consegna del ‘Premio San Benedetto’ a S. Em.za il Cardinale Giacomo Biffi

Subiaco

“L’EUROPA UNITA: UN’INCOGNITA E UNA SPERANZA”

UN’INCOGNITA
Questa fine del secondo millennio è nella coscienza comune largamente dominata dal pensiero dell’Europa e della sua possibile unificazione. Vorrebbe essere soprattutto una speranza, ma innegabilmente è anche motivo di preoccupazione e di timore. C’è l’auspicio di raggiungere un traguardo di eccezionale rilievo, di cui si intravede la positività e il pregio; ma c’è anche l’inquietudine tipica di chi è posto davanti a qualcosa di problematico e incerto.
Che cos’è l’Europa, a guardarla con occhi disincantati? È un piccolo subcontinente, gratificato da un’agiatezza senza precedenti nelle epoche passate, spiritualmente svigorito e demograficamente in declino, circondato da un’umanità miserevole e straripante che si accalca ai suoi confini.
Ma oggi questa realtà è illuminata e infervorata da un disegno affascinante: fare di questa antica e varia regione della terra l’esempio e il modello di una convivenza sociale e politica, dove stirpi e culture diverse, finalmente pacificate, si integrino in modo da assicurare a tutti un’esistenza prospera e degna.
Credere nella potenza dei grandi ideali senza sottovalutare le difficoltà delle situazioni di fatto, coniugare la fede nell’efficacia intrinseca delle prospettive più nobili e alte con l’attenzione ai dati oggettivi e inderogabili: questa è dunque la sfida che ci aspetta, questa è la strada irta e insidiata che siamo invitati a percorrere.

UNA LEZIONE ANTICA
Quando nel Natale dell’800 il papa Leone III incoronò imperatore il re dei Franchi, conferendogli un’autorità almeno intenzionale su tutti i popoli di qua e di là dal Reno, compì un gesto di intelligente realismo; un gesto che rispondeva a un’urgenza pratica perentoria: quella di dare – nella latitanza di fatto del “basileus” costantinopolitano, erede diretto della potenza dei Cesari – un criterio gerarchico e un ordine alla molteplicità rissosa delle tribù ancora barbare e delle genti più o meno latinizzate.
Quell’atto darà origine a un istituto politico che, almeno formalmente, durerà mille anni. Ma quell’iniziativa del successore di Pietro ha avuto fortuna perchÈ la necessità pragmatica ha potuto avvalersi di una ragione ideale accolta e condivisa: quella dell’universalismo della Chiesa Cattolica e della concorde adesione al messaggio evangelico; ragione ideale che tra l’altro ha trovato una vigorosa forma attuativa nel fenomeno sorprendente del monachesimo.
È una lezione della storia su cui mette conto di riflettere un po’.
L’Europa nascerà senza dubbio sotto la spinta di impulsi funzionali di natura prevalentemente economica. Ma potrà sussistere a lungo e progredire solo se al suo “corpo” di regolamenti, tabelle, organismi direttivi, attuazioni monetarie, strutture politiche, sarà data anche un’”anima”: vale a dire, un patrimonio di princìpi incontestabilmente riconosciuti e di concezioni comuni.

SENZA ILLUSIONI
Non illudiamoci però che l’esperienza del Sacro Romano Impero possa essere ripetuta, neppure in maniera lontanamente analogica. Quanto è avvenuto nella seconda metà di questo secondo millennio non ci consente di accarezzare ipotesi troppo ottimistiche.
L’Europa ha conosciuto in questo frattempo due profonde lacerazioni spirituali, con le quali, piaccia o non piaccia, bisogna fare i conti.
Nel secolo XVI la Riforma protestante e lo strappo della Chiesa anglicana hanno spezzato il legame più forte che connetteva le diverse genti e le diverse mentalità, quello dell’appartenenza ecclesiale. E nel secolo XVIII la rivoluzione culturale illuministica, propagandata dalle imprese napoleoniche, ha scavato un solco praticamente incolmabile tra la visione del mondo dei credenti e quella dei non credenti. Senza dubbio si può e si deve auspicare che queste divisioni non si esasperino e non impediscano le giuste collaborazioni, purchÈ il risultato della nostra volontà di concordia e di dialogo non sia alla fine il prevalere dello scetticismo e della totale scristanizzazione. Ma non si può ignorare che queste spaccature ci sono; e sarebbe ingannevole ritenere che esse siano insignificanti e senza effetti.

