Il commento di mons. Ghirelli

Quando don Tonino Bello frequentò l’Onarmo

Un viaggio nella formazione e nell'eredità lasciata a Bologna dal vescovo dichiarato Venerabile da papa Francesco

Il vescovo di Molfetta scomparso nel’93 e oggi Venerabile frequentò il Seminario cittadino a partire dal 1953 e fino al’59.

Seminarista della diocesi di Ugento (Lecce), Tonino Bello frequenta il corso liceale nel Seminario Regionale di Molfetta. Nel settembre del 1953 viene inviato  a Bologna dal suo vescovo Mons. Giuseppe Ruotolo, come alunno del Seminario Onarmo (Opera Nazionale Assistenza Religiosa e Morale Operai) per la formazione dei cappellani del lavoro. Frequenta come esterno il quadriennio teologico presso il Seminario Regionale Benedetto XV, insieme ai seminaristi dell’Onarmo, e contemporaneamente segue i corsi del Centro Studi Sociali annesso allo stesso Seminario.

Ordinato presbitero l’ 8 dicembre 1957 a Ugento, rimane ancora nello seminario bolognese per un anno e mezzo, svolgendo un poco di ministero tra i lavoratori, mentre consegue la licenza in teologia nella Facoltà del Seminario di Venegono. Viene quindi richiamato in diocesi di Ugento dal suo vescovo, che lo nomina vice rettore del seminario diocesano.

Durante il periodo trascorso a Bologna, il seminarista pugliese – oltre a rivelare le proprie doti – ha modo di assorbire il nuovo impulso pastorale impresso all’Arcidiocesi dal card. Giacomo Lercaro, succeduto nel 1952 al card. Giovanni Battista Nasalli Rocca.

Ci proponiamo di esporre il metodo educativo adottato in quegli anni nel Seminario Onarmo, che accoglieva seminaristi da varie diocesi per formarli al ministero nel mondo del lavoro.

Gli educatori erano nominati dall’Arcivescovo di Bologna d’intesa con la Direzione Generale dell’Onarmo, la quale si assumeva l’onere del mantenimento economico. Quindi l’Istituto, pur godendo di autonomia, era seguito personalmente dal card. Lercaro il quale, essendo originario di Genova, conosceva già i cappellani del lavoro e ne divenne a Bologna un convinto sostenitore. Fu lui che dotò il Seminario ONARMO di un Centro Studi Sociali, firmandone proprio nel 1953 il decreto di istituzione.

Come si presentava il Seminario ONARMO al nuovo alunno

Oltre al giovane rettore don Angelo Magagnoli, erano presenti (ma non residenti) due direttori spirituali, l’anziano don Filippo Cremonini, rettore del Santuario della Visitazione in Via Lame nonché storico cappellano della Manifattura Tabacchi, e don Alessandro Barozzi, parroco a S. Maria della Pietà.

I seminaristi raggiungevano la cinquantina, divisi in tre gruppi o camerate: dai più piccoli, di appena undici anni, fino agli alunni del corso teologico. Ad ogni gruppo era assegnato un prefetto, che manteneva la disciplina e aiutava il rettore nel discernimento vocazionale.

La campana della sveglia suonava alle sei del mattino (mezz’ora più tardi nei giorni festivi e al giovedì). Si pregava nella stessa cappella e si pranzava insieme, il cibo era lo stesso per tutti, superiori e alunni. Anche i dormitori e le tre aule di studio erano ambienti comuni: uno per ogni camerata. La scuola – dalla prima media alla quinta ginnasio – era interna; l’esame di quinta veniva sostenuto nell’Istituto parificato San Luigi, retto dai Barnabiti. Dalla prima liceo in poi si frequentava (andando a piedi da Via Valverde a Piazza dei Martiri, 35 minuti di cammino) il Seminario Regionale, che disponeva di un corpo docente qualificato.

Stile di vita familiare e disciplina collegiale convivevano, integrandosi agevolmente. Non mancavano i collaboratori domestici (la cuoca, la guardarobiera, l’addetto all’orto e al pollaio), ma diversi servizi – dalle pulizie dei pavimenti alla portineria – venivano svolti dai seminaristi. Il seminario era inserito anche nella vita del quartiere, attraverso il rapporto con la parrocchia dei Ss. Francesco Saverio e Mamolo: una parrocchia di recente istituzione, affidata in un primo tempo a don Magagnoli. Alcuni seminaristi a turno vi prestavano servizio liturgico domenicale. Lo stesso avveniva nella vicina parrocchia di San Procolo il cui parroco, mons. Messieri, ricopriva l’incarico di “prefetto della disciplina”. Non vi era un vero e proprio economo, ma un seminarista aiutava il Rettore nei rapporti con la banca e con i fornitori.

Di quando in quando, arrivavano da Roma Mons. Baldelli, fondatore e direttore generale dell’Onarmo, o lo stesso card. Raffaello Carlo Rossi, prefetto della Congregazione Concistoriale. A Baldelli, il quale talvolta si tratteneva per alcuni giorni, era riservata stabilmente una stanza. La presenza dei docenti e di alunni esterni del Centro Studi Sociali conferiva un certo prestigio al piccolo seminario, che veniva scelto saltuariamente come sede di riunioni di carattere pastorale.

