DOMENICA XXVI PER ANNUM (C)

1.La pagina evangelica appena proclamata merita di essere attentamente meditata

ed assimilata, perché siamo liberati da quella sorta di “ipnosi

della realtà visibile” che ci impedisce di vedere oltre essa.

Anzi, che ci porta fino alla negazione che esista una realtà invisibile.

Come avete sentito, la pagina evangelica disegna due quadri nei quali sono

raffigurate due persone separate dalla loro condizione sociale: «un uomo

ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente.

Un mendicante di nome Lazzaro … coperto di piaghe bramoso si sfamarsi

di quello che cadeva dalla mensa del ricco».

In realtà questa è la condizione, se così possiamo dire,

storica dei due personaggi. Ma questa Рla condizione storica Рnon ̬ la

condizione definitiva. Essa infatti finisce inesorabilmente: «un giorno

il povero morì… morì anche il ricco e fu sepolto».

La morte “pareggia tutte le erbe del prato”! ma la morte non dice

l’ultima parola sulle vicende umane. Essa introduce in una condizione

definitiva, eterna, nella quale si ha un totale capovolgimento del proprio

destino: il povero «fu portato dagli angeli nel seno di Abramo»;

il ricco nell’inferno tra i tormenti.

2.Carissimi fedeli, ci troviamo in un luogo che nella storia e nella coscienza

del nostro popolo è luogo sacro per il sacrificio di vittime innocenti,

di sacerdoti che diedero la vita per non abbandonare il loro gregge.

La presenza delle autorità civili e militari, che ringrazio sentitamente,

indica che questo luogo rivolge una parola che riguarda l’uomo come tale,

prima che si distingua la sua appartenenza alla città e la sua appartenenza

religiosa. Parola grande, che oggi ci arriva attraverso la pagina santa del

Vangelo.

Anche qui si incontrarono due persone in condizioni morali diametralmente

opposte: la persona di innocenti deboli coinvolti dentro ad una tragedia senza

limiti e la persona di carnefici prepotenti. La “povertà” della

vittima; la “prepotenza” del carnefice. Ed in quei momenti, le

prime sembrarono risultare soccombenti, vinte. Ma in realtà non è stato

questo l’esito definitivo di quello scontro.

Non pensate, in questo momento, che stia parlando dell’esito finale

della guerra: avvenimento che accade pur sempre nel mondo della storia visibile

degli uomini. La pagina evangelica ci educa ad uno sguardo ben più penetrante.

Le vittime qui cadute ci indicano l’esistenza di un universo di valori

ben più solido, ben più reale dell’universo  nel quale

siamo normalmente immersi e nel quale ogni giorno rischiamo di perire. Qui è stata

affermata una forza nella debolezza, una giustizia contro la prepotenza, una

carità contro l’odio, che sono le uniche ragioni per cui vale

veramente la pena di vivere e se necessario anche di morire.

Le vittime qui cadute sono così le pietre immacolate di una dimora – di

una società – che sia veramente adeguata alla dignità della

persona. Alla fine chi ha vinto: la vittima o il carnefice? Il carnefice è sempre

sconfitto, perché non uccide la vittima, ma uccide in se stesso la propria

umanità.

«Ma Abramo rispose: hanno Mosè e i profeti; ascoltino loro».

Anche su questo monte si può, si deve ascoltare una profezia detta non

colle parole ma col sangue versato. è la profezia che non si può costruire

una società basata sul conflitto e sulla estraneità dell’uomo

dall’uomo. E quindi la “profezia di Monte Sole” non è ascoltata

da chi ne fa occasione per ricostruire fazioni e contrapposizioni.

Su questo monte, non senza una divina ispirazione, Don Dossetti ha voluto

che i figli e le figlie della comunità dell’Annunciazione fossero

il segno permanente di quel mondo nuovo che Cristo ha ricreato; che proprio

su questo monte essi intercedessero quotidianamente mediante «un sacrificio

di lode a Dio, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome» [Eb

13,15].

3.Carissimi fedeli, fra pochi istanti attraverso i santi segni sacramentali

saremo presenti al sacrificio di Cristo, vittima innocente di tutte le nostre

ingiustizie. è questo sacrificio che ha abbattuto ogni muro di separazione:

dell’uomo da Dio, dell’uomo dall’uomo, dell’uomo da

se stesso. è solo in Lui che l’umanità disgregata può ritrovare

la sua vera unità.

Le vittime innocenti qui cadute; i sacerdoti che hanno donato la loro vita,

siano uniti a noi perché la partecipazione a questo grande Mistero ci

ridoni speranza e forza per non rassegnarci mai al male.

 

26/09/2004
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