Conferenza pubblica magistrale su Sant’Ambrogio

Bologna, Cattedrale

Il cardinale Biffi esordisce ricordando il rapporto che lega Sant’Ambrogio a Bologna: Sant’Ambrogio non è estraneo a Bologna. Tra tutte le Chiese dell’Alta Italia, la nostra è stata da lui seguita con particolare sollecitudine. A Bologna aveva amici non solo tra gli ecclesiastici, ma anche tra i laici. A Bologna, Ambrogio è riuscito a proporre due tratti salienti della sua genialità pastorale: il culto dei martiri e la verginità consacrata. E la nostra Chiesa ha sempre conservato con devozione la sua memoria. Egli è stato qui invocato come “defensor civitatis”. Presso la “curia sancti Ambrosii” nasce la prima forma, si può dire, della nostra vita comunale. Fedeli a questa lunga tradizione cultuale, non potevamo non ricordare con atto solenne il XVI centenario del suo beato transito, avvenuto il 4 aprile 397″. Qui l’Arcivescovo situa la celebrazione ambrogiana nel contesto del Congresso Eucaristico; “Noi vogliamo stasera farci aiutare da Sant’Ambrogio a capire e ad assimilare bene il tema del nostro prossimo Congresso Eucaristico Nazionale: “Gesù Cristo unico Salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre”.

L’interesse per Cristo e per l’uomo, insieme col convincimento della loro intrinseca connessione è sotteso quasi ad ogni pagina di Ambrogio.
Nel pensiero di Ambrogio il cardinale Biffi rileva tre capisaldi:

Cristo capo e principio vitale dell’universo

“Ambrogio contempla in Cristo la “pienezza della divinità” e la difende efficacemente contro le insidiose e cangianti attenuazioni ariane e contro gli irenici compromessi, cari al potere politico.”
Ma egli “è attentissimo a esaltare anche la “pienezza di umanità del Figlio di Dio incarnato.(…)
Cristo – Dio vero e perfetto, uomo vero e perfetto – è associato al Padre nell’opera della creazione. Egli è “in principio” e anzi è “il principio”: questa è la prospettiva di Ambrogio.
Costitutivamente dunque Cristo è all’origine dell’universo ed è il principio vitale dell’universo. Tale indole totalizzante del Signore Gesù – che per sÈ eccede ogni vicenda di colpa e di redenzione – fa sì che in lui l’uomo possa e debba trovare tutto ciò che desidera e gli è necessario.”

Grandezza e miseria dell’uomo

Ambrogio esalta la bellezza e la nobiltà originarie dell’uomo con accenti di imparagonabile vigore. In proposito, il cardinale Biffi cita alcuni passi dell’Exameron.
“Nell’uomo – nota il Cardinale – si compongono gli opposti incanti dell’eternità e di questa vita che passa. Va anzi detto che senza l’uomo l’intero universo perderebbe di significazione e di scopo.” Infatti, come si legge nell’Exameron: “Sarebbe risultata inutile la natura, se la provvidenza divina non avesse aggiunto uno che fosse in grado di servirsene.
Ambrogio però – prosegue l’Arcivescovo di Bologna sulla scorta dei testi ambrogiani – era immerso nella dolorante vicenda umana e non ignorava il malessere dell’esistenza. Anzi, ciò che colma la nostra sventura è il nostro destino di morte. La sua stessa prospettiva ci immalinconisce. Ed è un destino dal quale non c’è scampo per nessuno.
Ancora più penosa e tragica è la miseria morale dell’uomo, il quale è condannato a soccombere alle forze preponderanti del male.(…) Ambrogio riconosce che uno stato di colpa si accompagna ai primordi dell’esistenza e addirittura antecede la nascita.

L’unico Salvatore

Ma – afferma il cardinale Biffi proseguendo nell’indagine del magistero di Ambrogio – “al capolavoro dell’universo compete un destino di salvezza. Una creatura così miserevole ha bisogno di trovare pietà; d’altronde un essere così alto e prezioso non può andare perduto. (…) Secondo lui la stessa nostra nativa miseria fa parte di un progetto di elevazione. SicchÈ c’è paradossalmente qualcosa di positivo nella colpa, dal momento che Dio la vede come la premessa necessaria alla manifestazione della misericordia che per Ambrogio è il senso ultimo e la ragione decisiva di tutta l’azione creatrice.”

E qui il Cardinale cita la stupefacente finale dell’Exameron:
“Ringrazio il Signore Dio nostro, che ha creato un’opera così meravigliosa nella quale trovare il suo riposo. Creò il cielo, e non leggo che si sia riposato; creò la terra, e non leggo che si sia riposato; creò il sole, la luna, le stelle, e non leggo che nemmeno allora si sia riposato. Leggo invece che ha creato l’uomo e che a questo punto si è riposato, avendo qualcuno cui poter perdonare i peccati”.(…fecerit hominem et tunc requieverit, habens cui peccata dimitteret” Exameron VI,76).

