Esequie di Mons. Francesco Nanni
Basilica di San Luca, 12 marzo 2005.

«Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore». Carissimi fratelli e sorelle, nel momento in cui consegniamo colla preghiera della Chiesa alla misericordia del Padre l’anima del nostro fratello, la parola dell’Apostolo appena ascoltata è particolarmente illuminante.

Essa ci insegna che la vera e più consistente divaricazione non è fra vita e morte, ma fra l’orientamento fondamentale che plasma il nostro vivere ed il nostro morire. Per colui che appartiene al Signore né vita né morte  hanno una diversità fondamentale, dal momento che Gesù Risorto è il Signore dei vivi e dei morti.

Quest’appartenenza è stata costituita dal Battesimo, perfezionata dalla Cresima e resa quotidianamente consistente dall’Eucarestia. Essa dunque definisce la condizione di ogni cristiano.

Ma il legame con Cristo assume una configurazione particolare nella persona del sacerdote: egli non vive per se stesso in una modalità sua propria, poiché è del Signore in modo unico. E ciò è vero in primo luogo nell’economia sacramentale. Paolo amava chiamare se stesso: schiavo di Cristo e connetteva sempre questa sua qualifica colla sua missione apostolica. Il sacramento dell’Ordine unisce indissolubilmente la persona del sacerdote a Cristo, così che nessun sacerdote vive per se stesso e nessuno muore per se stesso. Servo di Cristo, è al servizio della redenzione dell’uomo.

L’oggettività sacramentale è poi vissuta da ogni sacerdote in un modo proprio a ciascuno: secondo le caratteristiche proprie della persona ed il servizio richiesto dalla Chiesa. Così è stato del nostro fratello Francesco che oggi raccomandiamo al Padre.

Ho letto con profonda commozione quanto egli disse il 24 settembre 1950, durante la celebrazione solenne della sua prima S. Messa. La sua coscienza sacerdotale vi appare già con una chiarezza impressionante: la coscienza di essere un servo del Signore. Egli così si esprimeva: «Ascoltami allora o Signore: tu non puoi e non vuoi dire di no al tuo sacerdote: ebbene, fammi crescere secondo la tua volontà. Io ti domando, con la preghiera che la Chiesa oggi mi ha posto sul labbro: onnipotente misericordioso Signore, accogli con bontà le suppliche del mio nulla e fa di me, tuo servo, che non per i miei meriti ma per l’immensa larghezza della tua clemenza hai destinato al servizio del celesti misteri, un degno ministro dei tuoi sacri altari».

A questo orientamento il nostro fratello Francesco è stato fedele. Egli accettò di svolgere nella Chiesa locale un servizio fra i più delicati e pesanti, che esige grande prudenza e fortezza d’animo: dal 1964 al 2004 per quarant’anni fu il Responsabile del patrimonio della nostra Chiesa: quel patrimonio di cui la Chiesa ha bisogno per il servizio di Dio e dei poveri.

Come i confratelli della sua generazione, egli era assai parco – pur nell’affettuosa cordialità – di confidenza. Una me la fece che ora posso condividere con voi a nostra comune edificazione. Era stato nominato Abate parroco a S. Giuliano da pochi mesi, quando venne richiesto dal Card. Arcivescovo di assumere la Direzione dell’Ufficio Amministrativo Diocesano. Fu molto doloroso – egli mi disse – il non poter più dedicarsi interamente al ministero parrocchiale, ma egli obbedì. Il servo di Cristo non può che essere il servo della Chiesa. Ed ora la Chiesa di Bologna deve a lui un’immensa gratitudine.

Mons. Francesco ha voluto chiudere la sua giornata terrena nel Santuario della B.V. di San Luca. Il suo sacerdozio era contrassegnato da una profonda dimensione mariana. Egli ha amato questo Santuario; lo ha servito per anni colla sua competenza amministrativa. Anche in questo ci lascia un insegnamento prezioso. Ogni sacerdote del nostro presbiterio deve sentire come casa propria anche questo luogo. Che Maria, accolga la preghiera con cui Monsignore ha chiuso il suo testamento: Maria Santissima, prega per me peccatore, nell’ora della mia morte.

12/03/2005
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