Nella Basilica di San Domenico si conserva il Crocifisso di Giunta Pisano del 1254. L’opera d’arte fu utilizzata per l’allestimento della consacrazione della chiesa ed è considerato stilisticamente un punto di svolta nella storia dell’arte occidentale.
Sull’onda della predicazione degli ordini mendicanti, l’Occidente abbandona l’iconografia del “Christus triumphans” per seguire quella del “Christus patiens”. A prima vista, la prima, quella del Cristo vivo con la testa eretta e gli occhi aperti, fin qui condivisa con l’Oriente, sembrerebbe avere uno stampo più prettamente liturgico, perché celebra il sacrificio di Cristo nella prospettiva della sua glorificazione eterna.
La seconda, quella che mostra il Cristo con il capo reclinato nella morte e accentua la sofferenza – anche con la caratteristica curvatura del corpo e un più forte realismo (pittoricismo) – sembra assumere un carattere più propriamente storico, con lo scopo di riportare i credenti alla memoria dei patimenti di Cristo.
Il Christus patiens di Giunta di Capitino, non aspira a fissarsi tanto in un fermo immagine storico, ma arricchisce la prospettiva liturgica e sacramentale. Non va dimenticato che la collocazione originaria del Crocifisso era il tramezzo, la grande barriera che separava il corpo della basilica dedicata alla numerosissima comunità dei frati, dallo spazio più ristretto in fondo all’edificio, riservato al popolo. Per i fedeli che non avevano accesso diretto all’altare, suppliva dunque proprio il Crocifisso di Giunta, che aspirava alla funzione di rendere spiritualmente “trasparente” la barriera che li separava. Attraverso l’icona i fedeli potevano vedere nello spirito ciò che non era possibile vedere fisicamente; anzi di più: il Crocifisso può mostrare apertamente ciò che, se visto fisicamente, non restituisce l’autentica verità di quanto si compie sull’altare. Esattamente come canta l’inno eucaristico di Tommaso d’Aquino: “praestet fides supplementum sensuum defectui” (la fede supplisca alla mancanza dei sensi).
Giunta inizia con l’amplificare gli scomparti che circondano il corpo del Crocifisso, e che verranno spesso utilizzati per inserirvi miniature di episodi della passione o immagini di santi: se ricordiamo che solo dopo il Concilio di Trento verrà la prescrizione che le tovaglie degli altari delle Chiese latine siano di lino bianco, si può cogliere come il ricco tessuto a motivi geometrici degli scomparti richiami dunque direttamente l’altare. Quasi a dire: se vedi fisicamente l’altare vedi un pane che non è pane e un vino che non è vino; se penetri con lo sguardo della fede vedi sull’altare il sacrificio del Figlio di Dio fatto uomo, reso presente nel rito sacramentale.
A conferma del fatto che la raffigurazione di Giunta non sia semplicemente “storica”, si può osservare che la croce è di un intenso e preziosissimo colore blu: nulla di più distante dalla verità storica. Come se dicesse: il sacrificio di Cristo è la “porta stretta” (Lc 13,22ss) che garantisce il passaggio al cielo, il passaggio alla risurrezione e alla vita.
I Crocifissi dell’Oriente mostrano il Crocifisso vivo e con gli occhi aperti e il cartiglio invece di “INRI” riporta “Questi è il re della gloria”: in questo modo aspirano a condurre il credente a celebrare il Cristo risorto che ha dato la vita per noi. Il Crocifisso domenicano celebra il sacrificio di Cristo, il dono totale della sua vita, che si rende qui e ora presente e disponibile per noi nel sacramento e che è la via stretta ma certa della risurrezione e della vita.