Ringrazio di cuore don Luciano per questa celebrazione che onora Sant’Anna e le sue reliquie, conservate nella nostra Cattedrale di Bologna. Le reliquie manifestano la presenza, testimoniano la fisicità, perché il cristiano non è uno spirito e l’amore diventa gesto, incontro, vita. Noi curiamo poco l’anima e senza questa siamo facilmente vittime del nostro corpo, finendo schiavi dell’istinto e di una cultura che ossessivamente lo cura, lo esibisce, ne fa motivo di successo o di umiliazione, finendo prigionieri delle apparenze.
La vera cura, quella che rende tutto bello, il corpo e l’anima, è l’amore che Dio ci dona e che diventa nostro. Se questo manca resta solo l’apparenza, meccanismo molto esigente e traditore! Finiamo per disprezzare la fragilità, vissuta come un insulto al benessere, mentre è umanissima perché siamo tutti fragili. L’anima è legata essa stessa al corpo, che non è un accidente da usare, esaltare o buttare. I sensi ci aiutano a trovare l’anima, a capirla, a nutrirla, a curarla. E chi cura davvero l’anima cura anche il suo corpo. Questa “presenza” di Sant’Anna ci aiuta. Noi non abbiamo fede per le reliquie, ma queste ci aiutano a credere, a incontrare, a contemplare, a “vedere”, insomma a sentire, a venerare la presenza viva di Dio e di Cristo nei suoi sacramenti, a cominciare dall’Eucarestia. Siamo aiutati a “vedere” i tanti segni concreti dell’amore di Dio nella nostra storia e a lasciarli nella vita del prossimo regalando il nostro amore. Diamo, come invita Eliseo, “da mangiare alla gente” perché il donare moltiplica mentre conservare fa perdere, non resta niente a noi e lo togliamo agli altri. Così troviamo l’essenziale che trasforma tutto in qualcosa di grande come solo l’amore può fare. Anche cinque pani e due pesci, il poco che siamo o che abbiamo. Sant’Anna è la famiglia di Gesù.
Anche Dio ha bisogno di una famiglia. Anzitutto la sua, di coloro che ascoltano e mettono in pratica la Parola. Nella raffigurazione tradizionale Anna ha vicino Maria e le indica il cielo, le trasmette le verità della fede. È questo il vero regalo che possiamo fare ai nostri figli e nipoti, non solo spiegandole ma, soprattutto, vivendole. L’Apostolo suggerisce l’umiltà, la dolcezza, la magnanimità, la sopportazione che è portare gli uni i pesi degli altri e non solo pazienza, così necessaria nelle relazioni (quanta poca comprensione e quanti giudizi temerari da tanti egocentrici che considerano solo se stessi!). Ricordare Sant’Anna ci evoca che la Chiesa è famiglia, anzi la sua famiglia, da difendere nell’unità e da vivere come la nostra casa (guai a chi divide, soprattutto da dentro, dall’interno della Chiesa, perché bestemmia contro lo Spirito Santo che è comunione).
Come cambierebbero le nostre relazioni se mettessimo in pratica queste raccomandazioni dell’Apostolo e vivessimo tra noi l’amore cristiano! Noi, purtroppo, pensiamo come Filippo: invece di aiutare Gesù crediamo che non si possa far nulla, con le conseguenze che possiamo immaginare. Andrea, fratello di Simon Pietro, sembra voler fare qualcosa ma si scontra con il poco che ha. Ma il problema non è avere tanti mezzi, ma essere discepoli! Andrea spiega a Gesù – perché spesso ci mettiamo noi a spiegare al maestro la vita, come se lui non la capisse! – che cinque pani d’orzo e due pesci non sono nulla per tanta gente! Come a dire: lascia perdere! Che ti viene in mente? Non ti accorgi? Gesù invece ci chiede di accogliere, di prendere tempo, di far sentire a casa. Mettere seduti significa accogliere, guardare negli occhi, far sentire voluti bene. Non fa distinzioni. Non verifica i meriti di ciascuno, le reali intenzioni, se sono buoni o cattivi. Non fa passare prima quelli del proprio paese. Tratta tutti con amore perché sa che tutti hanno fame di pane e lo dona, anche sapendo che i suoi stessi discepoli cercano il pane più per sfamare il corpo che per nutrire l’anima. Gesù non disprezza il poco che abbiamo. Anzi. Prende proprio quei pani e quei pesci. Insignificanti, come la nostra vita, che rende capace di saziare il prossimo. Tutti furono saziati, anche chi pensava che donare i propri pani volesse dire restare senza! Ecco la famiglia di Dio, la forza di chi compie la sua volontà. I cinque pani e i due pesci sono anche la nostra fragilità di anziani e nonni.
