Nell'Oratorio delle Sorelle della Piccola Famiglia dell’Annunziata

Domenica della Parola a Monte Sole

L'omelia dell'arcivescovo Zuppi e l'intervento di sorella Agnese Dosseti

MONTE SOLE – Domenica scorsa, in occasione della Domenica della Parola, il cardinale Matteo Zuppi ha celebrato la Messa nell’Oratorio del Monastero delle Sorelle della Piccola Famiglia dell’Annunziata di Monte Sole.

Durante la celebrazione ha portato il suo intervento sorella Agnese Dossetti, della piccola Famiglia dell’Annunziata:

“Prima di tutto un grazie davvero grande all’Arcivescovo da parte di ognuno di noi: di Mariam, di Paolo e di tutta la comunità.Celebrare la domenica della Parola a Montesole è un grande dono non solo per noi, ma anche per questo luogo, che è simbolo della “Parola abbreviata”! Infatti, là dove vengono uccisi inermi e innocenti è davvero presente la croce dell’Innocente, di Gesù, che ci manifesta l’inconcepibile Amore di Dio per ogni uomo.

Oggi, dovremmo tutti rileggere la Lettera apostolica “Aperuit illis” con cui papa Francesco ha istituito, nel 2019, la Domenica della Parola, ma non ne abbiamo ora la possibilità! Vorrei però leggere alcune frasi di un piccolo testo del Papa, che credo faccia ricordare a tutti noi, che ne siamo stati testimoni, il modo normale e quotidiano con cui don Giuseppe prendeva in mano la Bibbia.

Scrive il papa nella presentazione della Bibbia dei giovani:«Avete tra le mani qualcosa di divino: un libro come fuoco, un libro nel quale Dio parla. Perciò ricordatevi: la Bibbia non è fatta per essere messa su uno scaffale, piuttosto è fatta per essere tenuta in mano, per essere letta spesso, ogni giorno, sia da soli sia in compagnia…» e a conclusione della sua brevissima presentazione scrive: «Voglio confidarvi come leggo la mia vecchia Bibbia: spesso la prendo, la leggo per un po’, poi la metto in disparte e mi lascio guardare dal Signore. Non sono io a guardare Lui, ma Lui guarda me: Dio è davvero lì, presente. Così mi lascio osservare da Lui e sento … nel più profondo ciò che il Signore mi dice. A volte non parla: e allora non sento niente, solo vuoto, vuoto, vuoto… Ma, paziente, rimango là e lo attendo così, leggendo e pregando…Talvolta, pregando, persino mi addormento, ma non fa niente: sono come un figlio vicino a suo padre, e questo è ciò che conta.Volete farmi felice? Leggete la Bibbia».

Quante volte don Giuseppe ci ha detto: «Lasciati guardare! E’ Lui che guarda te»! E quante volte con chi gli diceva di non sentire alcuna attrazione per quella lettura, rispondeva: «Sì, lo so… non senti niente, solo vuoto… Ma stai lì, leggi, rileggi, ricopia il testo, se puoi in lingue diverse…poi Lui arriva e ti apre la mente e il cuore! Forse non in quell’ora o in quel giorno o in quella settimana, ma abbi pazienza, perché nel rapporto con quella Parola c’è una persona, il Signore; Egli è fedele e arriva a consolarti e a darti le risposte che attendi». E quante volte i fratelli che gli erano più vicini, l’hanno visto addormentarsi in cappella con in grembo la Bibbia! e non solo negli anni in cui era anziano e malato, ma anche prima, perché la giornata era sempre lunga e piena!

Leggere e rileggere, tenere in mano il Vangelo, i Salmi, è ciò che tutti possiamo fare con semplicità e pazienza; non occorrono preparazione esegetica, conoscenza delle lingue sacre o capacità particolari. E’ questo che don Giuseppe desiderava con passione per la vita della Chiesa e di ogni cristiano.

Anche il frequente consiglio di papa Francesco di tenere in tasca o nella borsa un piccolo Vangelo per leggerne qualche frase, era lo stesso che dava don Giuseppe. In tanti, dentro e fuori la comunità, possiamo testimoniarlo, e forse anche dire che ci siamo sottratti a quel consiglio, per pigrizia o per una presa di distanza da quel “fuoco” che brucia le ferite infette della nostra fragile umanità.

In questo rapporto fiducioso, sempre più fedele e umile con la parola di Dio, credo che vi sia anche la radice di quella capacità, che è stata tante volte riconosciuta a don Giuseppe da credenti e non credenti, di leggere e interpretare le vicende storiche non solo e non tanto nel contingente ma nei loro sviluppi e nelle loro conseguenze spesso tragiche per i popoli oppressi ed emarginati.

Certo non si può prescindere dalla sua intelligenza, dal rigore della sua preparazione, dall’ esperienza che gli derivava dal rapporto con mondi e culture diverse, con situazioni e uomini di diversa formazione e ambienti, ma il “fuoco” che accendeva la sua intelligenza e il suo cuore era lì, nella Parola, in particolare nel Vangelo e nei Salmi.

Certo bisognerebbe dire tanto altro sul rapporto di don Giuseppe con la Sacra Scrittura, per esempio la convinzione che noi dobbiamo impegnarci anche nel conoscerla e nel capirla nella sua dimensione di parola umana legata quindi a vicende storiche, perché il Verbo di Dio si è fatto carne.

