Domenica XXV per annum

«I miei pensieri non sono i vostri pensieri; le vostre vie non sono le mie vie». Cari fratelli e sorelle, l'avvertimento che il Signore attraverso il profeta ci ha appena dato, va custodito fedelmente mentre ascoltiamo la parola che Gesù ci dice nel Vangelo.

1.        In esso Gesù vuole rivelarci la “logica” del comportamento di Dio verso l'uomo; dirci come si comporta. E lo fa attraverso un procedimento che gli antichi chiamavano “per contrario”. Gesù cioè mette sotto i nostri occhi un episodio di vita quotidiana, dal quale per contrario si desume il comportamento di Dio.

            Siamo nel contesto di ciò che oggi chiamiamo il mercato del lavoro. Esso era – ed in larga misura è – dominato dalla logica commutativa, la giustizia che regola lo scambio degli equivalenti. Il salario, lo stipendio è, e deve essere equivalente alle ore del lavoro. Come avete sentito, alcuni lavorano tutta la giornata; altri part time per una mezza giornata; altri ancora, un'ora. Dunque, lo stipendio non può, non deve essere uguale per tutti.

            Che cosa accade? Che tutti prendono lo stesso stipendio. Fate bene attenzione. Gesù non intende parlare dei rapporti di lavoro fra uomini. Ma del comportamento di Dio con l'uomo.

            Esso non è regolato dallo scambio di equivalenti: “tanto hai fatto, tanto hai”. La logica del comportamento di Dio verso l'uomo non è quello della giustizia commutativa. E' la logica della pura grazia, della gratuità, della misericordia. Dio non istituisce il suo rapporto con noi in ragione delle buone opere che abbiamo fatto, ma per una decisione di amore che previene ogni opera umana.

            Nella pagina evangelica c'è un'affermazione che apre come una fessura che ci consente di gettare uno sguardo nel mistero di Dio. Dice: «non posso fare delle mie cose quello che voglio?». Dio è a nostro riguardo questa libertà assolutamente gratuita, che previene ogni nostra opera buona, e vi dà origine. La redenzione dell'uomo è opera di Dio, non dell'uomo.

            Cari fratelli e sorelle, lasciamoci possedere da un profondo senso di confidenza e di gratitudine di fronte a questa rivelazione. Accostati al trono della grazia, sapendo che tutta la nostra sicurezza deriva dalla misericordia del Padre. «I miei meriti» pregava S. Bernardo «sono le tue piaghe».

2.        Cari fratelli e sorelli, stiamo celebrando questa Eucarestia facendo memoria dell'inizio di questo edificio, della posa della sua prima pietra.

            Non stiamo facendo festa per un edificio, ma per ciò che esso significa: la comunità cristiana, che siete voi; la “pietra fondamentale” di essa. Il Santo Vangelo appena proclamato ci illumina al riguardo.

            La chiesa è la comunità dei redenti, di coloro cioè «che sono giustificati gratuitamente per sua [=di Dio] grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù». Per noi, penso tutti o comunque in massima parte, la cosa è ancora più chiara. Siamo stati battezzati ancora piccoli. Siamo stati resi figli adottivi del Padre celeste; partecipi della vita di Cristo; tempio dello Spirito Santo: «cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo» [1 Pt1, 12].

            Quali menti avevamo, che non eravamo neppure capaci di intendere e volere? Siamo tutti operai dell'ultima ora, e la grazia di Dio si è effusa sulla nostra persona.

            Ecco, cari amici: questa celebrazione diventi occasione di prendere coscienza più profonda del vostro essere chiesa «il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di Lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce» [1 Pt2, 9]. Veramente, “celebriamo il Signore perché è buono, perché la sua grazia è eterna” [cfr. S 106[105].

 

21/09/2014
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