dall’alto, invitiamo tutti i membri delle nostre Chiese – clero, monaci, persone consacrate e fedeli laici – a cercare con fervore il compimento della preghiera che Gesù Cristo ha rivolto al Padre: «Perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda» (Gv 17,21).