Siamo stati creati per mezzo di Cristo e per mezzo di Cristo siamo stati redenti. Tra questi due interventi – osserva l’Arcivescovo di Bologna – c’è correlazione e connessione strettissima. Il secondo, oltrepassando il primo in valore, lo porta a compimento”. Così, infatti, prega Ambrogio nel suo commento al Salmo 118: “Ti rendiamo grazie, Signore Gesù, per averci creati; e, una volta creati, per averci dato potere sulle bestie feroci, sugli animali senza parola. Ma ancora più grandi sono i benefici della tua venuta. Visitandoci ci hai fatto l’onore di renderci partecipi della tua sovrana grandezza, dicendo: “Narrerò il tuo nome ai miei fratelli”.
Avendo assunto il nostro corpo, ci sei stato fratello, senza cessare di essere Signore. Più grande è il dono della redenzione: hai riscattato con la tua morte quanti ne correvano il rischio;…hai ridestato i morti;…i risorti li hai assimilati agli angeli;…e alla fine li hai collocati alla destra di Dio.”

A questo punto il Cardinale così sintetizza:
“Gesù Cristo è dunque costituzionalmente “Salvatore”. Si capisce allora come abbia dovuto e voluto essere solo nell’operare la nostra salvezza. Nessuno ha potuto affiancarsi a lui in questa impresa nè fungere da intermediario e da suo rappresentante. (…) Doveva essere solo anche perchè non c’è nessun’altra creatura che non sia essa stessa bisognosa di redenzione.” Egli è dunque il Salvatore di tutti: “se è unico, è anche universale.(…)
È, se possiamo concederci una sgrammaticatura, il “più prossimo”. Perciò quando si parla del precetto di “amare il prossimo”, prima e più che di ogni altro si parla di lui. Sant’Ambrogio sottolinea come tutto in Cristo è salvifico. “Gesù è salvatore con la totalità del suo essere e del suo agire. È salvatore perché tutto quello che c’è ed è avvenuto in lui, è principio vitale per tutti.” Perciò “conoscere e meditare sull’intera vicenda salvifica di Gesù – e specialmente sulle sue umiliazioni – è per il cristiano il modo più fruttuoso di progredire consapevolmente verso la meta che gli è stata assegnata.
Vi è un segno speciale della redenzione operata dal Signore, e questa è la Croce. Prosegue il Cardinale: “Tutto ciò che il Figlio di Dio ha compiuto va ritenuto salvifico. Tuttavia la nostra attenzione preminente deve essere riservata all’immolazione del Calvario. La croce è dunque il segno più eloquente della rinascita e della vittoria dell’uomo. La morte di Cristo in Croce è l’entusiasmante ragione della nostra nuova vitalità.” E cita Ambrogio in “De fide”: “La mia sapienza è la croce del Signore, la mia redenzione è la morte del Signore. “Sapientia mea crux Domini est, redemptio mea mors Domini est”. Non ci sono altre sorgenti di salvezza diverse dalla croce di Cristo. Di essa la fede si gloria, di essa dobbiamo fare il principio del nostro comportamento davanti alle insidie e alle lusinghe del mondo.
In Cristo tutto è salvato, insegna il Cardinale: “Abbiamo ereditato da Cristo una salvezza integrale: ogni fibra di umanità è raggiunta e rinnovata. Egli ha preso su di sÈ tutto ciò che è nostro – anche ciò che è povero e dolente – ed è riuscito a farne principio della nostra radicale salvezza. “Cristo ha preso la mia volontà, ha preso la mia tristezza. Non ho paura di nominare la tristezza, perchè predico la croce”.” Ma, si domanda il cardinale Biffi: “È proprio vero che la strada della salvezza sia in senso assoluto soltanto quella “cristiana”, cioè quella offertaci da Cristo? Non si danno in nessun modo altri percorsi?” Dopo quanto detto non sono possibili dubbi: “la risposta di Ambrogio è implicita nella visione nitida e appassionata che egli ha del Signore Gesù e della sua singolarità totalizzante e onnicomprensiva. È impensabile che, entro il contesto che qui è stato delineato, si diano altre ipotesi.
Ne è conferma la controversia fra il Prefetto Simmaco e il Vescovo Ambrogio, rievocata così dal Cardinale: ” Ambrogio ha avuto anche un’occasione di rendere esplicito il suo pensiero a questo proposito, ed è stata la controversia con Simmaco circa il ripristino in senato dell’altare della Dea Vittoria.
L’altare era stato rimosso dall’imperatore Graziano. Ma nel 384 – morto Graziano e succedutogli Valentiniano II, che era appena ragazzo – il prefetto dell’Urbe Simmaco chiede con un esposto all’imperatore che venga ricollocato. Ambrogio si oppone e invia un controesposto. Anche se può apparire paradossale, la posizione di Ambrogio è la più “laica”. In senato – egli dice – ormai siedono insieme pagani e cristiani; non è giusto che la coscienza di qualcuno sia ferita dai segni esteriori di un culto che non è più accettato da tutti. Simmaco, per qualche aspetto sembra il più “religioso”. Egli è convinto che senza una religione manifestata non ci si difenda abbastanza dalla prevaricazione e dalla iniquità.
Questo necessario richiamo rituale alla trascendenza sia significato -dice Simmaco – da quello che c’è sempre stato, e che tra l’altro rappresenta la continuità spirituale della romanità. Del resto, che pretesa è quella dei cristiani di essere la religione unica vera? Alla fine adoriamo tutti la stessa misteriosa e inafferrabile Divinità, anche se ciascuno di noi lo fa secondo i suoi convincimenti e le sue proprie tradizioni.
Ambrogio non si lascia incantare dall’abile eloquenza di Simmaco, e ribatte. I pagani parlano sì di Divinità in termini nobili e forbiti; ma in pratica la loro religione si risolve nell’omaggio a un idolo, muto e inerte, che è indegno dell’uomo”.(…) Difendono una dottrina priva di verità. Parlano di Dio, ma adorano un simulacro”. (“Deum loquuntur, simulacrum adorant”).

