funerali di don Umberto Neri

Abbazia di Monteveglio

Ancora una ragione di costernazione e di rimpianto, ancora un’occasione per ravvivare la nostra speranza, ancora un invito ad adorare in silenzio la volontà del Padre: così la nostra Chiesa di Bologna e la Piccola Famiglia dell’Annunziata leggono questo momento di commozione e di pena.

Don Umberto – che dalla sua giovinezza sacerdotale si è posto alla sequela fedele e intelligente di don Giuseppe – non ha voluto tardare troppo a raggiungerlo nel mondo della letizia senz’ombre e della pace senza turbamenti.

Anche lui ha percorso un lungo Calvario, sorretto sempre da una fede limpida e ardente. Adesso egli ha conlcuso il suo pellegrinaggio; e noi cominciamo a misurare tutta la gravità di questa perdita e tutta la grandezza del dono di cui abbiamo goduto con la sua presenza tra noi. Adesso l’esperienza di un dolore pungente e il sentimento di gratitudine al Dio di ogni consolazione si vanno intrecciando nel nostro spirito.

Anche per me la lunga consuetudine con lui oggi diventa motivo al tempo stesso di afflizione e di riconoscenza.

Quarant’anni fa – quando ero un giovane insegnante di teologia – ho avuto la fortuna e la responsabilità di averlo ascoltatore attento e misericordioso alle mie lezioni. A quella scuola non credo che egli abbia potuto imparare qualcosa che già non sapesse; ma ne è nata un’amicizia preziosa che non si è più estinta.

Ricordo che avrei voluto affidare alla sua capacità di traduttore e di commentatore l’edizione degli scritti sulla verginità, entro l’impresa dell’Opera Omnia di sant’Ambrogio. Ma egli aveva già preso un impegno a quel tempo con il suo san Basilio. E a me è rimasto il rammarico di non aver potuto assicurare al mio Padre e maestro un interprete come lui, che sapeva unire alla finezza dell’indagine e all’adesione perfetta alla divina rivelazione un’onestà intellettuale intemerata, senza riserve e senza compromessi.

In questi ultimi anni, tra una degenza e l’altra – si potrebbe anche dire tra un’agonìa e l’altra – trovava il modo, oltre che di curare qualche nuova pubblicazione, di venire a passare qualche ora con me, in un colloquio tutto teso alla miglior comprensione della “sacra doctrina”; in un colloquio che ci lasciava ambedue con l’anima in festa. Oggi custodisco questi incontri tra le memorie più care.

Notavo con stupore e con edificazione che quanto più egli percepiva che il tempo si stava facendo breve, tanto più cresceva in lui l’ansia apostolica di comunicare ai fratelli la luce saporosa della verità eterna che lo andava ogni giorno più permeando.

Più che pensieri suoi, quelli che riusciva a mettere in iscritto con molta fatica, erano il riverbero e la reazione della parola di Dio sulla sua intelligenza calda d’amore.

La contemplazione, la vita sacramentale, la sofferenza lo andavano sempre più conformando al grande Rivelatore del Padre. Sicchè – per un’analogia lontana, ma non esagerata e irriverente – egli avrebbe potuto dire di sè la stessa parola di Cristo che abbiamo ascoltato nella lettura evangelica: “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato” (Gv 7,16). E ancora: “Chi cerca la gloria di colui che l’ha mandato è veritiero, e in lui non c’è ingiustizia” (Gv 7,18).

Oggi siamo qui a pregare per lui in questa celebrazione di suffragio. E siamo qui a pregare per noi, perché abbiamo a capire davvero ciò che gli è avvenuto e perché abbiamo a far tesoro di ciò che possiamo raccogliere dal suo esempio e dal suo insegnamento.

Abbiamo a capire un poco di più quel progetto trascendente e misterioso, per cui è guadagno e fortuna anche ciò che sembra perdita e sventura, secondo le parole del libro della Sapienza: “Divenuto caro a Dio, fu amato da Lui… Giunto alla perfezione, ha compiuto una lunga carriera… La sua anima fu gradita al Signore…” (Sap 4,10.13.14).

Noi, ” cresciuti alla scuola delle celesti cose”, non possiamo confonderci con le “folle” di coloro che, attenendosi solo alle apparenze e al giudizio umano, si precludono ogni comprensione di ciò che ci mette alla prova. Essi – dice la sacra pagina – “vedranno la fine del saggio, ma non capiranno ciò che Dio ha deciso a suo riguardo nÈ in vista di che cosa il Signore l’ha posto al sicuro” (Sap 4,17).

Noi siamo qui appunto a domandare la grazia di “capire”; di più, a domandare la grazia di percorrere sino in fondo come don Umberto la strada della fede e dell’obbedienza, che l’amore sorprendente di Dio ci propone.

Alla Piccola Famiglia dell’Annunziata voglio dire: non abbiate paura. Il Signore vi sta saggiando e sembra volervi privare delle vostre impareggiabili risorse di luce. In realtà non è così: vi sta facendo crescere. Don Giuseppe e don Umberto continuano a rischiarare il vostro cammino; e adesso che sono più vicini al cuore di Dio vi aiuteranno in modo nuovo: un modo più efficace e più sostanziale.

19/02/1997
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