festa di San Giuseppe artigiano

Bologna, Cattedrale

Non apprezzeremo mai abbastanza la fortuna che oggi ci è data; la fortuna cioè di essere convocati attorno all’altare – in questo giorno fervido di manifestazioni esteriori e segnatamente in questa stagione elettorale, connotata di accesi dibattiti e di contrapposizioni appassionate – per un momento rasserenante di implorazione e di ascolto della parola chiarificatrice del Signore.

Non è che con questo intendiamo estraniarci dalla vicenda né tanto meno rifiutare un contributo, secondo le concrete possibilità e le personali vocazioni di ciascuno, ai problemi della nostra vita associata. Al contrario, è per poterci inserire meglio, resi più perspicaci dalla luce che viene dall’alto, più efficacemente preservati dai fanatismi e dai condizionamenti ideologici, più capaci di scelte autonomamente oculate. Perché resta sempre vero che “dove c’è la fede, lì c’è la libertà”.

Oggi, primo maggio, con particolare calore vogliamo chiedere la misericordia di Dio per la nostra nazione (che ha davvero bisogno di molte preghiere) e raccomandare a san Giuseppe la Repubblica italiana, che nella sua carta costituzionale con fiduciosa idealità si dichiara “fondata sul lavoro” (art.1). E’ un’affermazione che – così come suona e verosimilmente senza intenzionalità da parte degli estensori del testo – enuncia una consonanza inattesa e un’ammirevole affinità del nostro Stato (pur doverosamente laico) con l’instancabile Creatore dell’universo e con il Signore Gesù, il quale ha detto: “Il Padre mio lavora sempre e anch’io lavoro” (Gv 5,17).

E’ allora naturale e opportuno che, in questa giornata, appunto sulla realtà del lavoro umano abbiamo a richiamare brevemente alcuni punti della dottrina cattolica.

Oggi appare sempre più evidente che la nostra attenzione non debba essere indirizzata soltanto al lavoro manuale che per altro resta prezioso e nobilissimo, come ha insegnato col suo esempio (a un mondo che invece lo qualificava “servile”) il “figlio del carpentiere” (cfr. Mt 13,55), carpentiere anche lui per i molti anni della sua vita nazaretana (cfr. Mc 6,3).

Noi dunque intendiamo per ‘lavoro’ qualsiasi attività rivolta a trasformare il mondo in cui viviamo per metterlo in condizione di servire l’uomo sempre più e sempre meglio, aiutandolo a conseguire i suoi fini inalienabili, secondo l’alto disegno del Creatore. Perché, come dice il Concilio Vaticano II, “tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo come a suo centro e a suo vertice” (Gaudium et spes 12).

Anzi, non è solo il mondo a essere trasformato e migliorato dal lavoro, ma anche il lavoratore. E’ ancora lo stesso documento conciliare a ricordarcelo: “L’uomo, quando lavora, non soltanto modifica le cose e la società, ma anche perfeziona se stesso. Apprende molte cose, sviluppa le sue facoltà, è portato a uscire da sé e a superarsi. Tale sviluppo, se è ben compreso, vale più delle ricchezze esteriori che si possono accumulare. Poiché l’uomo vale più per quello che ‘è’, che per quello che ‘ha’ (ib. 35).

Di qui appare chiaro quanto sia assurda e indifendibile un’attività che invece avvilisca chi la compie, lo attanagli nelle morse della prepotenza e dell’ingiustizia, lo offenda nella sua umanità, quando addirittura non lo spinga alla disperazione.

L’eccellenza e l’encomiabilità di un lavoro non può quindi essere valutata soltanto in base al profitto, neppure soltanto in base al pregio oggettivo del prodotto: l’eccellenza e l’encomiabilità di un lavoro deve essere valutata anche e soprattutto in base allo sviluppo morale, spirituale, integralmente umano che esso induce o almeno consente in chi lavora, e alla salvaguardia della sua dignità.

E’ un convincimento che tutti, credenti e non credenti, potrebbero e dovrebbero condividere in virtù della sua naturale ragionevolezza. I lavoratori cristiani non si stancheranno di proporlo, d’illustrarlo, di richiamarlo ai vicini e ai lontani; ma a loro è chiesto qualcosa di più.

Colui che riconosce Gesù come il solo Maestro della verità che conta, come l’unico Salvatore e Signore di tutto, è qui sollecitato a una comprensione più profonda.

Cristo, che è il Redentore dell’intero ordine di cose esistente, invita a collaborare con lui quanti gli sono intrinsecamente connessi mediante la fede e il battesimo come membra del suo stesso ‘corpo’. Vuole associare i salvati dalla sua immolazione e dalla sua Pasqua alla sua opera di riscatto, di purificazione, di valorizzazione della fatica umana.

Tre persuasioni a questo fine andranno mantenute sempre vivaci e pungenti entro il santuario della nostra coscienza.

1 – Ogni lavoro, anche il più gratificante, comporta sempre sacrifici e rinunce; ogni fatica, anche la più tollerabile, non è mai priva di qualche pena. Questa è l’esperienza di tutti; ma il cristiano deve saper ‘leggere’ il suo lavoro e la sua fatica come una preziosa partecipazione alla passione redentrice di Cristo.

Ciascuno avrà ogni giorno da offrire al Signore il dono di qualche disagio, di qualche incomprensione, di qualche compito pesante più del dovuto. Se accetterà volentieri di portare qualche sua croce, piccola o grande che sia, la sentirà più leggera e la renderà meritoria.

2 – Alla luce del Vangelo, il lavoro è la forma concreta e specifica che assume il compimento della “volontà del Padre”. “Sia fatta la tua volontà”: è la regola che Gesù ci ha proposto per rendere significante, motivata, ricca di valore l’intera nostra esistenza.

3 – Nella prospettiva della redenzione, il lavoro è la primaria, la più urgente, la più doverosa risposta al comando evangelico della carità, che è la grande novità della legge evangelica. E’ un servizio reso agli altri, alle loro necessità, al loro benessere, che ci fa uscire dal nostro istintivo individualismo e ci costituisce parte operosa nel grande organismo dell’umanità.

E’ ancora una volta il Concilio Vaticano II – e con questa citazione concludiamo questi pochi cenni – a indicarci la portata universale del nostro impegno particolare e circoscritto: “I cristiani che col loro lavoro prendono parte attiva nello sviluppo economico-sociale contemporaneo siano convinti che possono dare un grande contributo alla prosperità del genere umano e alla pace del mondo” (ib. 72).

01/05/2001
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