Esequie di don Francesco Nasi

Bologna, Santa Maria Madre della Chiesa

Noi ci lasciamo guidare oggi dalla Parola di Dio, da questa lampada che ha guidato sempre i passi di don Francesco, che ci ha condotti in questa quaresima così vera, duello affatto simbolico con il male, che ci ha fatto comprendere quanto il mondo è un deserto e la nostra vita fragile. E la Parola richiede la comprensione sia nel senso di intelligenza della realtà sia di immedesimazione profonda nell’altro, così necessaria per non restare superficiali e in balia delle immagini e dell’istinto.

Abbiamo contemplato il mistero di Dio che fa sua proprio questa fragilità, che prende per noi la croce per combattere il virus del male, perché non spenga la vita portandola nel sepolcro, ma la sua vittoria diventi la sua sconfitta. La porta che si chiude su Gesù inghiottendolo negli inferi sarà divelta, scardinata per sempre perché il male non può più imprigionare la vita perché questa risorge e non muore più. E’ stata anche l’ultima Pasqua per don Francesco, vissuta sempre con abbandono confidente a Dio, come un naturale affidarsi alle sue mani, quelle da cui nessuno ci può rapire. Ha ascoltato la sua voce, l’ha fatta sua ed è stato voce di questo pastore che difende dal lupo. E la voce diventa storia, la Parola carne, si intesse con la nostra vita, se ne fa anima e linfa vitale.

Per ogni discepolo di Gesù e per ogni comunità nella quale Cristo vive c’è un capitolo di quella storia di Dio con gli uomini che sono quei libri che la terra non può contenere e che possiamo scrivere con la nostra vita e con l’inchiostro dell’amore di Dio. Salutiamo don Francesco in questa casa a lui e a voi così cara, davvero Madre, cui tanta parte della vita lunghissima di don Francesco è legata. E’ come una delle tante dimore di Dio che vuole solo prendere dimora nel nostro cuore e che lo raggiungiamo nella casa del cielo.

Qui abbiamo trovato un posto. Fossimo consapevoli con gratitudine e orgoglio di questo posto che il Signore ci ha dato! Quanta gioia proveremmo e quanta consapevolezza avremmo della preferenza che ci ha sottratto dal caos, dell’amore che ci ha generato a figli e ci addomestica all’amore fraterno.

Francesco è stato proprio per la chiesa di Bologna uno di quegli anziani ai quali gli apostoli avevano affidato la comunità. “Mi sono fatto prete per fare il prete, anche se sono stato costretto a fare l’agricoltore e il muratore”, diceva senza nessuna amarezza che nutre il vittimismo e senza lamentarsi che spesso nasconde un’alta valutazione di sé. Ha costruito tanto, ma per farlo non ha mai perso la pace e non l’ha tolta agli altri, dimostrazione che se abbiamo il cuore in pace possiamo compiere tante opere senza pesare sugli altri e senza perderci o indurirci. Don Francesco ha vissuto ed è morto con gratitudine perché riconosceva i doni ricevuti.

E’ morto dicendo, sorridendo, grazie. Uno dei carismi di Francesco è stato qualcosa che lui, uomo per certi versi antico di formazione ma profondamente ecclesiale (ordinato da Nasalli Rocca nel 1948), ha vissuto pienamente: l’obbedienza al Concilio Vaticano II perché figlio docile della Chiesa che ha servito. Amava la chiesa comunità, che dà valore ai carismi. Sapeva tirare fuori il meglio della persona, la sua volontà di bene, a volte nascosta per paura o perché nessuno coinvolge o dà fiducia. Chi vuole bene ed ha un cuore buono il bene lo diffonde così. Se ha costruito la Chiesa edificio ha costruito anche quello spirituale, con tante persone che ha convolto nella gioia di fare le cose, di farle assieme, di farle gratuitamente per gli altri, di pensarsi assieme.