CINQUE PRINCIPI PER UNA SPERANZA
Così come stanno le cose, crederei che la cosa più utile e meno utopistica sia ricercare quanto, dell’eredità umanistica e cristiana che è retaggio comune dei nostri popoli, possa essere proposto come un livello minimo di comune filosofia operativa e quasi un’ideale comproprietà morale di tutte le coscienze europee.
A questo fine, mi parrebbe opportuno individuare e proporre cinque princìpi universalmente accettabili, che valgano come temi ispiratori propri e caratterizzanti dell’essere e dell’agire della “res publica” europea.

1° il principio del primato dell’uomo
Il primo principio si riferisce all’uomo, al suo primato sulle cose, alla sua inalienabile dignità.
L’uomo – come dice sant’Ambrogio – è “il culmine e quasi il compendio dell’universo e la suprema bellezza di ogni creazione” (Esamerone IX, 75). “Credenti e non credenti – nota il Concilio Vaticano II – sono press’a poco concordi nel ritenere che quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come a suo centro e suo vertice… L’uomo ha ragione di ritenersi superiore a tutte le cose, a motivo della sua intelligenza, con cui partecipa della luce della mente di Dio” (Gaudium et Spes 12.15).
Si può ravvisare l’attuazione giuridica di questa persuasione nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
È ovvio che i diritti degli altri fondano ed esigono i doveri di ciascuno.

2° il principio di solidarietà
L’appartenenza di ogni persona e di ogni legittima aggregazione alla stessa necessaria organizzazione sociale – e in ultima analisi alla stessa famiglia umana – fa sì che non si possa mai consentire che un singolo o una comunità per il gioco dei fattori economici e politici sia privata dei mezzi elementari di decorosa sussistenza. In virtù di questo principio, lo stato potrà e dovrà intervenire a salvaguardare l’uomo nelle sue concrete dimensioni di vita individuale, familiare, associativa, anche correggendo le eventuali deviazioni dei comportamenti e sbloccando i meccanismi inceppati (cf Centesimus Annus 48). In particolare, la difesa del più debole potrà comportare anche qualche limitazione dell’autonomia delle diverse parti in gioco (cf Centesimus Annus 15).
Ispirati al principio solidaristico sono, per esempio, alcuni asserti della nostra costituzione laddove si dichiara che bisogna avere un particolare riguardo per le famiglie numerose (art.31), si garantiscono “cure gratuite agli indigenti” (art.32), si dice che “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al sostentamento e all’assistenza sociale” (art.38).

3° il principio di sussidiarietà
“Una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune” (Centesimus Annus 8).
Questa dottrina – che è di assoluta rilevanza per l’attuazione di una democrazia sostanziale – è stata enunciata da Pio XI fin dal 1931: “Come non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità su può fare.
E questo è insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perchÈ oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le assemblee del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle” (Enc. Quadragesimo Anno).
Oggi questo principio è stato riscoperto e rivalutato proprio a proposito dei rapporti corretti da istituire tra la comunità europea e gli stati membri. Ad esso si appellano anche i comuni e le regioni per rivendicare le loro autonomie. Ma non bisogna dimenticare che il principio ha una valenza universale e va applicato anche a proposito di tutte le aggregazioni, contro le molte prevaricazioni stataliste (il caso tipico è, in Italia, quello della scuola).

4° il principio della laicità dello stato
Lo stato è davvero laico quando non impone a nessuno una particolare concezione filosofica, teologica o culturale e quando non identifica il suo ordinamento giuridico con le prescrizioni di una determinata aggregazione.
Lo stato moderno non può essere “confessionale” in nessun senso: non in senso religioso (per esempio, cattolico, ebraico, musulmano); non in senso scientistico o materialistico; non in senso laicistico, se per laicismo si intende – come spesso è dato di riscontrare – una particolare concezione, immanentisticamente o illuministicamente ispirata, che rifiuta i valori trascendenti o li vuole confinati nel segreto dei cuori.
Ovviamente, secondo questo principio, non ci potranno essere “religioni di stato”. Questo però non vuol dire che si possa contestare o anche solo ignorare il fatto che il cattolicesimo è la religione storica del popolo italiano e la fonte preponderante della sua identità nazionale.

