150° anniversario della società San Vincenzo de’ Paoli

Bologna, Chiesa del Sacro Cuore

Nell’estate del 1849, un piccolo gruppo di giovani bolognesi, si recano a Parigi attirati dalla notizia di una singolare iniziativa di attenzione ai poveri che in quegli anni era nata nella capitale francese. E se ne tornano con gli animi ardenti, accesi alla gran fiamma di carità che il Beato Federico Ozanam era riuscito a far divampare. Si trattava di Giovanni, Angelo e Francesco Gualandi, ed erano accompagnati dal noto pittore Alessandro Guardassoni.

Bisogna dire che sulla famiglia Gualandi in quella stagione si effondeva lo Spirito di Dio con singolare abbondanza. Proprio nei medesimi giorni, e precisamente l’8 luglio 1849, don Giuseppe Gualandi, prete da pochi mesi, vede nella chiesa parrocchiale della SS. Trinità, tra le neocomunicande biancovestite, una giovane sordomuta; e il suo cuore ne rimane trafitto. E’ il seme da cui crescerà e fiorirà l’Istituto Galandi, gloria della carità petroniana.

Il magistero e l’esempio di Ozanam ebbero in Bologna una risposta sollecita e generosa: il 16 giugno 1850 nasce, presso la parrocchia di San Martino, la prima Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli.

Da allora centocinquant’anni sono trascorsi. Centocinquant’anni di operosità nascosta ed efficace a servizio dei fratelli più bisognosi; centocinquant’anni impreziositi anche da una una serie di attività socialmente provvidenziali, scaturite proprio da questa esemplare fraternità. Non bisogna, tra l’altro, dimenticare che a Bologna nascono nel 1856 le Conferenze femminili, le quali per più di cento anni avranno proprio a Bologna la sede del Consiglio generale.

E’ una idea felice e lodevole, quella di celebrare una ricorrenza così significativa, rendendo grazie al Signore con questa liturgia eucaristica per il molto bene che è stato compiuto e facendo memoria orante, al tempo stesso, di tutti i confratelli e le consorelle che, in questo secolo e mezzo, si sono prodigati in una davvero spendida avventura evangelica.

Questo raduno rievocativo è anche l’occasione giusta di riflettere sui motivi ispiratori dell’azione vincenziana, così che possiate riconfermarvi nei vostri propositi e riprendere il santo cammino con più limpida consapevolezza e slancio rinvigorito.

Tutto origina da una semplice frase di Gesù: “Ogni volta che avete fatto un gesto di misericordia a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”Ogni volta che avete rifiutato un gesto di misericordia a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete rifiutato a me” (cfr. Mt 25,40.45).

Sono le parole più sovversive e rinnovatrici della storia. Ogni rivoluzione – possiamo dire – è stata benefica a misura che vi si è ispirata; e ogni rivoluzione che se ne è allontanata, non ha fatto che sostituire a un vecchio egoismo un egoismo nuovo, e a una prepotenza risaputa una prepotenza inedita, qualche volta anche peggiore.

Identificandosi con ciascun uomo, e soprattutto con quello più sofferente e sprovveduto, il Signore ci avverte che ormai nel cristianesimo non è più possibile amare Dio senza amare il fratello; e non è più possibile amare il fratello senza amare Dio. Senza una carità fattiva e concreta, non si dà un’autentica vita religiosa, ma solo un devozionismo illusorio; e una sollecitudine per gli altri che non nasca dalla passione per Dio e per la sua verità, corre sempre il pericolo di ridursi a un’arida e infondata filantropìa.

Solo riconoscendo affettuosamente il Padre celeste, gli uomini si sentiranno sicuri di essere liberi, uguali e fratelli; e solo vivendo seriamente e cordialmente da fratelli, potranno senza ipocrisìa adorare Dio come padre.

Si deve del resto ammettere che la nostra società occidentale ha fortunatamente subito in maniera decisiva l’influsso della dottrina di Gesù. Ce ne rendiamo conto, quando guardiamo a qualche area del mondo non cristiano, dove la diseguaglianza, la pratica della schiavitù, la condizione avvilente della donna, sono ancora sancite dalle leggi.

Ma dobbiamo rilevare che anche da noi, quando i valori evangelici si oscurano e la testimonianza dei battezzati si sbiadisce, compaiono talvolta deplorevoli manifestazioni di razzismo e di sopraffazione di un gruppo sull’altro, di una classe sull’altra; non di rado si incontra altresì qualche forma di razzismo culturale e ideologico, in cui càpita che particolarmente si distinguano proprio coloro che a gran voce si conclamano antirazzisti.

Il valore di un uomo – ci insegna il nostro Salvatore e Maestro – non sta in ciò che possiede (cfr. Lc 12,15), e nemmeno nel posto che occupa nella scala sociale o nella sua appartenenza etnica; bensì nella sua inalienabile nobiltà di figlio di Dio e in quelle interiori ricchezze che neppure la morte gli potrà strappare.

Illuminati da questa sapienza, i Vincenziani riconoscono e onorano la “eminente dignità del povero”, si reputano fortunati non solo di aiutarlo, ma anche di dialogare con lui come con un amico, di volergli un bene sincero.

E così gli consentono di elevarsi. Guardato con occhi che rilucono di un schietta simpatia, gratificato da un inconfondibile calore umano, egli sperimenterà un flusso di insperata vitalità, tornerà a credere di avere anche lui un “valore”, e si aprirà a un po’ di gioiosa speranza.

Come ho già detto più volte, ancora grande nel mondo di oggi, così complicato, meccanicistico e funzionale, è l’attualità, cari Vincenziani, delle vostre libere aggregazioni. “Esse rimangono preziosissime sia per la loro azione benefica considerata in se stessa sia perché insegnano a tutti che l’autentico stile cristiano comporta che non solo si gridi perché gli altri facciano o ci si faccia distributori di sussidi altrui, ma soprattutto che si agisca con iniziativa propria e si paghi di persona. Ci ricordano altresì che esiste ed esisterà sempre un è prossimo’ che non può aspettare i vagheggiati miglioramenti della società, ma va aiutato subito, con soccorsi anche modesti ma immediati, con un contatto personale affettuoso e discreto” (Fonti Pastorali della Chiesa di Bologna n. 260)

11/11/2000
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