convegno “Il papato come problema storiografico”

Bologna, chiesa di San Giorgio in poggiale

Non si può non restare colpiti – quali che siano i nostri soggettivi convincimenti – da un fenomeno unico e imparagonabile nella vicenda umana, come quello dell’inedita e anomala “monarchia elettiva”, che prende inizio con la venuta nella Città eterna di un oscuro pescatore di Galilea.

Una “monarchia” che, pur rivendicando un’origine trascendente e una missione sovratemporale, ha sùbito dovuto fare i conti con la storia.

Quando Simon Pietro inaugura la serie dei vescovi di Roma, l’impero è nelle mani della “gens Claudia”. Il primo impatto “politico” della Sede Apostolica è appunto con Claudio Nerone. L’impatto è tragico e insieme glorioso: si conclude con un martirio e una sepoltura che consacrano irreversibilmente il colle Vaticano.

Dopo di allora, il papato ha avuto gli interlocutori più disparati. Molte dinastie di potenti si sono variamente commisurate con questa “potenza non omogenea”, talvolta con spirito amichevole e collaborativo, più spesso in un rapporto conflittuale. Possiamo ricordare, a mo’ di esempio e quasi rapsodicamente: i Costantiniani, i Carolingi, i Capetingi, gli Ottoni, gli Hohenstaufen, gli Asburgo, i Savoia.

Unico punto stabile nel susseguirsi dei secoli, la Sede Apostolica può offrire una particolarissima e non trascurabile prospettiva sugli accadimenti che si dispiegano nello spazio di due millenni. Guardare da Roma le vicissitudini dell’Europa e del mondo: ecco un’impresa culturale che possiede un fascino e un interesse innegabili.

Tale impresa dispone oggi di uno strumento per l’informazione, la ricerca, il giudizio di altissima qualità nella Enciclopedia dei papi, pubblicata in tre sontuosi volumi dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, in perfetta consonanza di stile con le sue ammirevoli tradizioni editoriali.

Le essenziali e succose monografie dei duecentosessantacinque pontefici (dall’apostolo Pietro a Giovanni Paolo II) e dei trentasette antipapi offrono in un quadro ben delineato – ma forse il paragone più congruente sarebbe l’arte sapiente del mosaico – non solo la vicenda della Chiesa Cattolica, come è ovvio, ma altresì le vicende politiche, sociali e culturali dei popoli europei.

Ancora una volta l’Istituto – è l’annotazione pertinente del Direttore Scientifico Vincenzo Cappelletti – ha saputo magistralmente “realizzare la sintesi di enciclopedismo e storiografia, sottostante a tutto il vissuto intellettuale dell’Enciclopedia Italiana”, fin dalle origini.

Naturalmente, essendo opera di ampia e varia collaborazione, ogni voce ha l’impronta personale e rispecchia il valore del singolo estensore che l’ha firmata; ogni voce va perciò giudicata e apprezzata autonomamente. In tutte però concordemente traluce la serietà del lavoro, il rigore dell’indagine, l’intenzionale oggettività.

Va anche detto che queste pagine – benché frutto della fatica di specialisti – hanno tutte il pregio di un linguaggio limpido, non mai uggioso o intimidatorio, immediatamente fruibile. A differenza delle normali enciclopedie, necessariamente frammentate dall’ordine alfabetico, questa può con godimento essere letta di seguito, da chi ne avesse l’agio e la disponibilità di tempo. Possiede tra l’altro, avvantaggiandosi in questo sulle consuete trattazioni storiografiche, la concretezza e l’attrattiva proprie al genere letterario della biografia.

Per parte mia – se mi è concesso di indulgere adesso a qualche confessione personale – da quando ho tra le mani questi splendidi volumi, mi lascio tentare spesso dalla loro lettura, scegliendo da tutte le epoche i papi che, per varie ragioni, più mi interessano.

Per esempio, le mie attenzioni si sono rivolte a pontefici milanesi, come Pio IV e Pio XI, nei quali mi sono lasciato indurre ad ammirare soprattutto il realismo tenace e la capacità di decidere, per cui essi sono riusciti a risolvere problemi che parevano irresolubili: l’uno, il compimento e la chiusura del Concilio di Trento; l’altro, l’ormai troppo annosa “questione romana”.

Ma più ancora mi hanno attirato i papi bolognesi, i quali – mi compiaccio di pensare – hanno recato in dote alla sede di Pietro il gusto “petroniano” di una cultura illuminata e la fiducia nei possibili apporti della scienza. Troppo facile è ricordare qui Benedetto XIV, che è quasi l’archètipo della “bolognesità”, e al suo lungo pontificato che ha rischiarato il difficile secolo XVIII.

Preferisco invece indugiare un po’ su Gregorio XIII, per la sapienza, la fermezza, il coraggio che ha avuto di riformare nel 1582 il calendario in uso dai tempi di Giulio Cesare, ormai così dissonante da quello astronomico da essere quasi fittizio. Oggi a stento ci si può rendere conto di quanto sia stato arduo tale intervento autoritario e autorevole, e di quanto fosse al tempo stesso assolutamente necessaria e traumatica una innovazione come questa.

La riforma era scientificamente ineccepibile, e regola ancora oggi i nostri giorni. Ma è divertente ricordare che gli Stati protestanti tedeschi ci misero centosessantadue anni a persuadersene, e centosettanta la Gran Bretagna. E va riconosciuto alla rivoluzione bolscevica il buon senso di aver reso operante anche in Russia nel 1917, dopo trecentotrentacinque anni, il provvidenziale intervento di un vescovo di Roma, che così ha fatto onore alla sua nascita bolognese.

Come si vede, Gregorio XIII si è davvero meritato la bella statua di Alessandro Menganti che dal 1578 si affaccia sulla nostra Piazza Maggiore.

11/05/2001
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