Ora però non si può certo parlare di questo. Quindi, in breve, faccio qualche osservazione sul magnifico Vangelo di questa Terza domenica del Tempo Ordinario scelta da papa Francesco per celebrare la Parola di Dio.

Dopo che Giovanni fu arrestato, dice S. Marco, Gesù andò nella Galilea proclamando il Vangelo di Dio, e diceva «il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

«Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino». E’ questo il Vangelo che Gesù annunzia.

Il tempo ha raggiunto la sua pienezza con l’incarnazione del Figlio di Dio, Gesù. L’uomo-Dio entra nella storia dell’umanità. Ora il tempo della storia si concentra tutto in tale evento che ha in sé il passato, il presente e il futuro.

Il Regno di Dio si è fatto vicino, è presente! Perciò annuncia Gesù: “Convertitevi e credete al Vangelo”!

Per avvertire la presenza del Regno, egli dice, occorre la conversione e la fede nel Vangelo.  Bisogna voltarsi, cambiare orientamento: ritornare a Dio mediante la fede nel Vangelo, la fede in questa «buona» Parola che annuncia la definitiva misericordia del Padre.

Gesù è questo Vangelo, è la Parola incarnata che inizia a camminare per le strade dell’umanità e chiama: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini. E subito lasciarono le reti e lo seguirono».

Questa Parola che chiama, udita e accolta, strappa e trasforma. Strappa Simone e Andrea dalla loro condizione di prima e li trasforma: Vi farò diventare pescatori di uomini! Avviene così anche nella seconda chiamata, quella di Giacomo e di Giovanni. Gesù li strappa dalla loro quotidianità, dal loro benessere (avevano infatti una barca, delle reti, dei garzoni) e li rende capaci di seguirlo senza sapere dove li condurrà, quale sarà il suo destino, il fallimento della sua vita terrena.

L’essenzialità del racconto evangelico della vocazione delle due coppie di fratelli mette in risalto la potenza della Parola di Gesù, quella capacità di cambiare l’uomo, di trasformarlo in una nuova creatura, sulla quale don Giuseppe ha fondato tutto il suo insegnamento e la sua stessa e nostra vita in comunità.

In una conversazione a Pordenone, due anni prima della sua morte, a conclusione quindi di un lungo cammino di sequela, disse: «La frequentazione abituale della Parola di Dio ci muta completamente come sensibilità, intuito, gusto, sapienza: perché ci dona continuamente, con una elargizione munifica e generosissima, quello che ci comanda di fare…. Una Parola che non solo dice ma crea…non solo dice e comanda ma libera e fa fare ciò che comanda nella libertà…Dunque una grande fede nella possibilità della Parola e dell’Eucarestia di trasformarci pian piano…di donarci una vita nuova, una coerenza che vince tutte le nostre debolezze e le nostre pigrizia.

E ancora: «Nella Parola del Signore c’è una potenza enorme, dirompente sempre nuova e sempre creatrice».

Ecco allora, i primi discepoli, Andrea, Simone, Giacomo e Giovanni, sono chiamati dalla Parola viva, da colui che, attraverso la sequela talvolta incerta e faticosa persino drammatica, riconosceranno come il Vivente, il Risorto, Colui che dona lo Spirito, come il Signore della storia. Gesù li condurrà a credere in quel mistero dell’amore di Dio che si rivela nella sua persona, nella sua vita, morte e risurrezione: Convertitevi e credete al Vangelo!

La sequela, oltre che prova di fede, sarà anche ascolto e obbedienza, e attiverà le potenze umane, di intelletto, di cuore…di ricerca dei discepoli di Gesù.

Don Giuseppe ci diceva: «La fede è condizione di un approccio amante e adorante con la Parola, che chiede a Dio: “cosa mi dici? Dio mi parla perché mi vuole parlare…L’ascolto è sempre intellettivo-affettivo. La comprensione implica sempre una componente affettiva, una risposta. Ma la fede stessa ci spinge ad ascoltare con tutte le risorse della nostra mente, del nostro intelletto del nostro spirito, la Parola che Dio ci rivolge…L’impegno con la Parola è quello di chi cerca, supplica, scongiura di capire e insiste a bussare sin che non gli viene aperto, pensando che l’apertura non sarà quella facile che deriva dal mettere mano su qualche grosso volume, ma viene invece dal dispensatore dei doni, dal Padre delle luci».

E a tutti diceva: «Dobbiamo porci di fronte alla Scrittura come di fronte a un mistero personale che coinvolge il mistero stesso della nostra persona. E’ una Persona che mi conosce, mentre io non la conosco o la conosco solo inizialmente e insufficientemente. E’ una Persona che mi ama già fin da prima della creazione del mondo, mentre io non amo abbastanza quel mistero che è in quella pagina. E’ una Persona che, pur guardandomi con sguardo dolcissimo, mi giudica nella mia realtà, mi grazia, mi salva…La Scrittura non è solo la pagina che contiene l’annuncio della salvezza, è la salvezza in atto, è il Salvatore che si fa presente al mio spirito e a tutta la mia realtà».

Così possiamo concludere con le parole del profeta Isaia:

«Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (55,10-11).

Qui l’omelia del cardinale arcivescovo

Foto di apertura di Roberto Montanari.

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