chiusura del grande giubileo del 2000

Bologna, Cattedrale

Nel pomeriggio del Natale del 1999 abbiamo fiduciosamente aperto, nella sua proposta bolognese e secondo il programma diocesano, l’Anno Santo straordinario del bimillenario di Gesù. Adesso, con questa anticipata celebrazione della solennità dell’Epifanìa, gioiosamente lo concludiamo.

Il nostro animo è colmo di letizia e di riconoscenza per la grande effusione di grazia che in questi dodici mesi ha arricchito, anche nella nostra terra, “il popolo che Dio si è acquistato” (cfr. 1 Pt 2,9). Questa cattedrale ha visto un concorso di fedeli che nella consistenza numerica e nella esemplare partecipazione alla preghiera corale, ai riti prescritti, ai sacramenti, alla liturgia eucaristica, ha superato ogni più favorevole previsione.

I vicariati, le parrocchie, gli istituti, le varie aggregazioni, le più diverse categorie di persone, settimana dopo settimana, hanno affollato questo tempio che è il cuore della nostra vita ecclesiale; e tutti mantenendosi nell’atteggiamento umile e pio di pellegrini ben consapevoli dell’eccezionale pregio soprannaturale del loro gesto.

Di tutto ciò rendiamo grazie al “Padre della luce”, da cui discende “ogni buon regalo e ogni dono perfetto” (cfr. Gc 1,17). Rendiamo grazie al Figlio suo unigenito, coeterno a lui e consostanziale, che entrando duemila anni fa nella vicenda umana è divenuto il Signore irrecusabile della storia e dei cuori. Rendiamo grazie allo Spirito Paràclito, dono inesausto del Risorto, che con eccezionale copiosità nell’anno trascorso ha illuminato le menti e ha raggiunto le coscienze, incitandole al bene e rasserenandole.

Vogliamo stasera esprimere intensa gratitudine anche a coloro che, con multiforme responsabilità progettuale e operativa, hanno contribuito a rendere possibile un’esperienza religiosa di così alto valore. In tal modo, essi si sono fatti, per usare una parola di san Paolo, “collaboratori della nostra gioia” (cfr. 1 Cor 1, 24).

Naturalmente il nostro pensiero affettuoso e ammirato va in primo luogo al papa Giovanni Paolo II, che del prodigioso evento giubilare è stato l’animatore geniale e l’infaticabile protagonista.

Domandiamoci adesso: quali sono stati i sentimenti primi e determinanti che hanno mosso il popolo cristiano ad accogliere con tanto favore l’invito del Giubileo?

Credo si possa fondatamente rispondere: c’è stata prima di tutto una “riscoperta” del Signore Gesù, il Festeggiato del fatidico “Anno Duemila”, della sua centralità nella determinazione del destino umano, dell’unicità e della necessità per tutti della sua azione redentrice; e c’è stata altresì una ritrovata fiducia nella Chiesa, Sposa fedele e intemerata di Cristo, e nella sua sollecitudine intelligente e amorosa per noi.

Il grado di consapevolezza di questi due motivi ispiratori non era certo identico in tutti. In molti, queste due certezze erano confuse e psicologicamente latenti. Ma è indubbio che chi si è arreso al richiamo dell’Anno Santo, si è almeno implicitamente persuaso, contro ogni irenico relativismo, che “uno solo è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2,5-6); e nessun dialogo interreligioso – per quanto auspicabile, come segno e prova del rispetto e dell’interesse doveroso nei confronti di ogni errante che è sincero e in buona fede – può neppur lontamente insidiare questa verità comunicataci dalla divina Rivelazione.

Ed è altresì indubbio che chi ha corrisposto cordialmente alla voce materna che lo invogliava a mettersi sulla strada della conversione e del rinnovamento, implicitamente riconosceva che – nonostante il discredito e i giudizi malevoli, sparsi e ossessivamente propagandati dalla cultura mondana dominante – nella sfilata dei secoli non è apparsa mai realtà più nobile, più ricca di senso, più affidabile, più consolante per l’uomo, della “nazione santa” (cfr. 1Pt 2,9) che il Signore “si è acquistata col suo sangue” (cfr. At 20,28). E così abbiamo capito che non c’è sotto il sole fortuna più grande di quella di abitare “nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità” (cfr. 1 Tm 3,15), come ancora una volta ci insegna san Paolo.

Dopo quest’anno di grazia, “che cosa dobbiamo fare, fratelli?” (cfr. At 2,37). Che cosa deve fare questa famiglia di credenti, che è singolarmente cresciuta nella conoscenza salvifica del Signore Gesù, della sua imparagonabile bellezza e della bellezza riflessa e partecipata del suo “mistico Corpo”, se non ripartire con un impeto nuovo nell’impresa di annunciare a ogni uomo l’unico Salvatore del mondo e il suo Regno; quel “Regno” che già ora vive mistericamente nella sua Chiesa (cfr. Lumen gentium 3)?

Non per caso, ma per una sapiente disposizione del Padre questa conclusione dell’Anno Santo si colloca entro la festa dell’Epifanìa, che celebra la proclamazione di Cristo a tutte le genti e la rivelazione del suo mistero di salvezza a tutti i popoli della terra (cfr. Prefazio della solennità).

“Chi dobbiamo evangelizzare? La risposta ci viene da Gesù stesso: “Predicate il Vangelo a ogni creatura’ (Mc 16,15). Siamo inclusi tutti: tutti noi cristiani, che nel nostro mondo interiore siamo ancora largamente pagani; e, senza alcuna eccezione, gli altri che, quando anche sembrano del tutto estranei alla fede, spesso ospitano in sé non poche scintille del fuoco evangelico” (cfr. Nota pastorale “Guai a me”‘ 12)”.

“A tutti siamo “debitori del Vangelo’. Il nostro compito di annunciatori non ha limiti. E’ intrinseco nella nostra condizione di cristiani che Gesù di Nazaret sia riconosciuto da tutti come il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, il Signore che è risorto ed è il principio di risurrezione” Nessun timore di essere accusati di proselitismo può raggelare il nostro slancio apostolico.

Il proselitismo, che noi fermamente respingiamo consiste nel non rispettare la libera autonomia delle persone a decidere o nel cedere alla tentazione di percorrere per cristianizzare le vie della violenza, dell’astuzia, delle indebite pressioni psicologiche. Noi possiamo e vogliamo contare soltanto, oltre che sulla grazia illuminante del Signore, sul fascino naturale che la verità immancabilmente possiede quando è efficacemente presentata e testimoniata dall’amore che da essa è sostenuto e promosso” (ib. 16).

Ecco dunque la consegna che ci viene da questo indimenticabile Giubileo dell’anno 2000: “Guai a noi, se non avremo evangelizzato!” (cfr. 1 Cor 9,6).

05/01/2001
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