Giovedì 30 novembre

Morto Mons. Giulio Malaguti

I funerali del Decano del clero bolognese si svolgeranno martedì 5 alle ore 8 in Cattedrale

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I funerali del sacerdote, scomparso all’età di 101 anni, si svolgeranno martedì 5 dicembre alle ore 8 in Cattedrale

Nella serata di giovedì 30 novembre 2023 è deceduto, presso la casa canonica della Parrocchia dei Santi Vitale e Agricola in Arena in Bologna, il presbitero Mons. Giulio Malaguti, Decano del clero e dei Parroci dell’Arcidiocesi, di anni 101. Era fratello di Don Dario Malaguti, deceduto nel 1999.

Il rito esequiale è stato presieduto dal Cardinale, martedì 5 dicembre 2023, nella Cattedrale Metropolitana di S. Pietro. La salma riposa nel cimitero di Pragatto. Qui l’integrale della Messa funebre di Mons. Malaguti

Nato a Pragatto di Crespellano (oggi frazione del Comune di Valsamoggia, Bologna), il 3 agosto 1922, dopo gli studi nei Seminari di Bologna è stato ordinato presbitero il 6 aprile 1946 nella Cattedrale Metropolitana di S. Pietro da Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca.

Dopo aver ottenuto la licenza in Teologia alla Facoltà teologica di Venegono Inferiore (Varese), nel 1960 si è laureato in Teologia alla Pontificia Università Lateranense.

Dal 1946 al 1956 è stato Vicario parrocchiale di S. Stefano di Bazzano. Nel 1975 il Comune di Bazzano lo ha insignito della medaglia di bronzo a motivo del ruolo ricoperto nel locale Comitato di Liberazione Nazionale, insieme ad altri ragazzi dell’Azione Cattolica.

Dal 1956 al 1965 è stato Parroco ai Santi Francesco e Carlo di Sammartini; dal 1965 al 1966 a S. Giovanni Battista di Calamosco e, dal 1966 al 1988, nella Parrocchia universitaria di S. Sigismondo. Quando, nel 1988, la Parrocchia è diventata Rettoria (chiesa universitaria), Don Giulio è rimasto come Rettore fino al 2004, continuando a essere punto di riferimento dei giovani universitari.

Dall’8 dicembre 1988 fino alla morte, è stato Parroco ai Santi Vitale e Agricola in Arena in Bologna.

È stato inoltre Assistente diocesano della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, dal 1964 al 1967, e Vice-assistente della Giunta diocesana di Azione Cattolica, dal 1967 al 1970.

Il 4 novembre 1995 è stato nominato Canonico onorario del Capitolo Metropolitano di S. Pietro.

È stato insegnante di religione presso le scuole di avviamento di Bazzano dal 1946 al 1956; presso l’Istituto professionale “A. Fioravanti” di Bologna, sezione di Crevalcore, dal 1956 al 1963; presso il liceo scientifico “E. Fermi” di Bologna dal 1961 al 1970 e presso il liceo classico “M. Minghetti” di Bologna dal 1970 al 1988.

Stiamo raccogliendo testimonianze, foto e ricordi di monsignor Giulio Malaguti che verranno pubblicate in seguito su questo sito. inviare a: bo7@chiesadibologna.it

Il ricordo dell’amica Giancarla Matteuzzi

Un secolo di storia dentro la vita di monsignor Giulio Malaguti. E così molti lo hanno conosciuto in modi e momenti molto diversi. «Qualcuno – ha detto Giancarla Matteuzzi, amica di lunga data – lo ha incontrato come collaboratore di Lercaro nella missione sulla Messa, o assistente dell’Azione Cattolica, o, prima ancora impegnato nella resistenza a Bazzano. È stato anche insegnante di religione: i suoi ex alunni lo hanno continuato a frequentare nel tempo. Assistente del Centro Universitario Cattolico, a San Sigismondo nel caldissimi anni ‘60, dove lo ho conosciuto anch’io. Uomo di cultura, certamente: ha studiato e pubblicato e continuato a studiare per tutta la vita».