All’argomento più sottile e seducente di Simmaco – nota, con Ambrogio, il cardinale Biffi – va opposto che tutte le strade per andare a Dio sarebbero accettabili, se Dio stesso non ci avesse indicato lui positivamente l’itinerario da seguire.
“Mi insegni il mistero del cielo lo stesso Dio che lo ha creato, non l’uomo che non ha nemmeno conosciuto se stesso. Sul conto di Dio, a chi devo credere se non a Dio? Come posso credere a voi, che confessate di non conoscere ciò che adorate?” “Ma ciò che voi ignorate, noi l’abbiamo appreso dalla stessa voce di Dio; e ciò che voi cercate attraverso ipotesi, noi lo conosciamo con certezza dalla sapienza stessa di Dio e della sua verità”.
Osserva qui il Cardinale: “Conoscendo il pensiero generale del vescovo di Milano, oseremmo parafrasare così questi testi. L’evento del Figlio di Dio fatto uomo, morto in croce e risorto per la nostra salvezza, mette fuori gioco ogni irenico relativismo. Non tocca più all’uomo decidere quale sia il percorso a lui adatto per arrivare alla divinità, dal momento che la divinità stessa ha fissato in Cristo un percorso obbligatorio per tutti.
Cristo è dunque salvatore universale proprio nel senso che nessuno può perdersi, se non perchè con un atto personale suo si sottrae a quella divina misericordia che in Cristo si manifesta e si attua.
Il cardinale Biffi così conclude la sua lezione: “Simmaco non è morto. La sua voce insinuante si fa ancora sentire nelle redazioni dei giornali, nei pronunciamenti degli “opinionisti”, nelle infinite chiacchiere del nostro tempo. Purtroppo trova qualche ascolto persino nelle coscienze confuse di molti cristiani. Perciò crediamo che non sia stato inutile l’aver dato la parola anche al suo grande antagonista. Al “pensiero debole” dell’antico prefetto di Roma si contrappone ancora efficacemente la fede e la ragione forte dell’antico pastore milanese.
La questione centrale del nostro tempo è proprio quella di Cristo anche all’interno della cristianità illanguidita.
Convenzionalmente si ritiene che sia più che altro la Chiesa a essere incompresa e contestata nel suo magistero, nella sua azione a favore dell’uomo, nella sua provvidenzialità e, in ultima analisi, nella sua natura di “corpo di Cristo” e quindi nel suo mistero di umanità divinizzata. Sarebbe troppo bello se fosse così. In realtà troppo volte è incompreso e contestato Cristo, nella sua costituzione teandrica, nella sua missione di inviato del Padre, nella sua prerogativa di unico e universale Salvatore, persino nel suo insegnamento (che pure è magnificato da tutti). Non c’è da stupirsi: il Signore Gesù ci ha ripetutamente preannunziato questo fenomeno, quando ci ha parlato del “mondo”, forza permanente di opposizione al disegno divino di salvezza.
Il “mondo”, secondo questo concetto negativo, ha le sue propaggini un po’ dappertutto, anche nel cuore dei credenti, anche nel comportamento degli uomini di Chiesa, anche nella speculazione dei teologici abilitati. Abbiamo bisogno di andare tutti alla riscoperta del Signore Gesù e del suo Regno, quel Regno che è già mistericamente presente in noi e tra noi. E Sant’Ambrogio è in questo una delle guide più ricche di luce, più appassionate, più persuasive”.

08/03/1997
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