5° il principio della libertà effettiva delle persone e delle aggregazioni
La libertà dei singoli cittadini è analiticamente descritta e minuziosamente tutelata dagli articoli 15-28 della Costituzione italiana.
Ma è indispensabile che anche alle varie aggregazioni sia garantita la concreta possibilità di esistere con pienezza nella identità prescelta; di proporre agli altri le proprie convinzioni di educare secondo il proprio “credo”; di fare esperienza di vita associata in coerenza con la loro matrice ideale e le loro tradizioni, sempre nell’ambito del bene comune e nel rispetto delle libertà altrui.

INDEROGABILITA’ DI QUESTI PRINCIPI
L’accettazione leale di questi principi da parte di tutti e la loro volonterosa applicazione nella vita sociale e politica darà all’Europa quell’”anima” che le è indispensabile perchÈ possa avviare con un po’ di fortuna questa sua nuova storia.
Che cosa dire di quelli che da altri continenti vogliono entrare in Europa?
Non c’è per nessun popolo il “diritto di invasione” nei confronti di un altro popolo: questo va ribadito con chiarezza e senza ambiguità. Tuttavia potranno essere accolte e integrate nella Comunità europea – non a caso, ma secondo un disegno – anche genti di lontana provenienza etnica e culturale, purchÈ col rifiuto delle sopraddette regole fondamentali non costituiscano un corpo estraneo in questo nascente organismo.

L’APPORTO DEI CRISTIANI
Quale potrà e dovrà essere l’apporto specifico dei cristiani nella costruzione della nuova europa?
Essi saranno tanto più utili alla causa comune quanto più resteranno se stessi e irradieranno con umile e gioiosa semplicità la luce delle certezze che il Signore nella sua misericordia ha rivelato all’uomo perchÈ l’esistenza sulla terra fosse plausibile e ricca di senso.
Al relativismo scettico, che tutto vanifica e tutto inaridisce, opporranno la forza intrinseca della verità salvifica e la passione per la sua ricerca instancabile.

All’eclissi della ragione risponderanno con l’intelligenza illuminata dalla fede, che ci consente di distinguere l’autenticità dell’essere dalle ideologie, dai sofismi, dal primato dato alle apparenze. Dimostreranno così che si può ancora – e si deve- distinguere il vero dal falso, il bene dal male, ciò che è conforme e ciò che è contrario alla natura non deformabile e non manipolabile dell’uomo.
Davanti all’assurdità di un pellegrinaggio terreno che si conclude nel niente, faranno brillare la speranza ragionevole e bella di un destino di vita senza fine. Nel campo più specificamente etico e comportamentale, il mondo cattolico è chiamato a tener deste e a rendere sempre più beneficamente influenti, entro la comunità di popoli che sta faticosamente compaginandosi, le antiche verità esistenziali insegnateci dal Vangelo, circa l’istituto del matrimonio, la realtà fondamentale della famiglia, il principio della sacralità e della intangibilità della vita umana innocente.
Sono temi sui quali nei diversi ambiti e nelle varie culture europee oggi purtroppo non c’è più concordanza; e dove non c’è concordanza, c’è il pericolo che si approdi al vuoto di un insipiente e disumano libertarismo.

Particolarmente su questi temi si determinerà in futuro la rilevanza e addirittura la sorte della nostra tipica e irrinunciabile identità di appartenenti alla “nazione santa”; identità che rischia di stemperarsi e di perdersi nel generale smarrimento di ogni solida e sensata antropologia. Appunto impegnandoci lucidamente e coraggiosamente su questi temi potremo offrire il nostro più prezioso contributo di discepoli del Signore risorto per la sopravvivenza spirituale e morale del continente.
Non sarà agevole impresa. Su di essa è spontaneo e gratificante in questa sede invocare la protezione e l’aiuto di san Benedetto.

19/05/1998
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