L’Istituto per le Scienze Religiose (una volta Centro di Documentazione) di via San Vitale era la Biblioteca dove scappava non appena gli era possibile. Grande conoscitore della Sacra Scrittura, ha continuato a seguire nel tempo i nuovi contributi dell’esegesi sempre aggiornato e amico dei biblisti. «Aperto a culture e tradizioni diverse – ha proseguito Giancarla Matteuzzi – e capace di accoglierle e vederne gli aspetti positivi, amava molto viaggiare e dei suoi viaggi faceva tesoro portando a casa idee nuove. Per me è stato soprattutto “prete del Concilio”, quando giovane e tendenzialmente critica, mi affacciavo alla vita della Chiesa, don Giulio, mi ha fatto incontrare la Chiesa del Concilio e sperimentarne la bellezza. Ma soprattut- to credo che don Giulio sia stato princi- palmente parroco. E qui io devo fermarmi e dovrebbero parlare i parrocchiani. Io posso solo dire che ho potuto vedere quanto ha amato la sua comunità, e come ha realizzato pienamente la sua vocazione di “pastore”».

«Il Concilio lo aveva interiorizzato. Formato prima del Concilio (era diventato prete nel 46) si era pienamente convertito al Concilio, anzi, accanto a Lercaro, lo aveva per certi aspetti anticipato. Ha rappresentato un po’ una sentinella attento a non fare dei passi indietro e di non lasciarli fare alla Chiesa. La sua collocazione, poi, nella chiesa dei santi Vitale e Agricola lo ha posto in un certo senso come custode delle radici della nostra fede. E io così ho vissuto la mia amicizia con lui. La sua saggezza – che talora diventava sapienza – per ciò che riguarda le cose di Dio, ma anche i problemi e i drammi degli uomini; la sua accoglienza, semplice, sincera, senza pregiudizi, ci hanno fatto sentire di casa nel suo cuore e, non di rado anche proprio concretamente fra le mura di casa sua. Don Giulio aveva la capacità di distinguere bene ciò che è essenziale da ciò che non ha grande importanza, una certa “gerarchia delle verità”, che talora è ben difficile da individuare nella vita di fede, ma anche nelle conseguenze della fede nelle vicende degli uomini».

«Fra gli innumerevoli ricordimi soffermo su due – conclude Giancarla Matteuzzi – uno molto lontano e uno recentissimo. Due compleanni (don Giulio compie gli anni il 3 agosto). Quando don Giulio nel 1972 compì 50 anni, – e a noi studenti, sembrava già vecchio…-, festeggiammo il compleanno durante una vacanza universitaria in Valle D’Aosta. Lo ricordo, attrezzato con abbigliamento da scalatore, affrontare un certo percorso del Breithorn, e raggiante, poi , al ritorno, di essere riuscito nell’impresa. Ripensavo al suo cinquantesimo compleanno, lo scorso anno quando festeggiammo insieme i suoi 100 anni. Avevamo preparato una gran festa in giardino, eravamo in tanti, arrivò anche il vescovo. Don Giulio era raggiante, come 50 anni prima…e io pensai che la sua vita era stata positiva e piena. E oggi, davanti alla sua partenza, mi viene da pensare che se ne è andato, patriarca,” sazio di giorni…” . Sta girando un piccolo video di don Giulio che una sua amica gli ha registrato in questi giorni di malattia, trascrivo  il suo saluto, come sintesi della sua eredità:  ”Abbiate molta fiducia, il mondo è bello e santo l’avvenire. Il Signore è con noi e ci assiste sempre”».

Alcune parole chiave della sua vita:

* LA CONCRETEZZA
Stavo ancora frequentando il quarto anno di Università e fui chiamata per una supplenza in un Liceo. Felice, ma spaventatissima, la sera prima di prendere servizio, durante un incontro a san Sigismondo , chiesi agli amici piu’ grandi un consiglio per ben cominciare. Ne ricordo due.
Don Nildo mi disse “Supplisca con molta preparazione alla sua giovane età”.
E don Giulio: “Firma sempre il registro, se no non ti pagano!”
Il consiglio di don Nildo è stato presto superato (…la giovane età…) . Fino al giorno della pensione, invece, ogni volta che ho firmato il registro ho pensato a don Giulio!!!!

