Chiusura della fase diocesana
del processo di
canonizzazione
di don Olinto Marella

Gode la Chiesa di Dio in Bologna poiché vede che uno dei suoi figli più grandi è incamminato verso la gloria degli altari, consapevole come essa è che tutta la sua “potenza” consiste nella santità dei suoi figli.

Ma come ogni madre, anche la Chiesa ha nel cuore una certa gelosia per i suoi figli e non permette di esserne privata, come accade ogni volta che essi vengono compresi – sarebbe meglio dire incompresi – secondo categorie non propriamente ed originalmente evangeliche.

Attendendo con totale e gioiosa disponibilità il giudizio infallibile della Chiesa, sento il bisogno in questo momento di fare alcune riflessioni  di carattere piuttosto teologico sulla figura, la vita e l’insegnamento di P. Marella, che da questo momento deponiamo dentro al discernimento spirituale della santa Chiesa.

1. Ogni esistenza ha un suo segreto, poiché la coscienza che ciascuno ha del senso della propria vita rimane custodito nel cuore.

Ma con profonda venerazione ho cercato di sapere questo segreto di P. Marella, o almeno di averne una qualche conoscenza. Mi piace esprimerlo nel modo seguente: egli ha conosciuto la miseria umana: egli ha conosciuto Cristo; con tutte le forze egli li ha avvicinati. In un solo sguardo, nello stesso sguardo egli ha visto nel povero, Cristo e ha visto in Cristo, il povero. «Cristo è in agonia fino alla fine del mondo», ha scritto un grande pensatore cristiano; e Gesù ha

detto: «i poveri li avrete sempre con voi». In ogni povero è l’agonia di Cristo che si continua; nell’agonia di Cristo ha agonizzato la dignità di ogni reietto.

L’avvicinamento della miseria umana, di ogni miseria umana a Cristo e di Cristo ad ogni miseria umana trasforma quell’uomo in carne ed ossa che P. Marella cercava fra i più abbandonati ed accoglieva, in una persona consapevole della sua dignità. Cristo è l’infinita dignità dell’uomo.

            Quando invece la miseria umana è separata da Cristo, l’uomo diventa o indifferente all’umiliazione dell’altro o semplice operatore sociale. Quando Cristo è separato dalla miseria umana, il cristiano diventa uno che o sfugge il peso del mestiere umano o viene sequestrato da inefficaci programmi sociali. P. Marella richiama la coscienza della nostra città; è una salutare spina piantata

nella sua carne.

2. Donde deriva questa capacità di avvicinare miseria umana e Cristo? Chi dona all’uomo la forza di farlo? «Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo» [1Cor 2,16b], dice l’Apostolo. è l’amicizia con Cristo, che ci assimila a Lui; è lo stare in sua compagnia, che riproduce in noi Cristo stesso. In uno scritto che p. Marella consegnò al Card. A. Poma e reso pubblico solo nel giorno del suo funerale, egli dice: «ho desiderato e mi sono

proposto di lasciarmi guidare … dall’unico assillo che “Charitas Christi urget nos”». Si noti bene: «unico assillo» dice il padre; e «farmi guidare», indicando così il movimento originario del suo spirito. L’unica forza propulsiva del suo agire ha voluto che fosse l’amore che Cristo ha per l’uomo, desiderando esserne pervaso. Ed aggiunge: «nella Chiesa sua santa», unico luogo ove è possibile

all’uomo essere trasfigurato in Cristo.

L’acqua a cui tutti i disperati di Bologna potevano dissetarsi aveva questa sorgente profonda: sgorgava dal Cuore di Cristo. A questa sorgente il primo a dissetarsi era p. Marella stesso in una esemplare vita di preghiera, che toccava il suo vertice nella celebrazione dell’Eucaristia.

3. La carità di p. Marella non può essere intesa in altro modo. La carità cristiana ha una sua autonomia poiché ha una sua inconfondibile originalità. Non esiste come “supplenza congiunturale” a quanto altri, privati od istituzioni, non riescono a fare. L’uomo ha bisogno che la sua miseria sia avvicinata a Cristo e Cristo alla sua miseria: la carità cristiana è la risposta a questo bisogno. L’uomo ha diritto a questa risposta,

poiché il puro servizio sociale, la mera filantropia, è opera solo umana e non raggiunge nell’emarginato quell’abisso dove la sua dignità di persona è ferita. è l’amore di Cristo che fa risorgere l’uomo.

Certamente, i vari soggetti che esercitano la carità cristiana, inseriti come debbono essere nella società civile, cooperano con altri soggetti favorendo la creazione e la condivisione di un’etica pubblica centrata sulla solidarietà, sulla collaborazione concreta, sul dialogo rispettoso di ogni interlocutore. Così deve essere. Ma la carità cristiana è più che questo; è anche altro che questo. La Chiesa non è la succursale di nessuno. è l’amore

impossibile, ma sommamente desiderato, che diventa un evento reale.

Il lascito spirituale e culturale di p. Marella è questo. Lascito grande, prezioso e particolarmente significativo in quest’ora di travaglio che la nostra città sta vivendo. Affidiamo ora alla Chiesa il giudizio definitivo sulla sua santità; a noi comunque resta la missione di non dilapidare il suo lascito. La sua testimonianza resti sempre piantata nella coscienza della nostra città, perché nessuna sorta di collasso o atonia spirituale spenga mai nei suoi

abitanti il desiderio del vero amore. 

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La fase diocesana del processo di canonizzazione di don Olinto Marella fu aperta formalmente l’8 settembre 1996 dal Cardinale Giacomo Biffi, che nominò il Tribunale diocesano. I periti storici tra il 1998 e il 2000 hanno esaminato oltre cento testimonianze. Il Decreto degli atti processuali è stato emanato lo scorso 1° dicembre.

Al termine della chiusura della fase diocesana del processo, gli atti originali verranno portati nell’Archivio della Curia. Due copie verranno consegnate alla Congregazione per le cause dei Santi in Vaticano, dove continuerà la procedura in vista della beatificazione.

Don Olinto Marella è nato a Pellestrina (Venezia) il 14 giugno 1882. Fu ordinato sacerdote nel 1904. Dopo dolorose vicende, trasferitosi a Bologna nel 1925, viene accolto dal Cardinale Nasalli Rocca e diviene insegnante di Storia e Filosofia al Galvani e al Minghetti. Nel 1934 fonda il “Pio gruppo di assistenza religiosa negli agglomerati dei poveri” e dà vita a “Case rifugio” per orfani e bambini abbandonati. Per loro si fa mendicante nelle vie della

città. Nel 1941 fonda l’Opera “Pro infantia et juventute”, associazione delle terziarie francescane chiamate anche “Suore di Padre Marella”. Nel 1948 istituisce una prima “Città dei ragazzi”, in via Piana, con laboratori-scuola; nel 1954 una seconda a S. Lazzaro di Savena, il “Villaggio artigiano”, la Casa della Carità e la chiesa della Sacra Famiglia. A Brento di Monzuno costruisce la chiesa di Sant’Ansano e la “Casa

del pellegrino”.

Muore il 6 settembre 1969 a 87 anni. Tutta Bologna è presente al suo funerale. Le sue spoglie sono custodite nella Cripta della chiesa della Sacra Famiglia a S. Lazzaro di Savena.

 

17/12/2005
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