canonizzazione del martire sant’Elia Facchini

Bologna, Cattedrale

In questa celebrazione, il colore rosso delle vesti sacerdotali non evoca soltanto il sangue versato dalla prepotenza e dall’insaziabile crudeltà umana che in tutti i tempi trova i più inverosimili pretesti per uccidere gli innocenti servi di Dio. E’ anche il colore dell’amore per il Signore, che ha sorretto nell’ora tremenda della prova i testimoni della fede. E’ il colore della dignità e della gloria, alla quale il Re dell’universo e dei cuori associa coloro che hanno saputo immolarsi per lui. E’ il colore della gioia e della festa che invade i nostri cuori per la vittoria ottenuta, attraverso il sacrificio dei suoi discepoli, da colui che accingendosi a salire sulla croce ci ha detto: “Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33).

Oggi siamo tutti rallegrati e gratificati nel contemplare un figlio della nostra terra, qual è il Padre Elia Facchini, collocato alla massima gloria degli altari. Di lui si allieta e si onora la Chiesa di Bologna, che l’ha rigenerato alla vita di grazia. Di lui si allieta e si onora l’Ordine Serafico, che vede un’altra fulgida gemma aggiungersi al mirabile serto degli innumerevoli santi francescani. Di lui si rallegra e si onora la comunità di Reno Centese, che gli ha dato i natali e ha visto gli anni della sua serena, aperta e spensierata giovinezza.

Dava proprio l’impressione di essere un ragazzo spensierato e un po’ pazzerello il figlio di Francesco Facchini e Marianna Guaraldi, che al fonte battesimale aveva ricevuto i nomi di Giuseppe Pietro. L’intera sua esistenza avrebbe invece rivelato la saldezza della sua tempra, la serietà sostanziale della sua indole e una eccezione capacità di mantenersi fedele alle più impegnative risoluzioni e agli ideali più alti.

Non è ancora ventenne quando decide di farsi frate minore e assume il nome di Elia. E’ sacerdote da pochi anni quando deve affrontare – e di fatto affronta impavidamente – la bufera della soppressione delle famiglie religiose, decretata da un governo che curiosamente si vantava di aver dato ogni libertà agli abitanti della nostra penisola.

“Non meravigliatevi se il mondo vi odia” (1 Gv 3,13), egli leggeva scritto nel Libro di Dio. Del resto, Gesù ci ha preavvisati tutti di quel che ci aspetta, quando ha detto: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me”Poiché non siete del mondo, per questo il mondo vi odia” (cf Gv 15,18-19). E sono parole sempre vere che, soprattutto di questi tempi, dovremmo rileggere con più attenzione.

Ma “noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28). L’ottusità e il fanatismo laicista dei politici di quell’epoca, che gli impedivano di vivere secondo la regola che egli si era liberamente scelta, inducono nell’animo di Padre Elia il generoso proposito di recarsi in terre lontane ad annunciare il Vangelo. Proposito davvero generoso, se si pensa che allora una missione nell’Estremo Oriente non prevedeva ritorni.

Anche se egli resterà sempre fiero della sua italianità – tanto da proclamarla perfino davanti ai suoi carnefici – la Cina diventerà la sua seconda patria: per il popolo cinese, per la sua evangelizzazione, per la sua salvezza egli spenderà senza risparmio e senza pausa tutte le sue forze. Si fa dunque totalmente cinese e diventa un conoscitore esperto e apprezzato di quella lingua, di quegli usi, di quella cultura.

Si distinguerà soprattutto come educatore dei candidati al sacerdozio, che formerà non solo con la sua dottrina e la sua sapienza, ma anche con l’esempio efficace della sua dedizione e della sua austerità.

Alla fine, il sacrificio cruento è venuto a perfezionare splendidamente e a coronare una esistenza interamente donata all’amore del Signore e al vero bene dei fratelli. Vittima consapevole, sant’Elia Facchini è andato incontro ad occhi aperti al suo tremendo ed eccelso destino, preparando ad esso con affettuosa franchezza anche i giovani seminaristi affidati alle sue paterne cure.

* * *

Il martirio cristiano, che imporpora tutto il pellegrinaggio terreno della Chiesa di Cristo, è quanto di più grande ma anche di più semplice si possa pensare. In fondo, la sua motivazione sta tutta nelle poche e umili parole di preghiera che abbiamo imparato dalle labbra della nostra mamma: “Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa”.

E come se dicessimo: “Ti amo con tutto il cuore, e perciò non amo nessuno al di fuori di te e tanto meno contro di te. Ti amo sopra ogni cosa, e perciò sono pronto a rinunciare a ogni bene di questo mondo che passa e alla mia stessa vita di quaggiù che presto o tardi finisce. Tutto sono pronto a lasciare piuttosto che perdere te, Signore, che sei la vita che non ha termine e la felicità che non delude”.

Come si vede, la vocazione al martirio – che nella realtà si invera soltanto per coloro che sono chiamati a una sorte soprannaturalmente così preziosa – si innerva per così dire nella condizione propria di tutti i credenti e affonda le sue radici negli atti più usuali della professione cristiana. Al martirio quindi dobbiamo tutti essere pronti, noi che ci diciamo cristiani, anche se ci è consentito sperare che il Signore non ci metta alla prova.

Mi pare molto bello e certo è provvidenziale che questa celebrazione in onore di sant’Elia Facchini si collochi entro la Giornata Missionaria Mondiale. Può diventare – a saperlo intendere e mettere a frutto – un aiuto decisivo a farci meglio capire la “missionarietà” nella sua natura autentica e nel suo spirito irrinunciabile.

Il martirio non è una “bella esperienza”: interessante, circoscritta e a buon mercato come un dibattito culturale, una marcia pacifista, una chiassosa contestazione. Il martirio è una cosa tremendamente seria, perché è totale e definitiva.

Non si fa getto dell’unica vita terrena che l’uomo possegga per una causa meno alta di quella che è suprema: far conoscere, amare, adorare il Signore Gesù, che è la somma di ogni verità, di ogni giustizia, di ogni bellezza, e indicare agli altri la strada certa e infallibile per arrivare al Regno dei cieli.

Non si fa getto della vita solo per instaurare un dialogo cortese con chi ignora il disegno d’amore del Padre. Non si fa getto della vita solo per aiutare gli uomini a rimanere serenamente nei loro errori o almeno nella sostanziale insufficienza delle loro credenze religiose. Non si fa getto della vita solo per far progredire economicamente e socialmente i popoli lontani. Beninteso, sono intenzioni magari apprezzabili, ma non sono sufficienti a giustificare il martirio. Come non sono sufficienti a giustificare l’impegno missionario, che intenzionalmente deve essere sempre aperto e disponibile al sacrificio supremo.

Gesù ha detto: “Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc 8,35). “Per causa mia e del Vangelo”: per il martirio e per la missione queste, e unicamente queste, sono le finalità davvero adeguate.

Sant’Elia Facchini ci ottenga dal Signore un po’ della sua fede limpida, risoluta, coraggiosa; la sua testimonianza ci faccia ritornare, di là dalle ideologie correnti, alla verità esigente dell’insegnamento di Cristo e alla genuinità dell’azione evangelizzatrice; il suo esempio ci solleciti ad accogliere e a comprendere la parola di Dio che poco fa abbiamo ascoltato: “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare” (1 Pt 4,13).

22/10/2000
condividi su