* I POVERI
A San Sigismondo c’era un continuo via vai di gente che veniva a chiedere soldi. Don Giulio alle volte li chiamava in casa e li teneva a pranzo. Semplicemente, senza retorica, senza paternalismi, in modo asciutto, semplice e normale. Come faceva con noi. Però, prima di dargli dei soldi, quando era possibile , gli trovava un lavoretto da fare. Così figurava di pagare un lavoro, non tanto di fare una   elemosina. Magari spazzare le scale, o spostare un mobile in sacrestia o sistemare le panche della chiesa. Per un certo periodo aveva preso a venire uno strano personaggio senza fissa dimora, tedesco di origine , che doveva essere stato un uomo di una certa cultura. Chiedeva soldi, e don Giulio gli aveva inventato il lavoro di dare lezioni di tedesco ad alcuni di noi…… Questo stile di don Giulio di trattare coi poveri io l’ho sempre apprezzato, trovavo che era un modo rispettoso e dignitoso: pagava un lavoro, non faceva una elemosina. Quando nella vita mi è capitato qualche situazione adatta, anch’io ho cercato di fare così.

*OSPITALITA’
Don Giulio è sempre stato ospitalissimo. Ho visto passare in casa sua (e anche viverci per certi periodi) le situazioni più diverse e più strane. Offriva soluzioni logistiche magari molto modeste, ma l’ambiente umano adatto per stare bene. E magari trovava il modo per utilizzare  competenze e abilità. Credo che certe persone si siano salvate, in certe emergenze della vita, trovando una porta aperta, poche domande, pochi consigli, la possibilità di far decantare per un po’ i propri guai…

*LIBERTA’
Uomo libero, non si lasciava condizionare dai pettegolezzi e dalle chiacchiere. Se gli si faceva qualche critica, prendeva tempo con quel “come?” che impegna l’interlocutore a ripetere il concetto mentre lui trova il modo di svicolare….Libero anche da pregiudizi e moralismi. Andava alla sostanza. Sapeva distinguere ciò che è importante da ciò “che non conta niente”: con una certa saggezza innata aveva fiuto per individuare  quella specie di gerarchia delle verità che è di grande aiuto nelle scelte di fede e nelle scelte umane.

Il ricordo di Mons. Aldo Calanchi

Mi è stato chiesto un saluto a Don Giulio a nome dei preti della nostra Chiesa di Bologna: ho pensato di salutare Don Giulio con molta semplicità: dicendo “grazie” e chiedendo perdono.

Grazie per il tanto bene fatto nel suo lungo ministero, a cominciare dal tratto sorridente e gioioso che aveva da prete giovane, il mio primo ricordo può risalire al 1951-52, quando da chierichetto in qualche occasione gli servivo Messa (come si diceva allora), tratto che è diventato poi in Don Giulio atteggiamento permanente di accoglienza ed è stato lo stile che ha favorito sempre il suo ministero di prete.

I motivi per dire “Grazie” a Don Giulio sono infiniti, ne sono già stati richiamati tanti dal Card. Arcivescovo e da Don Stefano all’inizio, raccolgo solo due briciole.

Anzitutto la collaborazione viva e competente alla Missione Diocesana sulla Messa, durante l’episcopato del Card. Lercaro per promuovere con preziosi sussidi di carattere teologico e spirituale la comprensione e la partecipazione alla Messa, per accogliere la riforma liturgica che stava avvenendo e passare dal “sentire” la Messa al “partecipare” alla Messa.

Poi la prolungata dedizione alla pastorale universitaria, ministero esercitato con competente fedeltà e originalità, dando vita al Centro Universitario Cattolico nella chiesa di S. Sigismondo, come punto di riferimento delle varie presenze ecclesiali nel mondo universitario, coordinando e promuovendo con cura, pazienza, accoglienza (con l’aiuto di altri sacerdoti che vivevano con lui in canonica a S. Sigismondo) le varie espressioni e iniziative.

Insieme ai morivi pastorali per dire “grazie” a don Giulio, anche qualche motivo più personale, in cui don Giulio – credo – possa essere considerato esemplare.

Don Giulio aveva un fratello prete: Don Dario; la considerazione, l’attenzione, l’affetto che aveva per Don Dario, che condivideva anche con gli altri famigliari, in maniera molto semplice, era “non comune”; era molto bello e significativo.

Infine, una caratteristica di Don Giulio – credo – esemplare per tutti i preti, è che non ha mai smesso di “studiare”: teologia, scrittura, liturgia, pastorale… la frequentazione del (allora) Centro di Documentazione è stato un segno di questa assiduità.

