Una tavola che riunisce e che re-invia

La festa di San Domenico

Zuppi: il cattivo gusto olimpico e la bellezza della fraternità

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Con una differenza di alcuni giorni rispetto al calendario generale, la diocesi bolognese e la comunità del convento patriarcale celebrano la festa annuale di San Domenico nella data tradizionale del 4 agosto, quest’anno domenica e come ogni anno si sono tenuti nella basilica che custodisce le reliquie del Santo Fondatore dell’Ordine dei Predicatori, le solenne celebrazioni precedute da un triduo di preparazione.

Nel pomeriggio di domenica il Cardinale Matteo Zuppi ha presieduto la celebrazione solenne, circondato dalla numerosa comunità dei padri e dei frati studenti domenicani, guidati dal priore locale, fra Fausto Arici e dal priore provinciale fra Daniele Drago.

Come avevamo già segnalato precedentemente, è attualmente esposta nel coro monumentale della basilica la Tavola della Mascarella, la mensa del primo refettorio dei domenicani a Bologna, dove San Domenico operò il miracolo del pane e che riporta il suo più antico ritratto, precedente anche alla canonizzazione.

«Ringrazio di cuore i figli di Domenico – ha detto il Cardinale all’omelia – perché il loro carisma, che hanno custodito e dal quale sono stati custoditi, ha aiutato da sempre la città e la Chiesa di Bologna. In questi anni, grazie anche all’ottavo centenario con la bellissima Tavola della Mascarella, mi sembra sia cresciuta la comunione ecclesiale, servizio del quale desidero ringraziarvi di cuore, attestando l’utilità e l’importanza. Contempliamo ancora la Tavola della Mascarella, così significativa per la storia e il messaggio che trasmette.

La Tavola riunisce e allo stesso tempo invia, tanto che i frati sono raffigurati in due, perché così siamo mandati. È l’immagine più antica del Padre, non a caso non da solo, ma insieme ai suoi fratelli che, nella raffigurazione dei volti, sembrano provenire da varie parti d’Europa. La famiglia di Dio è sempre universale. È vero quello che Ignazio di Antiochia dice dei membri della Chiesa: sono synodoi, “compagni di strada” raccolti e inviati.

San Domenico dichiarava di non voler essere altro che uno fra i fratelli e la tavola della fraternità era già in sé predicazione del Vangelo. Contemplando questa immagine, che trova la sua pienezza nella mensa eucaristica, ho pensato alle polemiche sulla raffigurazione del banchetto offerto con imbattibile cattivo gusto in uno dei momenti più universali del nostro malconcio pianeta (ma serve proprio il brutto? Non c’è bellezza attraente da offrire?), scena che comunque offende tanti cristiani e, come ha aggiunto Papa Francesco, credenti di altre religioni. La dichiarazione per cui l’ispirazione erano i culti pagani non toglie nulla al sentirsi feriti per allusioni che ridicolizzano convinzioni intime che meritano sempre rispetto, che desideriamo ci sia sempre e sempre per tutti.

Aggiungerei, per quello che so, l’occultamento della croce degli Invalides nel manifesto dei Giochi Olimpici, l’assenza di figure cristiane così condivise nella storia della Francia, censura al contrario, e anche l’offesa di spreco e consumismo sfacciato offerto quando tanti sono in drammatiche condizioni di fame e di difficoltà.

San Domenico – ha detto ancora l’Arcivescovo – ci aiuta nella preghiera  – dobbiamo insegnare a pregare, a trovare le forme per farlo, individuali e comunitarie, e a rivolgersi ad un Tu e non ad un’entità indistinta –  e nello studio, per approfondire la Verità che è Cristo e per questo anche l’umanità che incontriamo. Predicatori non perché migliori di altri, ma perché “innamorati e pieni della compassione per chi è stanco e sfinito perché senza pastore”. Di San Domenico dicevano: “Egli accoglieva ogni uomo nel grande seno della carità e, poiché amava tutti, tutti lo amavano. Si era fatto una legge personale: di rallegrarsi con le persone felici e di piangere con coloro che piangevano”. Sia così anche per noi».

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