Messa per la Tredicina della festa di Sant’Antonio di Padova

Siamo nel pieno del Giubileo della Speranza. Ne abbiamo bisogno. Senza speranza si sopravvive, vince l’amarezza della disillusione, ci si arrende alle prime inevitabili difficoltà, ci si sente in diritto di pensare a sé, tutto diventa privo di gusto, ci consegniamo a qualche venditore di illusioni, che risolva i problemi senza che noi dobbiamo fare nulla. Peccato che si prende tutto! La speranza, lo sappiamo, ha un prezzo, mentre l’illusione appare facile, attraente proprio per questo. La speranza dei cristiani, però, non delude “perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,1-2.5). È la Pentecoste! La speranza “nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce” (SNC 3), perché nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio. Lo Spirito, come l’amore, non si vede, ma al contrario del mondo digitale dove si può trovare falso il vero, l’amore permette di capire il reale. L’amore è tutt’altro che inconsistente e lo spirituale è molto concreto. Solo l’amore vero fa sentire, fa vedere e si rivela nei gesti, nelle parole, nei sensi che lo riflettono e lo comunicano. L’amore è interiore, tanto che a volte noi stessi non riusciamo a capirlo. Abbiamo bisogno di Dio amore per capire, però, che sia davvero amore! Quanto poco curiamo l’anima, mentre siamo attentissimi ad ogni epidermide della psicologia! Siamo pieni di terapie e interpretazioni per la superficie dell’io e così poco attenti al suo cuore e alla sua vera profondità.

San Francesco diceva: “Lo spirito della carne vuole e si preoccupa molto di possedere parole, ma poco di attuarle, e cerca non la religiosità e la santità interiore dello spirito, ma vuole e desidera una religiosità e una santità che appaia al di fuori agli uomini” (FF 48).  Lo Spirito, invece, rende piena la vita e si trasforma sempre, non invecchia e rende nuovo quello che è vecchio e che si deteriora, finisce, delude, si indurisce. Crediamo poco alla forza dello Spirito perché pensiamo che l’amore sia possedere, e lo misuriamo noi prigionieri di un materialismo pratico che ci fa appassionare per le cose e finisce per rendere noi stessi e il prossimo una cosa. Quando, come i discepoli a Gerusalemme, vediamo il caos del mondo, misuriamo il poco della nostra vita, la fragilità delle nostre persone, restiamo chiusi tra di noi, pieni di giustificazioni per quella paura che ci rende mediocri e isolati. Lo Spirito scende su ognuno, nessuno escluso. Ognuno è un dono e tutti possono parlare alla folla. Parlano lingue che non conoscevano: l’amore supera tutti i limiti e ci rende universali. Parliamo galileo – non perdiamo le nostre radici e la nostra storia, non diventiamo angeli senza sostanza – ma tutti capiscono nella loro lingua nativa, insomma parliamo al cuore. Tutti parlano. È comunione e la Chiesa è comunione, intono a Gesù e con tutti noi, l’amore è circolare, gli uni per gli altri. Senza Spirito, cioè senz’amore, diventiamo concorrenti, nemici, finiamo facilmente per essere difensivi e maligni, cioè guardiamo la pagliuzza, parliamo male o difendiamo la giustizia che senza l’amore, come per il fratello maggiore della Parabola, diventa solo condanna. Lo Spirito fa capire quello che non finisce perché è questo il vero desiderio del cuore dell’uomo. La Babele del mondo incute paura e nella paura ci si chiude.

La divisione entra facilmente nella comunità dei fratelli. Non ci scandalizza questo ma quando non la combattiamo o addirittura pensiamo di difendere la verità indebolendo l’unità della Chiesa, offendendo la comunione e chi, come il Papa, la rappresenta e la serve. La comunione è santa perché dono dello Spirito. La diversità non è divisione, lo è quando non amiamo, a seconda della convenienza, chi presiede la comunione, quando invece di servire usiamo, quando mettiamo noi al centro e non l’amore. La trasformazione è interiore: i discepoli restano gli stessi, non diventano eroi con caratteristiche e mezzi straordinari, ma hanno l’amore che rende la vita di tutti i giorni piena di vita. Dovranno sempre misurarsi con la loro debolezza eppure aprono le porte e si mettono a parlare, vincono le paure non per coraggio ma per amore.