Grazie Don Giulio per quello che hai fatto nel tuo ministero e quello che sei stato come persona e come prete.

E insieme al “grazie”, a nome dei preti di Bologna, chiedo anche perdono per qualche ombra di incomprensione che può esserci stata, in qualche momento, da parte di qualche confratello; ombra che comunque non ti ha mai impaurito, né condizionato nella dedizione e nella fedeltà al tuo ministero.

Il ricordo di Silvia Forti, amica e parrocchiana

Don Giulio mi ha trasmesso l’immagine di una Chiesa grande, dove c’è posto per tutti. E non importa quanto uno si senta distante… puoi andare lontano, ma non sei mai escluso.
Mi ha permesso di rivolgermi a lui con schiettezza, a volte anche con irriverenza. Ha accolto le mie “piccole” ribellioni senza mai guardarmi dall’alto in basso, ma sempre con quel sorriso sulle labbra di chi nella vita ne ha ascoltate tante e sa che il tempo ricompone certe distanze e quello che resta non  è delusione o rancore ma la bellezza di aver fatto un pezzo di strada insieme.
Mi ha anche spronato a cercare altrove ciò che non trovavo restando in parrocchia. Già alla fine degli anni ’80 ci suggeriva di cercare la collaborazione con le parrocchie vicine, di vivere la realtà Vicariale e Diocesana per godere di quel respiro ampio e formativo che la piccola parrocchia dei Ss. Vitale e Agricola non riusciva ad offrire. E proprio perché mi ha lasciato andare, senza vincoli, non mi ha mai persa. Con orgoglio ho sempre dichiarato di essere parrocchiana di San Vitale, anche ora che da più di vent’anni frequento la parrocchia dove mi sono trasferita, dopo essermi sposata.

Il ricordo di Anna Teresa Monari per il suo 50° di ordinazione

1967 – 1974… Gli anni più difficili, ma anche i più entusiasmanti e i più fecondi della mia vita. Mi trovavo trapiantata da un paese della bassa modenese a Bologna, per l’inizio del mio lavoro come insegnante di scuola elementare e per gli studi nel corso di laurea in pedagogia. I primi tempi furono veramente duri, con i miei 36 alunni, le corse all’università per prendere almeno qualche lezione, lo studio in ogni momento libero e i disagi delle stanze in affitto. Fu in questa situazione, in un’umida sera autunnale, con l’animo oppresso da qualche problema in più del solito, che, uscendo dall’università, entrai nella chiesa di San Sigismondo. Era da poco iniziata la celebrazione eucaristica. Partecipai, e, al termine, quasi seguendo un pressante richiamo, entrai dalla porticina alla destra dell’altare maggiore e vidi una stanzetta illuminata. Bussai, entrai.
Vorrei parlare con un sacerdote.
Certo, bene, siedi.

La piccola stanzetta, male illuminata, piena di carte e libri, con lo spazio appena sufficiente per una scrivania e due sedie, mi sembrò il sereno salotto di casa mia.

«Non ci pensare, il Signore è buono e ti vuol bene…, torna, vieni mercoledì alla preparazione del vangelo domenicale, vieni a Messa quando esci dall’università, …anzi, vieni a pranzo domani, così ci aiuterai a preparare la conferenza dibattito del Centro Universitario… vieni…vieni..» mi disse don Giulio congedandomi. Tornai, sempre, costantemente tornai; e trovai amici, fratelli, occasioni indimenticabili di arricchimento e di aiuto reciproco…per la vita.

Ancora oggi, ogni volta che mi è possibile, torno in San Sigismondo, per confrontarmi, per riflettere, per ritrovare quell’atmosfera di vita; fraterna e rispettosa dell’altro, laboriosa ed orante; per ricaricarmi di questi valori cristiani, che, ahimè, non si incontrano ovunque, ma che rappresentano l’acqua pura, il vero tesoro, di cui ognuno di noi ha bisogno in ogni stagione della vita.

