esequie di mons. Mario Campidori

Bologna, Cattedrale

La vicenda umana e sacerdotale di Monsignor Mario Campidori ci imparte una lezione di vita, che dobbiamo saper raccogliere in quest’ora di rimpianto e di pena, in cui con il fraterno rito di suffragio prendiamo congedo dalla sua visibile presenza in mezzo a noi. Da questa vicenda discende sulla nostra avventura terrena e sugli accadimenti umani una luce preziosa, che ci aiuta a capire il senso autentico dell’esistenza e i suoi veri valori.

Quando nel lontano 17 giugno 1943 don Mario ricevette l’ordinazione presbiterale nella cattedrale della sua diocesi di Imola, certo egli pensava al suo avvenire con l’animo colmo di speranze e di attese, come è naturale che avvenga in un giovane che si è consacrato a un grande ideale. Ebbene, quelle speranze e quelle attese dopo soli quattro anni – quattro anni spesi nelle parrocchie di Riolo Bagni e di Spazzate Sassatelli – apparivano già del tutto vanificate.

Nel 1947 gli si manifesta un male che lo costringerà a vivere in carrozzella per il resto della sua lunga vita.
Una sorte sfortunata, un sacerdozio sterile, un ministero senza prospettive: così doveva per forza pensare l’opinione mondana. Ma quel Dio che si diverte a “rovesciare i potenti” e a “innalzare gli umili” – come ci ha insegnato nel suo cantico la Vergine Maria – non è stato di questo parere. E noi siamo qui tutti a rendere testimonianza che poche attività pastorali sono state più efficaci di questa, pochi ministeri più fecondi di bene, poche vite soprannaturalmente più benedette.

Riflettendo su quanto si è realizzato in don Mario Campidori ci torna più agevole capire la pagina delle “beatitudini”, che l’odierna liturgia ci ha riproposto.
Che cosa ci dice quella pagina?
Ci dice che gli uomini fortunati – gli uomini “beati”, come li chiama il Signore – non sono quelli che possiedono molto (e perciò devono lasciare molto), ma quelli che avendo l’animo distaccato e libero possono diventare i benefattori di tutti; non sono quelli che consumano i loro giorni inseguendo tutti gli agi e tutti i godimenti possibili, ma quelli che dalla sventura o dalla malattia sono preparati meglio e resi più disponibili alle consolazioni del cielo; non sono quelli che non esitano a infliggere agli altri il loro egoismo e la loro prepotenza, ma quelli che riescono ad affascinare il cuore di Dio e degli uomini con la loro mansuetudine, la loro generosità, la loro dolcezza.

Fin dalla sua prima giovinezza don Mario è rimasto conquistato dalla personalità di Pio XII: davvero il papa in quei giorni affascinava i cuori dei credenti con la sua figura ieratica che faceva spicco su un’umanità squassata e abbruttita da una guerra interminabile, con la sua forza spirituale che infondeva fiducia in quelle ore desolate, con la sua ispirata saggezza in mezzo all’imperversare delle follie umane.

Don Campidori ne fu segnato e arricchito per sempre: e proprio una così grande attrattiva di riverenza e di affetto ha confermato e alimentato in lui una fede semplice e ardente, una fede essenzialmente “ecclesiale” quotidianamente commisurata, nella cordialità e nella letizia, con il magistero di coloro che “lo Spirito Sano ha posto come vescovi a pascere la Chiesa di Dio” (cfr. At 20,28).

A quel papa – “Pastor angelicus” – egli dedicherà il suo capolavoro, il “Villaggio senza barriere”, che tutti amiamo e ammiriamo. Sulla sua tomba amerà recarsi pellegrino a pregare e ispirarsi. La Madonna Assunta – che Pio XII in modo definitivo ha indicato alla Chiesa come verità incontestabile” – resterà la sua devozione più cara.

Noi che con molta sofferenza abbiamo visto in questi ultimi tempi Mons. Mario Campidori che di giorno in giorno, sempre più silenzioso, andava disfacendosi nel suo “uomo esteriore”, per usare l’espressione di san Paolo (2 Cor 4,16), oggi siamo qui a pregare per lui sorretti e rianimati dalla grande speranza cristiana, convinti come siamo che “colui che ha risuscitato il Signore Gesù risusciterà anche noi e ci porrà accanto a lui” (2 Cor 4,4).

“ Quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli” (2 Cor 5,1), ci ha detto la parola sacra che abbiamo ascoltato.
Allora noi, che oggi siamo nella tristezza per la morte di una persona amica, saremo consolati, perché tutti coloro che oggi sembrano essersi allontanati da noi, saranno invece guadagnati con noi alla comune felicità che ci attende.

07/05/2003
condividi su