Senza vanagloria o iattanza, aperto e discreto, in preghiera e attento intellettualmente, si è fatto piccolo, tanto che diceva che “per temperamento mi trovo bene con i bambini”. In realtà si trovava bene con tutti e ci rendeva tutti piccoli, perché disarmava con la sua umanità e ci faceva sentire amati da Dio. Credo che lo hanno sperimentato i suoi cappellani anche i parroci che sono venuti dopo e che hanno ereditato questo edificio spirituale e umano.

Quanto é vero che di noi resta solo quello che lasciamo, vero sia per i preti come per tutti. Resta quello che noi non leghiamo a noi, che regaliamo agli altri e a questa casa di amore che è la Chiesa. Il suo carisma era dare stabilità, di orientare, di rassicurare, di coinvolgere nella costruzione di questa comunità di fratelli e sorelle dove ognuno trova il suo posto non perché occupa uno spazio, come un condominio di ruoli o di considerazioni, ma perché tutti servi gli uni degli altri e tutti con un ruolo, unico, irripetibile. Il suo carisma è stato, come sempre per i miti e umili di cuore (come tutti siamo tenuti a diventare!), valorizzare i carismi degli altri e ordinarli nella costruzione di questo edificio spirituale che è questa famiglia che lui sentiva sua e amava nel suo tratto familiare. Se Gesù, che è il più grande è mite e umile noi non siamo certo autorizzati ad essere aggressivi e presuntuosi.

Era un uomo disponibile, magnanimo, cioè con un cuore largo e che quindi lo allargava a chi se lo ritrovava piccolo; semplice perché non si era fatto complicare dall’orgoglio. Con il suo sorriso ti faceva sentire accolto, non giudicato ma amato e per questo ti facevi giudicare da lui anzi cercavi proprio il giudizio. E’ una di quelle persone il cui ricordo, solo questo, dava fiducia e serenità. Da Castelfranco, scelse di diventare prete in anni nei quali otto nostri confratelli vennero uccisi, poi Zola, Gragnano (parlare di semina, della pioggia o della nascita del vitello le definiva una para liturgia in preparazione alla catechesi), poi Croce del Biacco e qui. La gioia di una casa per tutti, perché questa madre non è esclusiva ma sente ogni uomo suo.

Sì ringraziamo il Signore perché è andato per preparare un posto ed è tornato non per portarci via dalla terra ma per strapparci dal buio e sollevarci alla pienezza della luce, per farci stare con lui in questa emigrazione verso il cielo che rende noi, emigranti su questa terra, non più costretti ad andare avanti a casaccio o verso il nulla, ma verso questa pace che ci accompagna e che ci attende. La pace la riceviamo e ci precede. Non era turbato Francesco. Ha ringraziato fino alla fine per i tanti doni perché mite e umile di cuore, mentre il compiaciuto cerca i suoi meriti, misura le sue capacità e non è mai contento di come queste vengono considerate. Il mite ringrazia perché contento di essere amato, fa sua la pace che riceve da Gesù.

Ne sono testimone quando ho accompagnato Francesco qui da voi in occasione dell’ingresso di don Paolo. L’applauso – che sentì bene !- che lo travolse fu per lui un regalo grande e la gradita conferma di quello che sapeva già, perché chi serve ed è mite umile gode sempre dei tanti frutti che sono suoi proprio perché offerti per gli altri e solo per la gloria di Dio. Vi lascio la pace. E’ stata la beatitudine di Francesco. E’ il dono pieno che lo attende nella casa dalle molte dimore e che ha gustato e donato i questa dimora terrena.

Un tempo quando moriva un prete si chiedeva a lui di pregare perché un altro venisse chiamato. Chiediamo a lui anche di renderci tutti benevoli, di buon spirito, attraenti perché miti e umili di cuore, costruttori semplici di comunione. Ho trovato come riassunto in suo quaderno: “Volete essere i primi? Siate gli ultimi. Volete essere grandi? Fatevi piccoli. Volete dominare? Fatevi servi”.  E’ stata la sua vita. Grazie mite e umile di cuore don Francesco. In pace.

12/05/2020
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