60° anniversario della scomparsa del Beato don Luigi Orione

Bologna

Esattamente sessant’anni fa, il 12 marzo 1940, il beato don Luigi Orione moriva a San Remo, dove i medici l’avevano praticamente costretto ad andare, nella speranza che il clima della Riviera desse qualche sollievo alla sua salute ormai compromessa.

Non era affatto la località dove egli avrebbe desiderato di concludere la sua esistenza: “Non tra le palme, ma tra i poveri, voglio vivere e morire”, aveva detto qualche giorno prima nell’ultima “buona notte”.

“Io sono un povero mandato ai poveri più poveri”, aveva scritto in una lettera di tre anni prima. Era la sua specifica vocazione, la sua passione, la sua scelta irreversibile di vita.

Non era però ispirata da una filantropìa, per così dire, “laica” e senza motivazioni trascendenti; non era mossa da un giustizialismo sociologico, che finisce di solito con predicare l’odio e suscitare il rancore. Al contrario, la sua dedizione agli umili e agli sfortunati nasceva tutta dalla fede e dall’amore: nasceva dalla fede, che gli faceva vedere in ogni prossimo, specialmente i più doloranti, la persona stessa del Crocifisso Risorto; nasceva dall’amore, che in lui era soprattutto risposta riconoscente e affettuosa a colui che per primo ci ha amati fino a versare il suo sangue.

In ogni uomo sofferente o comunque bisognoso egli scorge in trasparenza il suo adorabile Salvatore; ed è per questo che la sua carità non si scoraggia mai e non viene mai meno.

“Quante volte – scrive nella stessa lettera prima citata – ho sentito Gesù Cristo vicino a me; quante volte l’ho intravisto, Gesù, nei più reietti, nei più infelici”.

Questo amore personale per il Figlio di Maria, che è anche l’Unigenito eterno del Padre, è appunto ciò che di tutto il ricchissimo messaggio spirituale di don Orione vogliamo sottolineare e raccogliere, in questo bimillenario della nascita del Signore.

Vivendo in mezzo alla miseria umana, davanti alla quale egli non chiudeva mai gli occhi, il Beato contemplava già la vittoria di Cristo e già era consolato del suo trionfo definitivo, come si evince dalla bellissima lettera per la Pasqua del 1936: “Ecco Gesù che avanza al grido angoscioso dei popoli. Cristo viene, portando sul suo cuore la Chiesa e nelle sue mani le lacrime dei poveri, la causa degli afflitti, degli oppressi, delle vedove, degli orfani, degli umili, dei reietti. E dietro a Cristo si aprono nuovi cieli: è l’aurora della gloria di Dio; sono le genti nuove, nuove conquiste; è tutto un trionfo non mai visto di grande, universale carità; poiché l’ultimo a vincere è lui, Cristo, e Cristo vince nell’amore e nella misericordia”.

12/03/2000
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