Il ricordo di Antonio Cacciari, suo ex alunno

Il mio ricordo di don Giulio risale alla fine degli anni ’60, quando frequentavo il liceo Minghetti. Il nostro precedente insegnante di religione si era ritirato dall’insegnamento per motivi di salute (era don Gastone De Maria, uomo assai remissivo), e fece il suo ingresso, al posto suo, don Giulio Malaguti. Proveniva dal liceo Fermi, e si sapeva che era stato fortemente voluto al Minghetti dal prof. Pietro Cazzani, anche lui trasferito dal Fermi al Minghetti, che già conosceva e stimava don Giulio, che con lui aveva avuto modo di collaborare positivamente.
Cazzani – algida ed elegante figura, italianista di vaglia – era un uomo di sinistra (era iscritto al PSIUP). Ricordo che gli esordi di don Giulio come nostro insegnante non furono esenti da perplessità da parte di noi studenti; se, infatti, don Gastone ci leggeva – fedele ai dettami conciliari – la Bibbia (ricordo, in particolare, una lectio continua della Genesi, non proprio di facile digestione per dei diciassettenni), don Giulio aveva adottato come libro di testo un’edizione del Vaticano II. Arrivava in aula con un pacco di giornali, si metteva in un banco vuoto e ce ne leggeva articoli di politica, religione, cultura, esortandoci poi alla discussione: che non mancava mai di sollevarsi, perché spesso si trattava di temi scottanti e provocatori, in un clima generale sempre più incline al dibattito e allo scontro di idee.

Ma si può dire che le ‘provocazioni’ sortirono gli effetti desiderati, poiché, a un certo punto, ci rendemmo conto che le sue ore di lezione erano le sole in cui ci fosse consentito esprimere un parere su argomenti di carattere generale: all’epoca, infatti, gli altri insegnanti – alcuni, peraltro, di altissimo livello – si limitavano a trattare le loro discipline. Dai più conservatori fra i colleghi, poi, don Giulio non era sempre apprezzato, proprio a causa delle sue aperture ecclesiali e politiche (è da lui che sentii parlare per la prima volta di ‘repubblica conciliare’, come allora si chiamava quello che poi sarebbe stato definito ‘compromesso storico’). Con molto piacere, qualche anno dopo, ritrovai don Giulio al Centro Universitario Cattolico di S. Sigismondo, che avevo iniziato a frequentare; ma questa è un’altra storia.

Il ricordo dell’amica Gabriella Zarri

La vita e l’azione di Mons. Malaguti non si può comprendere se non partendo dal padre: un ragazzo che aveva fatto tutte le guerre, la prima guerra mondiale e quella di Libia, che lavorava duramente come contadino ed era analfabeta. Con intelligenza e determinazione stabilì che i suoi figli dovevano studiare e inviò i primi due a frequentare le scuole medie al collegio San Carlo di Montombraro e il liceo al seminario di Nonantola. Fu durante gli studi che maturò la vocazione sacerdotale di Giulio, il primogenito, e di Dario, un fratello di poco minore che mantenne tutta la vita un atteggiamento di deferente sottomissione nei confronti del primogenito.
Rispetto per la famiglia tradizionale e amore per lo studio rappresentano le componenti costitutive su cui poggia e si articola la vita di don Giulio. Dopo l’ordinazione sacerdotale, mentre svolgeva il suo compito di cappellano prima e di parroco poi, conseguì la licenza in teologia a Milano e completò gli studi a Roma all’Università Lateranense. Continuò poi ad aggiornarsi costantemente frequentando quanto più poteva la biblioteca del Centro di Documentazione, Istituto per le scienze religiose, fondato da don Dossetti.

Da poco terminati gli studi di teologia, ebbe l’incarico dal Cardinal Lercaro di compilare i sussidi per la Missione diocesana dedicata alla Messa, efficace introduzione alla riforma liturgica attuata nel post concilio. Se si potesse riassumere in poche parole la lunga vita e l’azione di don Giulio sceglierei questi sostantivi: fedeltà, libertà, innovazione, accoglienza, conoscenza.

Fedeltà
Fedeltà in primo luogo alla scelta vocazionale, all’impegno sacerdotale perseguito nell’adempimento dei compiti connessi a ciascun incarico ricevuto, ma anche nelle pratiche religiose quotidiane, come il rosario, recitato insieme al collaboratore che viveva con lui, e il breviario, fedelmente recitato fino all’ultimo mese di vita, quando doveva farsi dire il giorno della settimana e farsi indicare le pagine delle ore. Fedeltà infine, indiscussa, al Vescovo e ai superiori gerarchici.

