dedicazione della Cattedrale di San Pietro

Bologna, Cattedrale

Noi amiamo questo tempio che oggi ci vede lietamente radunati nel giorno della sua festa annuale. Noi amiamo questo tempio, perché qui fin dagli albori dell’adesione al Vangelo del popolo bolognese si ravvisa e si onora il centro e il cuore della comunità diocesana. Noi amiamo questo tempio che custodisce le memorie più care della nostra famiglia di credenti ed è quasi il compendio oggettivato dell’intera nostra storia.

Noi amiamo questo tempio soprattutto perché in esso – nella saldezza della sua architettura e nella dignità del suo arredo – noi ammiriamo la raffigurazione e quasi l’emblema della Chiesa di Bologna; di quella santa Chiesa petroniana nella quale sussiste, opera e vive l’indivisibile Corpo di Cristo.
Perciò nel ricordo della sua dedicazione ci viene spontaneo, mentre siamo liturgicamente raccolti in quest’aula sacra, meditare un poco sulla “Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità” (1 Tm 3,15), col desiderio e l’auspicio di crescere un poco nella comprensione del suo mistero.

In questa contemplazione ci facciamo aiutare, per una volta, da alcune frasi non di un antico padre o di uno scrittore sacro ma di un poeta: frasi singolarmente felici tanto per la limpidità della fede quanto per il vigore e la bellezza dell’enunciato.
Sono sempre stato colpito dalla ricchezza ecclesiologica, oltre che dalla nobiltà espressiva, dei primi versi della Pentecoste di Alessandro Manzoni:
“Madre de’ Santi, immagine
della città superna;
del Sangue incorruttibile
conservatrice eterna…”.

Così, proprio con una triplice indovinata qualificazione della Chiesa – di quella Chiesa che è l’effetto primo e, si può dire, onnicomprensivo dell’effusione pentecostale – si apre quell’inno davvero ispirato.
Madre dei santi
Oggi non è frequente sentir parlare della Chiesa come di una “madre”. Ad ascoltare molti discorsi, che si fanno tra cristiani, sembrerebbe che la si pensi piuttosto come una figlia: una figlia un po’ stordita e discola che siamo chiamati a rieducare; quando non come una peccatrice da riportare sulla giusta strada. E invece qui la maternità è indicata come la prima connotazione ecclesiale. E giustamente.

La Sposa di Cristo ci è madre: ci ha partoriti con l’annuncio del Vangelo, che non è arrivato a noi in quanto sia stato freddamente custodito nelle sacre carte, donde l’erudizione l’abbia tratto con i lucenti strumenti dell’esegesi scientifica, ma proprio perché (prima di noi) è stato accolto e vissuto in una famiglia che si è mantenuta tale lungo i secoli, proseguendo nella propria vita lo slancio di donazione con cui il Figlio di Dio, incarnandosi, è entrato nella nostra storia.

Poi la Sposa fedele di Cristo ci ha fatto crescere con i riti sacramentali e con le molteplici occasioni di grazia. E nella luce e nell’energia di bene, con cui ci ha generati e plasmati, ella ha messo qualcosa del suo cuore innamorato. Sicché la vita redenta e nuova è arrivata a noi anche dalla carica di verità e di amore che da secoli già impreziosiva la comunione di quanti ci avevano preceduto sulla via della salvezza.
“ Madre dei santi”: i “santi” – benché possa sembrare un’improbabile battuta di spirito – siamo noi.

Programmaticamente santi: chi ha espunto l’acquisizione della santità dai suoi progetti esistenziali, è “uomo” in un senso un po’ superficiale. Inizialmente santi: per quanto possa essere meschino e deplorevole il nostro comportamento, ci sono nel nostro essere delle incancellabili venature di santità.
Per esempio, siamo “santi” per il segno battesimale, marchio indelebile dell’appartenenza a Cristo; siamo “santi” per la fede, spesso fumosa e baluginante (più che altro un desiderio di credere), eppure sostanzialmente autentica, che c’è sempre nell’animo nostro, perché a questo mondo se è faticoso credere, tutto sommato è ancora più faticoso e arduo schierarsi positivamente per l’incredulità; infine siamo “santi” per quel principio di amore – per quell’aurora di carità – che ogni tanto si fa luce nell’intrico complicato e spesso contradditorio delle nostre intenzioni.

Immagine della città superna
La Chiesa è un valore e un dono anche per ciò che intrinsecamente raffigura. In tutto quello che è e in tutto quello che fa essa profetizza il Regno di Dio: ci è data come allusione, come anèlito, come raffigurazione anticipata di quel Regno eterno, verso il quale si indirizzano nel tempo i nostri passi; ci è data insomma perché la nostra speranza abbia una nitida prospettiva, una mèta consapevole e chiara.

Perciò è di vitale importanza che si riesca a cogliere fin d’ora la bellezza della Chiesa. Diversamente non so come si abbia il coraggio di mettersi in cammino e soprattutto come si possa resistere alla stanchezza, agli ostacoli, alla noia di un viaggio così penoso. Se non si coglie quaggiù l’avvenenza della Sposa, specchiata sia pure in lontananza da quella della Gerusalemme celeste, diventa quasi impossibile continuare a sperare. La strada fiduciosa e certa di arrivare alla casa del Padre passa oggi dalla riscoperta di quanto sia affascinante la Chiesa.

Del Sangue incorruttibile
conservatrice eterna
La Chiesa non è soltanto annuncio e promessa dei tesori escatologici. Possiede già adesso, come sua ricchezza inalienabile, il “Sangue incorruttibile”, cioè la sostanza della sua redenzione e la presenza reale, viva, attuosa del suo Riscattatore.
Ed è una ricchezza così intimamente sua che la può offrire come dono del suo amore materno a quanti si arrendono alle sue iniziative di salvezza.

In conclusione
Può darsi che la Chiesa deluda quegli uomini che, equivocando sulla sua vera natura, su di lei e sui suoi còmpiti si erano illusi. Ma non delude mai il suo Sposo: la sua fedeltà è senza tradimenti, senz’ombre, senza incrinature, perché il suo matrimonio si fonda su quell’alleanza nuova che è stata predetta dai profeti come “definitiva e irrevocabile: “Io stabilirò con voi un’alleanza eterna” (Is 55,3).
Noi piuttosto finiremmo con l’essere una delusione per l’amore del nostro Creatore, se non cediamo all’incanto del suo disegno e non ci lasciamo sempre più coinvolgere nella realtà trascendente e appassionante della vita ecclesiale.

23/10/2003
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