Due questioni circa l'educazione

(.pdf)

            Ho pensato, cari genitori, di intrattenervi su due questioni riguardanti l'educazione, che ritengo essere di particolare importanza oggi.

           

1.        La prima questione nasce da un'attitudine, da uno stato d'animo che può impossessarsi di voi: lo scoraggiamento. Esso si esprime in frasi come: “non so più come fare con mio figlioa”, oppure: “non riesco più a proporglile niente: vuol sempre fare di testa sua”.

            E' questa una condizione spirituale dalla quale, se ci siamo caduti, dobbiamo uscire. Essa semplicemente impedisce l'educazione come tale. «Nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nella vittoria. Chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti» [Es. Ap. Evangelii Gaudium 85].

            Quando però si vuole guarire da una malattia, non ci si accontenta di curare i sintomi: si eliminano le cause. Quali sono le radici, le cause dello scoraggiamento in cui oggi può cadere un educatore?

            – La prima è la perdita di quelle certezze che rendono possibile l'atto educativo. Parto da un esempio molto semplice. Nessun genitore dà a mangiare cibo che dubita sia avvelenato. Lo imbandisce quando è certo che è un cibo buono.

            L'educazione è la trasmissione, la comunicazione di un progetto di vita. Progetto di vita vuol dire modo di pensare, stile di vita, dedizione al bene. Ora – ricordate l'esempio – perché questa trasmissione avvenga è assolutamente necessario che l'educatore sia certo che il progetto di vita che comunica, è un progetto di vita buona, di vita vera, giusta.

            La prima radice, oggi, dello scoraggiamento è l'incertezza degli educatori. E' come se una guida perdesse la strada; non sapesse più dove andare. Gesù ha detto: se un cieco conduce un altro cieco, cadono ambedue nel fosso.

            Come guarire? Viene oggi non raramente proposta all'educatore “scoraggiato” una terapia assolutamente sbagliata. Poiché ci troviamo a vivere nel contesto di un grande pluralismo di proposte, spesso confliggenti fra loro, meglio non fare nessuna proposta chiara al ragazzo: quando avrà l'età per farlo, farà la sua scelta.

            Questa proposta è astratta e falsa. E' astratta, perché in sostanza pensa che il ragazzo viva fino ad una certa età sotto una campana di vetro, e poi uscendo sulla piazza dove si confrontano le varie proposte di vita, faccia la sua scelta. Le cose non stanno così; non esiste nessuna campana di vetro. E' falsa: la scelta nasce sempre da un confronto, e quindi esige dei referenti. Se uno è lasciato crescere senza alcuna proposta, non ha alcun termine di confronto; e darà sicuramente ragione a chi “urla più forte”: a chi possiede i mezzi più potenti di produzione del consenso.

            Come dunque guarire dallo scoraggiamento che nasce dall'incertezza? Attraverso un grande, profondo atto di fiducia in quella Tradizione che ci ha generati e custoditi. La parola tradizione è stata esclusa dal vocabolario “politicamente corretto”; è diventata…una brutta parola. Ed i risultati si vedono. Quando dico Tradizione intendo quel modo di vivere, quella visione delle cose, quella cultura che di generazione in generazione è giunta fino a noi.

            Quando dico “cultura” non intendo libri letti, esami sostenuti, lauree conseguite. «Per cultura intendo una luce spirituale che rischiara l'anima ed illumina il cuore, fornisce un indirizzo alla mente e le addita la via della vita»

[F. Dostoevskij, Quaderni e taccuini 1860 – 1881, Vallecchi, Firenze 1980, pag.689, nota 38]. Noi non siamo persone incolte perché di quella Tradizione noi viviamo da secoli. Ed è in essa che noi dobbiamo educare i nostri figli, con piena fiducia.

            Da ciò deriva l'importanza della presenza dei nonni. Essi sono i testimoni viventi della Tradizione.

            Dunque, non dobbiamo pensare che si deve cominciare da capo. Dobbiamo trasmettere ciò che anche noi abbiamo ricevuto.

            – La seconda causa dello scoraggiamento che può prendere l'educatore, è l'esperienza di una sorta di incomunicabilità fra educatore e chi ha bisogno di essere educato. Una sorta di abisso fra le due generazioni, che sembra interrompere quella narrazione della vita che una generazione fa all'altra.

            La soluzione di questa difficoltà è al contempo più facile e più difficile. Più facile in quanto essa nasce da un fatto biologico, oserei dire. Due generazioni, dei genitori e dei figli, non sono due fotocopie: il mondo non avrebbe storia, se così fosse. Annegherebbe nella noia del sempre uguale. E' più difficile, proprio perché nel rapporto fra le generazioni si è sempre a rischio di una chiusura dovuta all'incomprensione reciproca.

            Io non vedo altra via di uscita che la pazienza dell'educatore. Troviamo un esempio mirabile di questa attitudine fondamentale nel modo con cui Dio stesso si è comportato col suo popolo, come ci viene narrato nella Bibbia – Vecchio Testamento. La pazienza è fatta di un amore che ha a cuore la sorte della persona: non lo abbandona mai anche quando sembra farlo. La pazienza non brucia le tappe: sa che cosa può chiedere e che cosa non può chiedere. Rispetta il cammino della persona ed il tempo che esige. La pazienza è anche tollerante. La tolleranza non è l'approvazione del male. E' la sua sopportazione perché, come dice l'agricoltore nella parabola di Gesù, strappando la zizzania si rischia di strappare anche il grano. Soprattutto durante l'adolescenza, l'impazienza dell'educatore può provocare gravi danni.