Libertà
Non solo nel senso civile di opposizione alla dittatura e all’ingiusta aggressione di un popolo, ma come tratto costitutivo del suo pensiero: rifiuto dei pregiudizi, capacità di discernere e perseguire le cose importanti, utili o necessarie, comprensione e attenzione verso chi pensa diversamente da noi.

Innovazione
Questa mi pare una delle più importanti specificità di don Giulio: in qualunque stato o cura pastorale si sia trovato, pur nella fedeltà alla tradizione, si è impegnato ad approfondire e innovare, lasciando tracce durature. Parroco a Sammartini di Crevalcore tra il 1956 e il 1965, seguendo l’insegnamento di Giacomo Lercaro, introduce il concetto di parrocchia come famiglia dei figli di Dio riunita nella liturgia e nei sacramenti e cambia il nome del Bollettino parrocchiale intitolato “Ai miei parrocchiani di Sammartini”, in “La famiglia parrocchiale di Sammartini”. Rinnova poi il ricreatorio fino allora destinato solo ai ragazzi, in un luogo in cui accogliere i capifamiglia e organizza tornei di briscola. Inviato a San Sigismondo come responsabile della pastorale
universitaria, si impegna ad esaminare le esperienze analoghe all’estero e a studiare la possibilità di erigere una parrocchia universitaria. Insegnante di religione nei licei bolognesi, è richiesto di comporre un manuale scolastico per gli istituti superiori per introdurre le innovazioni conciliari. Inviato poi alla parrocchia dei Santi Vitale e Agricola riscopre l’importanza della chiesa dedicata ai protomartiri bolognesi e approfondisce con libri e lavori nella cripta il valore del martirio come fondamento della chiesa locale. Approfondimento colto dal cardinal Biffi come occasione di catechesi nel biennio della fede da lui istituito. Inoltre, partendo dal titolo dei Santi Vitale e Agricola, don Giulio si impegna a cercare le maggiori chiese italiane ed europee dedicate a questi santi e istituisce gemellaggi con le parrocchie di Calò Brianza e di Oxford. Introduce poi, grazie alle conoscenze acquisite nei suoi viaggi all’estero, l’uso di proiettare su uno schermo le parole dei canti
liturgici e la pratica di invitare i parrocchiani a prendere il caffè con dolci dopo la Messa domenicale

Accoglienza

A partire dal suo incarico di parroco di San Sigismondo e responsabile della pastorale universitaria don Giulio ha sempre ospitato e accolto studenti in difficoltà economiche, professori di altre città che desideravano vivere in comunità, e chiunque avesse bisogno o desiderio di parlare. Anche in San Vitale la chiesa era aperta a studenti africani e palestinesi che si ritrovavano periodicamente.

Conoscenza

Facevano parte della sua curiosità intellettuale e del suo desiderio di conoscenza i viaggi estivi che don Giulio compiva in compagnia di amici e studenti e spesso insieme a Monsignor Lodi. Studiare le pratiche pastorali in paesi diversi, anche protestanti, era uno degli scopi di quei viaggi e, come ho detto sopra, don Giulio assumeva ciò che poteva favorire lo sviluppo del senso di comunità dei parrocchiani o si teneva al corrente dei più importanti studi teologici. Un altro risultato di quei viaggi era l’acquisizione di relazioni durature con molti ecclesiastici o laici con cui restava in contatto attraverso lettere o biglietti augurali nelle maggiori festività.

Alla fine di febbraio di quest’anno don Giulio aveva già difficoltà a camminare per la sua piaga al piede. In occasione delle primarie del Pd io andai a votare nel primo mattino, ma quando vidi don Giulio all’ora di pranzo mi chiese di accompagnarlo a votare. Così chiamammo un taxi e insieme a Elios Zaupa lo accompagnammo; fu contento di aver espresso la sua opinione.

Il ricordo di Luigi Accattoli, giornalista

Don Giulio lo ricordo benissimo, e non solo per gli anni lontani, quando mi ospitò in canonica per i primi mesi del mio arrivo a Bologna (primavera del 1973), mentre cercavo casa. Tutte le volte che nei decenni tornavo a Bologna per conferenze, veniva a sentirmi, riempiendomi di confusione. Diceva che qualcosa imparava sempre. Ogni volta io ero stupito di trovarlo ancora vivo e sveglio con una resistenza prodigiosa all’età.