Solo dopo aver parlato restano stupiti nel vedere che tutti li capiscono. Parlano non perché hanno tutte le risposte, ma perché pieni di amore, quell’amore che è la risposta e che ce le fornirà tutte! Amano tutti, non perché vada bene tutto o non si rendano conto ma perché solo l’amore cambia la vita e la semina, perché solo l’amore svela quel Dio ignoto che ogni persona cerca dentro di sé e che dolorosamente non trova. Lo Spirito ci fa conoscere il cuore di Dio e ci aiuta a trovare il nostro (GE 28), ognuno ha il suo. A Pentecoste tutti si mettono a parlare e hanno, in modi diversi, qualcosa da dire al prossimo.  Il nostro cuore si unisce a quello di Cristo e al prossimo. Pentecoste è il mio cuore e il nostro cuore, quello della comunità. Possiamo dubitare di tante persone, ma non di Lui. Lo Spirito non è far dire al Signore quello che vogliamo noi ma esattamente il contrario: essere personali e sociali perché pieni di Lui e di noi (DN 46). Altrimenti è romanticismo religioso, un sogno fuori dal mondo, diventa caos, una Babele piena di violenza, guerra, cattiveria, tortura di vario genere, ma sempre tortura. Lo Spirito non ti risolve tutto ma ti dà la forza perché amando sappiamo che il male sarà sconfitto. È una forza non un tranquillante, apre gli occhi non li chiude. Lo Spirito fa uscire, non diventa un tranquillante per il benessere individuale.

Non possiamo tenercelo per noi, anzi, ci spinge a parlare al cuore di tutti. Molte persone cercano in varie proposte religiose la salvezza, il benessere o la sicurezza. Paolo, travolto lui per primo dallo Spirito, ci insegna ad essere figli e non schiavi, ha saputo guardare oltre e meravigliarsi della cosa più grande e fondamentale: “Mi ha amato”, mi ama, continua ad amarmi nonostante il mio peccato, mi dona la Sua forza e questo mi fa amare. Sant’Agostino diceva che questo fiume che sgorga dal credente è la benevolenza, l’inizio del bene. Viviamo in un mondo diviso che per credersi sicuro si abitua a fare senza il prossimo, che pensa di vincere la paura con l’esibizione di sé o con il possesso delle cose. Un mondo che si esercita nell’arte della guerra e non in quella della pace. Le conseguenze della violenza e dell’odio che ciò comporta durano decenni, possono restare inerti ma si riaccendono facilmente, anche in maniera incredibile, inaspettata, stordente, tragica. Un mondo dove nell’indifferenza muoiono milioni di Abele colpiti o abbandonati da Caino, o dove la solitudine diventa la condizione normale, pur non essendo fatti per stare soli perché non è buono che l’uomo sia solo, ci ammaliamo e ci indeboliamo ancor di più. Solo l’amore di Dio ci fa pensare insieme. Non uguali ma uniti. Ci fa scoprire che, come avviene quando amiamo, siamo fatti l’uno per altro. Antonio di Padova diceva: “Le diverse lingue sono le varie testimonianze che possiamo dare a Cristo, come l’umiltà, la povertà, la pazienza e l’obbedienza e parliamo queste lingue quando mostriamo agli altri queste virtù, praticate in noi stessi. Il parlare è vivo quando parlano le opere. Vi scongiuro: cessino le parole e parlino le opere” (Sermoni, p. 377). Perché queste riflettono l’amore. Non qualcosa di sensazionale ma la bellezza straordinaria dell’amore che rende piena, perché amata, la vita di ciascuno.

Papa Leone XIV ha pregato così: “O Re Celeste, Consolatore, Spirito di Verità che sei ovunque e riempi ogni cosa; Tesoro di Benedizioni e Datore di vita, vieni e dimora in noi, purificaci da ogni impurità e salva, Benigno, le nostre anime”.

Padova, Basilica del Santo
08/06/2025
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