Siano lodati Gesù e Maria!
Questa celebrazione, così solenne e ricca di significati, nella quale uniamo i nostri cuori nella personale e comune lode a Dio per il centenario dell’erezione a Diocesi della Chiesa di Rijeka, è un vero rendimento di grazie. È gioia per tutto quell’immenso popolo senza confini che il Signore non smette di radunare “dall’Oriente all’Occidente”. L’Eucarestia, infatti, unisce il cielo e la terra, quanti oggi celebrano con noi la Liturgia in cielo, i martiri della fede e i santi della porta accanto, quelle “scintille” di amore che risplendono e illuminano la notte. La Chiesa è un popolo senza confini, davvero universale, lo abbiamo visto raccolto nel commiato a Papa Francesco e intorno a Papa Leone XIV. Ricordiamo il Papa con affetto e riconoscenza e lo accompagniamo con la nostra preghiera per il suo ministero di presiedere la comunione. Io lo ringrazio personalmente per avermi inviato qui oggi a portare la sua presenza e benedizione.
Contempliamo oggi la bellezza della comunione di Dio con noi e del suo amore che ci unisce e ci libera dalla tirannia dell’io, dall’individualismo che ci riduce a consumatori o dall’essere realtà chiuse e autoreferenziali. La comunione è un legame che non annulla le diversità, ma ne fa una cosa sola perché solo insieme si rivela il valore di ciascuna. La comunione è circolare e tutti riceviamo da questa pienezza e unità, e tutti siamo chiamati ad arricchirla con il nostro amore e con la nostra personale santità. Nella comunione siamo e restiamo diversi ma non divisi.
Siamo tutti importanti proprio perché parte di un unico corpo, chiamati e inviati per il mondo, respingendo le tentazioni egoistiche che generano chiusure, competizioni, diffidenze, gelosie che indeboliscono la forza della Chiesa. La Chiesa condivide “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”. Sono state e sono le nostre, perché “nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.
Questa condivisione non avviene in astratto ma sempre in una storia concreta, unita a quella della famiglia di Dio tutta, della Chiesa cattolica e romana. La storia di questi cento anni e la fausta coincidenza con il Giubileo della speranza invitano a ringraziare e a scegliere di essere, nelle tempeste della vita, testimoni gioiosi e credibili della speranza che ci è affidata, della quale dobbiamo rendere ragione perché c’è tanto bisogno nel cuore di ognuno, nei poveri che sono il corpo stesso di Gesù e in tutta la famiglia umana.
Aveva scritto Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo: “Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé” (SNC1). Certo, lo sappiamo che “l’imprevedibilità del futuro fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità”. Ringraziamo per il tanto bene che ci ha accompagnato in questi cento anni e cerchiamo tutti di testimoniare la speranza ai fratelli e al prossimo, ricordando che non è mai indifferente come viviamo, se teniamo accesa la luce della nostra fede o nascosta sotto il moggio.
La storia di questi cento anni porta un drammatico carico di dolore, a volte nascosto e indicibile, di uccisioni, torture, esodi forzati, di violenze che facciamo fatica a immaginare, di tanti frutti del male che hanno profanato il tempio di Dio che è ogni persona umana, e che hanno drammaticamente segnato la convivenza degli uomini. Ricordiamo tutte le vittime. I semi del male restano, non son mai inerti, inaridiscono i cuori, impediscono le relazioni, giustificano l’indifferenza e l’odio, preparano sempre ostilità e divisione, inoculando la separazione, il disprezzo, la distanza.
L’unica via per spezzare la tragica catena del male, “dell’occhio per occhio” che rende tutti ciechi, è vivere anche questo Giubileo come opportunità per “perdonare e chiedere perdono”, per purificare la memoria, per riparare quello che il male ha rovinato, per essere cristiani pieni di amore. Un cuore purificato non dimentica, anzi è capace di conoscere e di ricostruire quello che il male ha prodotto, di riconoscere che l’altro è sempre il mio prossimo e non un estraneo o, peggio, un nemico. Giovanni Paolo II ricordò a tutti la necessità di “perdonare e chiedere perdono se si vuole ottenere questo inestimabile bene e dare inizio ad una nuova stagione di reciproca intesa e di prosperità”.