Il ricordo di Anna Bassi, ex alunna

Questa foto che per me, e credo non solo per me, è una specie di carrellata a ritroso nel tempo e dei miei tempi passati a San Sigismondo.

– Don Contiero e i suoi viaggi in Africa: ero una giovanissima liceale poi universitaria e, non me ne si voglia, mi ricordo il suo aplomb un po’ radical chic (chiedo scusa finora per il radical chic ma al momento è il solo atteggiamento che mi viene in mente); si apprestava al pranzo con una certa nonchalance quasi a dire: “anche oggi cosa mi tocca” e poi ascoltava un po’ distratto tutti gli ospiti, molti occasionali, che contornavano la tavola del pranzo. Non abbiamo mai avuto occasione di parlarci. Era molto “amico” (perché lo proteggeva a prescindere) di Ignazio, il più o meno sedicente sagrestano,  che quando vedeva don Giulio preferiva cambiare aria e con lui, Ignazio, la sua convivente.

– Don Nildo: arguto, simpatico, ricco di trovate. Gran camminatore in montagna. Un anno, al Falzarego,  ci svegliò nottetempo per farci  vedere sorgere l’alba al Lagazuoi e noi, adolescenti  vivaci ed energici, per quanto assonnati e con il pigiama sotto i pantaloni e la giacca a vento (era luglio ma all’alba faceva un freddo cane) lo seguimmo e vedemmo l’alba. Durante le escursioni in montagna don Nildo si copriva le labbra di crema protettiva e ci faceva bere solo bevande a temperatura ambiente: quelle fredde erano bandite. Il ricordo è riduttivo delle grandi capacità dottrinali, caritatevoli, da grande prete del don; competenze  che ho avuto il piacere di apprendere da giovane e di apprezzare da anziana quando lo ripenso attento e autorevole nelle ore dedicate alla riflessione all’interno dei Campi Scuola che ho frequentato. Rividi don Nildo, l’ultima volta, dopo la Messa per i sessant’anni di sacerdozio di don Giulio. “Anna Bassi”, mi disse vedendomi, io ormai anziana e lui immutabile seppure con il bastone. “Sono una nonna”, io di rimando; penso gli abbia fatto piacere sapere della mia nuova condizione.

– Don Giulio: e qui si apre un mondo, il mio mondo.  Don Giulio è stato per me un padre e io che ho avuto un padre presente e sempre attento, mi sono sentita fortunata per avere avuto due padri. Faccio fatica a raccontare l’importanza che don Giulio ha avuto nella mai vita da quando lo conobbi adolescente fino a qualche giorno fa quando l‘ho salutato, sereno nella bara. Don Giulio ha accompagnato la mia vita come un padre per me, come un nonno per mio figlio, come un bisnonno per le mie nipoti. Ci ha sposati, me e mio figlio, ha battezzato le mie nipoti. E’ stato il professore di Religione mio e di mio marito al Minghetti, ha visto crescere Lorenzo e ha visto le mie nipoti piccoline. Avrò modo per raccontare tanti episodi che lo riguardano; adesso passo oltre.

– Don Paolino, ovvero il prof, don Paolo Serrazanetti. A Mirto Crosia, durante un Campo Scuola della FUCI, don Paolino conduceva la riflessione sulle letture del giorno. Ascoltandolo desideravo che non finisse mai di parlare perché la sua esegesi era così coinvolgente che mi pareva strano non dovesse durare ore. E pensare che non avevo ancora compiuto i diciassette anni! Con don Paolo mi sono laureata e andavo a trovarlo di tanto in tanto per rivedere la tesi. Abitava in via Arienti con la mamma, allora ancora vivente, che un giorno, mentre don Paolo si era assentato per prendere un libro mi disse: “Signora, lei è una mamma; mi dica come posso morire tranquilla con un figlio così”. Ero, e sono,  una mamma: mi sono laureata tardi, avevo terminato tutti gli esami da anni ma per la laurea ho aspettato che mio figlio fosse grandicello in modo da non sottrargli troppo tempo, visto che lavoravo in aggiunta. Il problema della mamma di don Paolo era la sua acritica, sicuramente evangelica,  disponibilità verso tutti quelli che avevano bisogno e non si preoccupavano mai di farsi avanti dovunque lui fosse, anche all’ Università dove le sedie antistanti il suo studio erano sempre occupate dai suoi questuanti ai quali mai ha negato ascolto e, soprattutto aiuto materiale.  Don Paolino è stato veramente un uomo di Dio, nel senso più nobile ed evangelico della locuzione.

