commemorazione degli arcivescovi bolognesi defunti

Bologna,Basilica di San Luca

Il breve passo della lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato, ci dà due indicazioni diverse e complementari, molto preziose a mantenere la nostra commemorazione degli arcivescovi defunti e la nostra attenzione fedele all’eredità che ci hanno lasciato nella piena conformità al disegno di Dio.

Prima di tutto non bisogna dimenticare mai che – in qualunque epoca e in qualunque momento della nostra storia – il nostro Signore e Maestro è sempre Gesù, “l’apostolo e sommo sacerdote della fede che professiamo” (Eb 3,1). È lui Il nostro vescovo vero e intramontabile: è lui, come dice san Pietro nella sua prima lettera, il pastore e il vescovo delle nostre anime (1 Pt 2,25).

Perciò, per quanto sia grande la venerazione e l’affetto che ci legano al vescovo da cui siamo stati ordinati o con cui abbiamo più strettamente collaborato o che più a lungo è stato il nostro punto di riferimento ecclesiale, questa venerazione e questo affetto – senza perdere niente della loro umana autenticità – sono essenzialmente relativi a Gesù Cristo che, come abbiamo ascoltato, “è lo stesso i e r i , oggi e sempre” (cf Eb 13,8) e attraverso le differenti e successive figure sacerdotali ha provveduto con amore continuo al bene della nostra Chiesa.

Per quanto possiamo avere in terra guide diverse – possiamo essere discepoli di Paolo o di Apollo o di Cefa – noi tutti siamo di Cristo, come Cristo è di Dio (cf 1 Cor 3,22).

Detto questo, bisogna prendere sul serio anche la seconda indicazione della lettura, che è quella di non lasciar cadere mai nella dimenticanza i nostri capi, che ci hanno annunziato la parola di Dio (cf Eb 13,7).

E non solo perché è giusto nutrire un sentimento di riconoscenza verso coloro che hanno speso la vita perché il popolo di Dio che è in Bologna restasse nell’obbedienza della fede, ma anche perché ciascuno di loro ha rappresentato una grazia tipica e un dono particolare fatto dalla Provvidenza alla nostra Chiesa; una grazia e un dono che possono ancora, attraverso la nostra memoria, esercitare il loro multiforme e benefico influsso. Ci sono infatti diversità di carismi, ma uno solo e lo Spirito; come ci sono modi e stili diversi di attendere al sacro ministero, ma uno solo è il Signore che viene servito; come ci sono decisioni e iniziative diverse, ma uno solo è il Padre che, ispirandole, opera tutto In tutti (cf 1 Cor 12,4-6).

Così si illumina e si impreziosisce l’odierno nostro raduno. Noi siamo qui a richiamare la cara immagine paterna degli arcivescovi defunti, a impetrare per loro la pace e la luce eterna nella casa di Dio, a rievocarne gli esempi e gli insegnamenti.

E lo facciamo attraverso il mistero del “Corpo dato” e del “Sangue versato”, che rende realmente presente tra noi l’unico Pontefice della Nuova ed Eterna Alleanza, e ci pone in comunione col suo sacrificio redentore.

Noi raccomandiamo oggi al Padre nostro dei cieli Monsignor Enrico Manfredini, il cardinal Antonio Poma, il cardinal Giacomo Lercaro. Ma la nostra attenzione e particolarmente rivolta al cardinal Giovanni Battista Nasalli Rocca, nel 45? anniversario della sua dipartita.

Egli è morto il 13 marzo 1952, e qui – accanto alla Madonna di San Luca che ha tanto filiamente amato – riposa in attesa della risurrezione.

Nessun episcopato dell’epoca moderna fu più lungo del suo, se si eccettua quello assolutamente eccezionale del cardinal Carlo Opizzoni .

Per trent’anni fu il nostro pastore: un pastore umanissimo e buono, dalla fede semplice e intemerata, dalla totale adesione a Cristo e alla sua Sposa, Ha tanto amato il suo popolo, e ha avuto la sofferenza di vederlo colpito dai bombardamenti, angosciato e immiserito da una guerra interminabile che era arrivata coi suoi orrori fin sopra le nostre case. Ma così la sua carità fattiva ebbe modo di fiorire e di manifestarsi davanti a tutti.

Con singolare predilezione ha voluto bene ai suoi preti, e ha dovuto subire la pena di vederne non pochi uccisi da contrapposte ma ugualmente disumane ferocie.

Ha avuto dunque una croce pesante; perciò possiamo sperare che sia davvero gioiosa e luminosa la sua sorte nella Pasqua eterna.

Quest’anno lo vogliamo soprattutto ricordare come l’arcivescovo del IX Congresso Eucaristico Nazionale, che si è svolto a Bologna dal 7 all’11 settembre 1927. E fu così grande il guadagno spirituale per la nostra Chiesa che egli verificò in quell’evento, che decise con felicissima intuizione che questo guadagno in qualche modo si prolungasse nei Congressi Eucaristici Diocesani celebrati alla scadenza di ogni decennio.

Se, come auspichiamo, la cristianità bolognese avrà quest’anno con l’avvenimento del prossimo settembre un’accresciuta vitalità nella sua donazione a Cristo vivo e sempre presente, e al vero bene degli uomini, lo dovremo certamente anche all’intelligenza della fede e al coraggio soprannaturale di cui il cardinal Nasalli Rocca ci ha dato un mirabile esempio.

“Padre , voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io” (Gv 17,24). Rassicurati da questa preghiera di Gesù noi osiamo sperare che tutti questi nostri pastori – dei quali abbiamo conosciuto e apprezzato le virtù sacerdotali e la dedizione apostolica – insieme con san Zama, con sant’Eusebio, con san Felice, insieme con san Petronio, nostro patrono, e con tutti i santi vescovi bolognesi siano rallegrati dalla contemplazione aperta dell’unico Salvatore del mondo e dalla visione della sua gloria.

Sarà lui, il Signore Gesù – colla sua ricompensa che trascende ogni attesa e ogni speranza – a esprimere loro tutta la nostra devozione e il nostro grazie.

13/03/1997
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