Siamo parte gli uni degli altri e l’amore ci fa scoprire come siamo fatti gli uni per gli altri. Imparare ad amarci non è un generico e facoltativo invito ma un comando evangelico che qualifica l’essere cristiani, perché la giustizia che Gesù ci chiede non è mai retributiva e la nostra deve superare quella degli scribi e dei farisei. La memoria, personale e comunitaria, delle sofferenze sia per tutti motivo di consapevolezza, di monito a non coltivare l’odio, a non accettare totalitarismi pagani o nazionalismi ciechi che umiliano l’umanità e la stessa Patria, e di impegno per difendere e fare crescere il dono unico della pace. Purificare la memoria non è affatto dimenticare, anzi, ma comprendere quanto ogni violenza sia inaccettabile, riparare capendo la sofferenza del prossimo come la propria, combattere in noi l’istinto di Caino e così conquistare nel cuore quella pace che permette poi, come diceva San Serafino, che anche tanti intorno l’avranno.
Una pace disarmata e disarmante! L’amore di Cristo rende le stesse ferite fonte di gioia, perché la speranza di Dio nasce e rinasce nei buchi neri dell’umanità, e rende le ferite, evidenti e nascoste, le cicatrici del passato, i dolori che si fanno fatica a superare, dei fori di luce che trasformano il dolore in amore. La memoria di questi cento anni è anche vedere la Pentecoste che non cancella le appartenenze, anzi le ricorda tutte perché tutte siano incluse e tutti impariamo a parlare la lingua che ognuno capisce nella propria. Siamo parte viva di questa Chiesa Cattolica che è vera fraternità particolare e universale, perché tutti di Cristo e pieni del Suo Spirito di amore. È la ricchezza della vostra città, nella quale era normale passare davanti alla Sinagoga, alla chiesa evangelica od ortodossa, mescolare le lingue come avviene in una città cosmopolita. La Chiesa è sempre come a Pentecoste cosmopolita, universale, capace di rendere il mondo una casa e la nostra casa un mondo. Non smettiamo di coltivare e di sviluppare l’unità ecclesiale, impegnandoci per la giustizia e rifiutando tutto ciò che potrebbe mettere a rischio la pace tra i fedeli, i popoli e gli Stati.
Questa celebrazione e il Giubileo diocesano diventi uno stimolo per rafforzare la trasformazione missionaria della nostra Chiesa di Rijeka con rinnovato zelo pastorale e amore operoso. Nessuno ci separerà dall’amore di Cristo. E chi avrà perseverato fino alla fine è salvato. Ce lo ricorda San Vito, vostro Patrono. Nella sua vita vediamo la forza della fede, che non cede alle pressioni e alle minacce, libera dalle complicità con il male. Ecco la forza della pace, affidata ad ogni cristiano! Ha detto Papa Leone XIV: “Passerà alla storia chi seminerà pace, non chi mieterà vittime; perché gli altri non sono anzitutto nemici, ma esseri umani: non cattivi da odiare, ma persone con cui parlare. Rifuggiamo le visioni manichee tipiche delle narrazioni violente, che dividono il mondo in buoni e cattivi”.
Il mondo ha bisogno oggi della luce di Cristo, che ognuno di noi può riflettere con la sua vita, con l’accoglienza e la mitezza, essendo un ponte perché il prossimo sia raggiunto da Dio e dal suo amore. Ascoltiamo la sua proposta di amore per diventare la sua unica famiglia e per rendere l’unica famiglia umana come Dio la vuole. “Nell’unico Cristo noi siamo uno”. “Omogamo nam sveti Križ svetog Vida!”. Ci aiuti la Santa Croce di San Vito!