Come si presentava il Pontificio Seminario Regionale Benedetto XV agli alunni esterni

Gli alunni dei corsi di teologia, appartenenti all’Arcidiocesi di Bologna e alle diocesi romagnole, toccavano il centinaio. Il primo anno di teologia – avendo carattere introduttivo – era a se stante, mentre i corsi dei successivi tre anni venivano svolti in forma ciclica e venivano chiamati corsi riuniti. Rettore, durante gli anni della presenza di Antonio Bello, era mons. Pirotto.

Nel corpo docente emergeva il giovane docente di teologia dogmatica Serafino Zardoni, milanese di origine ma proveniente dall’Università Urbaniana di Roma. Bolognesi erano sia il docente di teologia morale e diritto canonico Alfonso De Maria, sia quello di Sacra Scrittura, Mario Bartoli. La storia della Chiesa e la patrologia erano riservate, per così dire, a docenti della diocesi di Faenza, allievi di mons. Lanzoni: prima mons. Salvatore Baldassarri, che diventerà arcivescovo di Ravenna, poi mons. Giandomenico Gordini. Il card. Lercaro si era riservato l’insegnamento della Liturgia (anche se gli impegni pastorali non gli consentivano di svolgere regolarmente le lezioni e di esaminare gli alunni).

Tonino Bello non ebbe difficoltà ad inserirsi nell’ambiente di studio; ben presto anzi si distinse per intelligenza, passione per lo studio e capacità espositiva, attirandosi la stima dei docenti e l’ammirazione degli studenti. Negli esami riportava quasi sempre i massimi voti. Rimase celebre una lezione di teologia dogmatica che il prof. Zardoni fece svolgere a lui e che riscosse grandi elogi. Non appariva però uno “sgobbone”: eccelleva anche nello sport, nella musica, nei rapporti di amicizia.

Oltre ai seminaristi dell’Onarmo, frequentavano lo studentato teologico del Seminario Regionale  gli Oblati della Madonna di San Luca e i Canonici Lateranensi. Sugli alunni provenienti dall’Onarmo c’era qualche riserva, che la bravura di Tonino Bello ridimensionava ma non estingueva; qualche docente temeva infatti che, avendo l’impegno aggiuntivo degli studi sociali, si limitassero al minimo nell’applicarsi alla “sacra doctrina”.

Come era considerato Tonino Bello dai compagni di seminario

A distanza di tanti anni, è impensabile raccogliere delle valutazioni precise. In generale, si può tranquillamente affermare che tutti coloro che gli furono compagni stimarono e ammirarono Tonino come seminarista esemplare; di alcuni diventò amico, col passare del tempo. Basti fare un paio di nomi: mons. Gian Pietro Fabbri della diocesi di Forlì-Bertinoro e mons. Giorgio Serenari di Bologna. Per non parlare dei rapporti con il Rettore, mons. Magagnoli (1920- 2006), il quale continuò a tenersi in contatto con lui e a considerarlo il migliore tra tutti gli alunni succedutisi dagli anni Quaranta, fino alla sua morte.

Oltre a prestarsi volentieri se un compagno gli chiedeva aiuto nello studio (anche delle materie umanistiche, non solamente di quelle teologiche), oltre a dirigere il coro nelle celebrazioni sacre, Tonino era anche un capace e autorevole animatore delle varie attività sportive e delle immancabili passeggiate a piedi. A questo riguardo, mons. Magagnoli rievocava un episodio esemplare: una passeggiata nella zona di Rieti, dove il Seminario si era trasferito per le vacanze estive, si rivelò più lunga del previsto; il gruppo dei giovani era in difficoltà, perché il rientro si faceva faticoso. Qualcuno cominciava ad arrancare, altri a brontolare tra i denti. A quel punto, Tonino intonò un canto, poi un altro…Nessuno avvertì più la preoccupazione per la stanchezza e il ritardo. Così, la passeggiata si concluse serenamente.

Volendo chiudere con una valutazione sintetica la nostra altrettanto sintetica analisi, affermiamo che a Bologna don Tonino Bello ricevette, ma anche lasciò un’impronta non effimera: ovviamente, non tanto in campo pastorale quanto, ancora più specificamente, nell’ambito della formazione seminaristica. L’ottima qualità sia della formazione ricevuta sia della adesione data ad essa vanno ricordate ed evidenziate, perché portarono frutto in lui e nella Chiesa. Anche se l’esperienza di un seminario “specializzato” non poté proseguire a lungo, una cinquantina di sacerdoti formati all’apostolato nel mondo del lavoro vennero donati alle loro rispettive diocesi e pressoché tutti corrisposero alle aspettative della loro vocazione di impronta sociale, se non direttamente del mondo del lavoro. Ora resta da cogliere una grande opportunità, una grazia di valore straordinario: conservare l’eredità bolognese di don Tonino Bello e invocarlo assiduamente come intercessore.

Tommaso Ghirelli,

vescovo emerito di Imola

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