            La Madre di Dio ci ha offerto un esempio sublime di questa attitudine. Quando, dopo averlo cercato tre giorni, ella trovò Gesù nel tempio, Questi le rispose con parole misteriose. La Madonna non le comprese, dice il testo evangelico, ma le custodì nella sua memoria e nel suo cuore, meditandole. Ella cercò di capire meglio il suo figlio, che stava crescendo.

            Dunque, vigiliamo sempre su noi stessi perché non ci lasciamo mai prendere dallo scoraggiamento. Non lasciamoci rubare dal cuore il coraggio di educare.

           

2.        Vorrei ora affrontare un'altra difficoltà che l'educatore oggi può incontrare, e così terminare la mia conversazione. E' la difficoltà di esercitare l'autorità all'interno del rapporto educativo.

            Parto ora da una costatazione. La relazione educativa non è una relazione fra uguali. Educatore ed educando non sono sullo stesso piano, come lo sono gli amici. L'avere dimenticato questo dato di fatto ha causato non raramente effetti devastanti sulla persona in crescita. Perché molto spesso lo si è dimenticato? Per una serie di ragioni. Ne accenno solo due.

            La prima, perché si sono contrapposte libertà ed autorità, definendo la libertà in termini di autonomia assoluta. Là dove c'è esercizio di autorità – si è pensato, e spesso si pensa- ivi non ci può essere libertà. Per dirla col linguaggio matematico: autorità e libertà sono due grandezze inversamente proporzionali.

            La seconda, perché, accettando consapevolmente o inconsapevolmente quel modo di pensare il rapporto autorità-libertà, si è giunti ad una vera abdicazione dell'esercizio dell'autorità da parte degli educatori. In queste condizioni l'educazione è diventata non difficile, ma impossibile.

            Vorrei ora indicarvi una via per affrontare questa gravissima situazione.

            Il punto di partenza è la convinzione che senza l'esercizio dell'autorità l'educazione diventa impossibile. Non è dunque un optional da cui possiamo anche prescindere. Perché si tratta di una necessità intrinseca al rapporto educativo? Parto da un esempio. Un professore di fisica vuole convincere i suoi alunni che il calore dilata i metalli: glielo fa vedere. Lo di-mostra cioè. Avviene qualcosa di lontanamente simile, molto lontanamente simile, nel rapporto educativo. L'educatore trasmette uno stile di vita. Sulla base di cosa si propone di trasmettere un preciso stile di vita e non un altro? Non è che si possa fare una verifica sperimentale, del tipo di quella indicata dall'esempio. E non è che l'educatore possa…cavarsela dicendo: “questa è la vita vera, giusta. Se ci credi bene; se non ci credi, è lo stesso”. Se un educatore si disinteressa del bene dell'educando…deve proprio cambiare mestiere!

            Il solo modo di di-mostrare che la proposta fatta è quella giusta, è di poter dire: “come vedi, io vivo così, e ti assicuro che sono felice di vivere in questo modo”. La “dimostrazione” è la testimonianza della vita.

            Siamo così arrivati al cuore della questione: di che cosa parliamo, quando parliamo di autorità educativa? Parliamo di un rapporto – quello educativo appunto – fra due persone, nelle quali l'una è alla ricerca di un modo di vivere che soddisfi la sua esigenza di felicità; l'altra gliela mostra in un modo attraente, perché fa vedere nella sua persona la bellezza, la bontà di quel modo di vivere che cerca di trasmettere. L'educatore esercita l'autorità che è propria di tutto ciò che è bello, che è vero, che è giusto. Non possiamo essere indifferenti a ciò che è bello; non possiamo essere neutrali fra il vero ed il falso, la giustizia e l'ingiustizia.

            I Vangeli ci dicono che la gente correva ad ascoltare Gesù perché parlava “con autorità“. Egli dice a Pilato che il senso della sua vita era di “rendere testimonianza alla verità“. Non dice: di predicare la verità, cosa che pure ha fatto instancabilmente. L'educatore ha autorità perché traspare nella sua vita e quindi in ciò che dice lo splendore di una vita vera. In sintesi: autorità significa testimonianza.

            Due riflessioni ora conclusive su questo tema. La prima. Adesso, se sono riuscito a spiegarmi, capite che non è possibile educare senza esercitare l'autorità, nel senso suddetto. Infatti abdicando all'esercizio dell'autorità e volendo continuare ad educare, inevitabilmente o si cade nel permissivismo o nel dispotismo. Il primo genera ribelli; il secondo schiavi. Persone non libere.

            La seconda. In questo contesto si capisce la legittimità ed alcuni casi la doverosità di esercitare anche il potere. Cioè: di dare ordini. Vogliate prestarmi ancora un po' di attenzione. La cosa è importante.

            Il potere non è la violenza; non è la coazione. Il potere è la forza propria che il bene esercita sulla nostra libertà attraverso la persona che ha autorità. Il genitore ha autorità, nel senso spiegato sopra. Può esercitarla in alcuni casi col comando. Esso non è arbitrario, perché nasce dalla bontà intrinseca a quella forma di vita che l'educatore sta trasmettendo.

            Concludo: non lasciamoci rubare il coraggio di educare; non lasciamoci rubare la fiducia nella tradizione; non lasciamoci dominare dall'impazienza; non abdichiamo all'esercizio dell'autorità.

            Vorrei allora che usciste da questo nostro incontro portando nel cuore quattro parole: coraggio; fiducia; pazienza; testimonianza.

 

 

23/03/2014
condividi su