dedicazione della cattedrale

Bologna, Cattedrale

Questa bella liturgia, che ogni anno ci raduna e ci allieta, è un dono insigne della benevolenza del Padre. Ed è soprattutto un dono di luce perché, cantando le lodi di questo sacro edificio, siamo indotti e facilitati a una più adeguata comprensione della realtà stupenda della Chiesa: particolarmente di questa nostra Chiesa “petroniana”, nella quale è presente – faconda di verità e attiva di grazia – tutta Chiesa di Dio.

La cattedrale, proprio perché “è la chiesa del vescovo, dove egli celebra solennemente i divini misteri, esercita il suo magistero autentico, guida sulle vie del Regno l’intera famiglia diocesana”, “è un appello concreto e visibile alla successione apostolica per mezzo della quale ci connettiamo storicamente e ontologicamente al Signore Gesù, siamo raggiunti dalla missione salvifica avviata dal Risorto (cf. Mt 28,16-20), veniamo compaginati” nell’unico corpo di Cristo. Così è detto nella recente Nota pastorale (n. 54), che certamente avete già cominciato a far conoscere e apprezzare dai vostri fedeli spiritualmente più docili e meglio disposti.

“Nella cattedrale (vi si legge ancora) – dove al servizio della vita sacramentale diocesana vengono benedetti gli oli e dove avvengono le ordinazioni diaconali, presbiterali ed episcopali – ravvisiamo la fonte della vita ecclesiale e percepiamo l’invito a non consentire che s’illanguidisca l’atteggiamento di sincera comunione e di amore verso la nostra Chiesa”.

Il rito odierno è destinato appunto a irrobustire queste certezze e a ravvivare questi sentimenti, così che la nostra famiglia possa riprendere rinsaldata e rianimata il suo cammino verso la patria eterna.

E’ un cammino non facile ed è da più parti insidiato. Ma noi non abbiamo nessuna paura, perché l’unico Salvatore e Maestro è con noi. La Chiesa è una nave che non teme i rischi di una navigazione tempestosa, perché a bordo ha il Signore Gesù.

E’ il paragone con cui san Pietro Crisologo, gloria della nostra terra, incoraggiava i nostri fratelli di fede di sedici secoli fa: “Cristo sale sulla barca della sua Chiesa per placare in ogni circostanza i flutti della vicenda terrena, per condurre quelli che credono in lui alla patria celeste con una serena navigazione, per fare cittadini della sua città quelli che già ha reso consorti della sua avventura umana”Perché senza un nocchiero celeste la nave della Chiesa, attraverso il mare burrascoso del mondo, in mezzo a tanti e a tali pericoli non potrebbe giungere al porto del cielo” (Sermo 50,2).

Certo, càpita spesso che il nostro divino Compagno di viaggio si metta a dormire e pare non curarsi dei nostri guai. In quei momenti, dice ancora il Crisologo in un’altra omelia, “dobbiamo essere noi a svegliare Cristo che dorme presso di noi, con il gemito di tutto il nostro mondo interiore, con la voce della fede, con le lacrime del nostro impegno cristiano, con intensa implorazione e con grida pari a quelle degli apostoli; anche noi dunque dobbiamo dire: ëSignore, salvaci perché stiamo per andare perduti’ ” (Sermo 20,3).

Oggi noi rivolgiamo a Dio, in quest’aula a lui consacrata, la stessa preghiera di Salomone: “Ascolta la supplica del tuo servo e di Israele tuo popolo, quando pregheranno in questo luogo. Ascolta dal luogo della tua dimora nel cielo; ascolta e perdona” (1 Re 8,30).

“Ascolta la preghiera del tuo popolo”. Questo è infatti il luogo particolarmente deputato ad accogliere il popolo bolognese che implora per la sua perseveranza nella fede dei padri, per la propria fecondità di opere giuste e buone, perché il precetto dell’amore sia qui vissuto sempre più largamente in una autenticità che rifiuti ogni contaminazione ideologica, e perché nella nostra terra continui a fiorire la civiltà del Vangelo.

La cattedrale è il cuore da cui fluisce e a cui rifluisce la storia di una città e di una gente. Essa ci offre la certezza e ci mantiene nel convincimento che il Signore dell’universo è diventato nostro concittadino, è pronto a dialogare con noi, ci elargisce la capacità di essere quello che vogliamo e dobbiamo essere: vale a dire, uomini completi, partecipi appassionati della vita civile e insieme sempre protesi al nostro destino eterno, discepoli di Gesù e suoi instancabili annunciatori, cristiani aperti e coerenti, senza arroganza ma anche senza ingenuità e senza cedimenti.

Dedicato com’è all’apostolo Pietro, questo nostro tempio ci richiama in maniera singolarmente perspicua il detto del Signore che abbiamo ascoltato: “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18).

“La mia Chiesa”: è la più semplice e la più commovente delle parole ecclesiologiche, e non c’è elucubrazione culturale o teologica che la possa misconoscere o attenuare. “La mia Chiesa”: la Chiesa è sua; nessuna oscura vicenda l’ha mai potuta nei secoli strappare dalle sue mani. La Chiesa è sua: chi è ostile o malevolo nei suoi confronti, è ostile e malevolo nei confronti del suo Fondatore e Padrone.

La santa Chiesa Cattolica, che vive qui e in ogni angolo della terra, – ed è splendidamente raffigurata in questo edificio che amiamo – è sì visibilmente fondata sul Principe degli apostoli e sui suoi successori, ma in realtà, nel mondo invisibile e più vero, ha la sua “pietra angolare” (cf. Ef 2,20) nel “Figlio del Dio vivente” (cf. Mt 16,16) che è stato felicemente rivelato a Pietro dal Padre a Cesarea di Filippo.

“Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (1 Cor 3,11), ci ha ricordato l’apostolo Paolo nella seconda lettura. E’ lui il ponte necessario e insostituibile, gettato tra la terra e il cielo. E’ lui il tempio vero e ormai indistruttibile nel quale ogni uomo si incontra e si rappacifica con il suo Creatore.

In lui la Divinità scende a cercare e a redimere l’umanità sviata e persa, che non ha e non può avere altra strada per arrivare a salvezza. In lui l’umanità ritrovata e salvata sale alla partecipazione della vita divina e alla eredità dei beni imperituri.

Da Cristo i nostri peccati sono espiati e distrutti, dal suo sangue ci viene un perdono inesauribile e la pacificazione di ogni inquietudine. Sulle sue mani crocifisse noi deponiamo le nostre suppliche e su quelle mani piagate dall’amore il Padre colloca per noi ogni necessario soccorso.

Gesù, morendo per noi e risorgendo, ha già vinto il mondo con tutte le sue aggressioni e le sue sempre ripullulanti malizie. E questa cattedrale è appunto uno splendido monumento alla vittoria del nostro Re, eretto dalla fede dei nostri padri e ancora vibrante della loro salda speranza.

Nella liturgia che qui è celebrata noi ci poniamo in ascolto della sua voce, diventiamo suoi commensali, entriamo con lui in una inaudita intimità, ponendo così le premesse della nostra partecipazione finale al suo trionfo.

E’ quanto ci è stato da lui esplicitamente promesso: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò a lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere presso di me, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono” (Ap 3,20-21).

19/10/2000
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