Onoriamo la nonna di Gesù, Sant’Anna, insieme a San Gioacchino, che non se ne avrà se parleremo più di lei: si amavano e, come sappiamo, quando due persone si amano tutto diventa “mio” e si è una cosa sola. È il segreto dell’amore. Papa Francesco ha voluto legare la memoria di Sant’Anna a quella degli anziani. Domani sarà proprio la IV Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani. Penso che tutti gli anziani siano nonni. Possono diventare una cosa sola loro con i nipoti e i nipoti con loro perché così avviene nel legame di amore che Dio desidera tra le persone, non per il sangue ma per il suo amore. Un’iniziativa – giustamente lodata da Famiglia Cristiana questa settimana – è stata promossa dalle Acli di Bologna dal titolo “Adotta un nonno”, che però può significare anche “adotta un nipote”. Non chiuderti, possiamo fare tante cose con i cinque pani! Adottare non è meno di generare, perché siamo tutti adottivi e noi non siamo generati da carne né da volere di uomo ma da Dio.
Davanti alle reliquie della nonna di Gesù faccio mio il salmo indicato da Papa Francesco per questa Giornata, che è anche il grido e la richiesta, spesso chiusi nel cuore, che angosciano tantissimi anziani: “Nella vecchiaia non abbandonarmi” (cfr. Sal 71,9). Sì, perché tanti sperimentano l’amarezza di essere abbandonati. Ci vuole poco, perché per abbandonare basta non curare, semplicemente non far nulla, solo far mancare attenzione, protezione, vicinanza, fisicità. A volte basta solo far pesare quello che si fa perché succede che chi è fragile si senta un peso. Tanti sono abbandonati, si sentono abbandonati perché trattati come se non possono far nulla e di fatto servire a nulla.
L’amore non si misura con le cose che si fanno ma con la carità. Alcuni si scartano da soli perché non vogliono essere di peso proprio perché hanno percepito un’insofferenza o il poco interesse che ferisce e umilia. Qualche volta pensiamo di esserlo anche con chi ci vuole bene! Non dimentichiamo che se qualcuno ci vuole bene è contento di portare il peso, e tutti siamo un peso gli uni per gli altri perché nessuno può fare mai da solo! Anche Gesù chiede aiuto. Portare i pesi gli uni degli altri diventa occasione di amicizia e di amore vero, di vittoria sull’individualismo che tanto ci fa male. Dio non abbandona, ricorda anzi tutto di noi, ci cerca quando ci perdiamo. Si abbandona qualcosa che non ha valore. Papa Francesco parla di dignità infinita di ogni persona «al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi» (Dignitas infinita, 1).
Il ricordo dei Santi Anna e Gioacchino ci aiuti a “non fare mai mancare la nostra tenerezza ai nonni e agli anziani delle nostre famiglie, a dare importanza vera. Visitiamo coloro che sono sfiduciati e non sperano più che un futuro diverso sia possibile. Aiutiamo noi il Buon Pastore, che non lascia solo nessuno, a vigilare sulla vita dall’inizio alla sua fine, perché è sempre preziosa e capace di comunicare tantissimo anche quando sembra non significhi nulla. Noi abbiamo una responsabilità in più perché siamo cristiani, discepoli di Gesù, e non dobbiamo esserlo a parole esibite o nelle dichiarazioni ma nell’amore perché così saremo riconosciuti dal prossimo e da Dio. Se la nostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei non abbiamo alcun merito, perché così fanno i pagani e i pubblicani. Anche i pochi pani e pesci della vecchiaia, ai quali non daremmo importanza, diventano opportunità per pregare, per raggiungere tanti con il suo amore, per dare alla folla il pane che sazia la domanda di amore che ogni persona porta con sé.
Che ogni nonno, ogni anziano, ogni nonna, ogni anziana – specialmente chi tra di noi è solo – riceva la visita di un angelo, di un pezzo di questo pane di amore. È la famiglia di Dio, di Sant’Anna, dei tanti che prendono sul serio la Parola e la mettono in pratica!