– Don Tarcisio, o Tataciccio come lo chiamava, a due anni, il mio fratello più piccolo. Era un grande amico di mio padre, capitava a casa nostra di solito senza preavviso e, con papà, si chiudevano nello studio a parlare, poi emergevano e don Tarcisio si intratteneva con noi bambini. Gli piacque molto una nostra letterina di Natale (ne parlò anche in un’omelia senza fare nomi, per fortuna) perché non c’eravamo sentiti di promettere di essere sempre buoni ma avevamo detto che avremmo provato a mettercela tutta.

Ecco fatto: tutti questi preti hanno segnato un tempo della mia vita; adesso ho solo abbozzato i ricordi che, d’acchito, mi ha suggerito la foto. Con tutti loro, don Contiero escluso perché l’ho conosciuto tardi, ho condiviso non solo i ricordi fugaci che ho raccontato ma anche esperienze di riflessione e  tanti momenti conviviali a San Sigismondo, attorno a quella tavola lunga e rettangolare,  dove mai mancavano bistecca e insalata con la perpetua, Carolina o Caterina non ricordo più il nome, che sapeva che il numero dei commensali era sempre pressappoco. Il posto, i posti, a tavola si aggiungeva/no sempre, anche all’ultimo minuto.

Il ricordo di Daniele e Carlo Del Corno, amici

Ricordo due elementi a livello personale. Pur avendo incontrato don Giulio quasi 60 anni fa, devo dire che, nel quadro del Centro Universitario di S. Sigismondo, ci ho messo un po’ di anni a capirlo e a conoscerlo, non perché fosse meno presente e attivo dei suoi confratelli. Ripensandoci, credo che fosse semplicemente perché lasciava spazio agli altri, non si imponeva, cercava – con un’insaziabile determinazione che non era pura curiosità – di conoscere  e capire le posizioni degli altri, anche diverse e lontane dalle sue, di vagliarle con un senso critico che rifiutava facili giudizi. Aveva una saggezza nascosta che occorreva scoprire.

Altro punto: 50 anni di gruppo biblico. Qui don Giulio promuoveva alla grande  l’amore per la Parola di Dio, concepita come tesoro inesauribile che appartiene a tutti, dove ognuno può trovare e scoprire qualche cosa. Don Giulio non dirigeva, lasciava che ognuno a turno preparasse l’incontro e lo svolgesse. Non era una gara o un confronto di interpretazioni: ognuno poteva contribuire e si sentiva accolto in un clima familiare e libero. Don Giulio interveniva alla fine, con poche battute che però toccavano sempre elementi fondamentali, e sempre più – passando gli anni – con stile sapienziale. Le persone più diverse per formazione, cultura, situazione di vita, furono attratte e avvicinate alla Parola di Dio da questo stile libero e accogliente, che davvero metteva al centro la Parola del Signore e l’esperienza di ascoltarla insieme. Credo che “accogliere”  e “lasciare spazio” siano un po’ la cifra di una vita dove la Parola del Signore era divenuta stile quotidiano di servizio e di fedeltà alla Chiesa  (Daniela Delcorno Branca)

Più che il ricordo mi tornano alla memoria tante immagini e parole che hanno al centro don Giulio, in particolare in due occasioni: la lettura serale della Bibbia e la partecipazione alla Santa Messa.  Per moltissimi anni don Giulio ci ha introdotti e guidati alla comprensione delle Scritture, ha indicato i libri buoni da leggere, ha ascoltato, apprezzato e raddrizzato le osservazioni di chi sedeva attorno al tavolo – e così si conoscevano nuovi amici o si rinsaldavano le vecchie amicizie -; ma alla fine non lasciava mancare una parola semplice e profonda, che aveva lo stesso timbro delle omelie dette camminando tra i fedeli, tra gli amici, tenendo il microfono in una mano e la pagina evangelica nell’altra. La parola era sempre accompagnata dal sorriso e dal gioioso lume dello sguardo.  Le pagine più temibili e severe della Bibbia (quante volte il vangelo del Giudizio, quante volte l’amata Apocalisse!) erano intese come un messaggio di speranza e di impegno sereno. (Carlo Delcorno)

 

 

 

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