“Familia via Ecclesiae.
Il magistero di Papa Wojtyla sul matrimonio e la famiglia”

Più che addentrarmi in una rigorosa analisi scientificamente elaborata del Magistero di Giovanni Paolo II circa il Matrimonio e la Famiglia, preferisco indicarne quelle che mi sembrano le linee orientative fondamentali. A modo più di “testimonianza” che di contributo scientifico.

A me sembra che le direttive fondamentali del magistero di Giovanni Paolo II siano le seguenti: la “questione matrimonio-famiglia” è radicata nella “questione antropologica”; la teologia matrimoniale va costruita sull’antropologia adeguata; diagnosi e terapia delle malattie di cui soffre il matrimonio e la famiglia. Dividerò quindi il mio contributo rispettivamente in tre parti.

Matrimonio-famiglia e questione antropologica.

Come è noto all’inizio del suo pontificato Giovanni Paolo II dedicò le catechesi del mercoledì al tema del «principio», al tema esposto nella narrazione del capitolo secondo della Genesi: tema che egli segue, nelle sue catechesi, lungo l’intero percorso della Rivelazione biblica. La connessione fra “questione matrimoniale” e “questione antropologica è già pienamente mostrata in quelle catechesi. Il seguito del magistero di Giovanni Paolo II al riguardo non sarà che approfondimento e ripresa.

Perché  esiste uno stretto legame fra “questione antropologica” e “questione matrimoniale”? cercherò di rispondere in modo sintetico, percorrendo le due vie che Giovanni Paolo II percorre nel suo magistero: dalla persona umana al matrimonio-famiglia; dal matrimonio-famiglia alla persona umana. La prima è la via fondativa: la natura della persona umana fonda il matrimonio e la famiglia. La seconda è la via rivelativa: il matrimonio e la famiglia sono uno dei luoghi privilegiati per scoprire la verità della persona.

In una conversazione privata con alcuni amici Giovanni Paolo II disse di aver scritto Persona e atto – la sua opera filosofica più importante – per dimostrare la verità e la praticabilità di quanto aveva scritto in Amore e responsabilità. La prima opera, come è noto, è una riflessione antropologica che tende a comprendere l’uomo come persona attraverso il suo agire moralmente connotato. Nella seconda opera, cronologicamente antecedente, K. Woitila aveva costantemente riportato e compreso l’essenza dell’amore coniugale all’essenza della persona: «Ã¨ il fattore (=l’amore sponsale) più strettamente legato all’essere della persona».

L’amore coniugale e parentale è fondato sulla natura stessa della persona umana. Attraverso la lettura dell’originaria esperienza di Adamo, icona di ogni uomo, come è narrata nel secondo capitolo della Genesi, Giovanni Paolo II coglie due costitutivi essenziali della persona umana.

L’uomo è nel mondo che egli conosce; ma solo, fra tutte le creature, l’uomo conosce se stesso. è una vera e propria “solitudine originaria” creata dalla soggettività dell’uomo, dall’emergere del suo io nei confronti di chi non può dire «io». Essere qualcuno è essere essenzialmente altro che essere qualcosa.

Ma nello stesso tempo la persona umana sente il bisogno originario di comunicare con altri. La Scrittura denota questo bisogno attraverso la ricerca che l’uomo fa di “un aiuto simile” fra gli animali. Ricerca senza esito: è chiamato ad incontrarsi con una persona umana diversa da sé.

E solo in questo incontro, l’uomo scopre pienamente se stesso. Ciò che è essenziale in questa riflessione di Giovanni Paolo II è il legame intrinseco che egli individua fra la scoperta–affermazione del sé e la scoperta-affermazione dell’altro: Adamo scopre-afferma se stesso pienamente nella scoperta-affermazione di Eva. In Raggi di paternità K. Woitila aveva scritto «adesso devo trovarmi in te, se voglio trovarmi in me».

In questa connessione Giovanni Paolo II scopre l’essenza e la definizione dell’amore. Più precisamente. In quanto essa [connessione] denota una dimensione essenziale della persona, indica che la vocazione originaria della persona è l’amore. L’amore è quindi – non si stancherà mai di ripetere Giovanni Paolo II – «la realizzazione  più completa delle possibilità dell’uomo». La persona è nella misura in cui ama, dal momento che l’amore misura al contempo la consistenza della propria soggettività e dell’affermazione dell’altro.

A Giovanni Paolo II non sfugge ovviamente che la scoperta originaria che Adamo-uomo fa dell’altro è la scoperta di Eva-donna. Il linguaggio che originariamente dice l’alterità è la sessualità. Giovanni Paolo II ama parlare, quando nel suo magistero affronta questo tema, del corpo come linguaggio della persona, oppure del significato sponsale del corpo. La correlazione originaria fra le persone umane è la correlazione uomo-donna.

è da questa visione della persona umana che scaturisce l’esperienza dell’amore sponsale e dell’amore parentale, come cercherò brevemente di far vedere.

Definita l’essenza dell’amore, come vocazione originaria di ogni persona, l’amore sponsale è una realizzazione privilegiata di quell’essenza. Privilegiata, poiché l’essenza dell’amore si manifesta nell’amore coniugale con un’evidenza maggiore che in qualsiasi altro amore; per l’intensità della donazione degli sposi l’uno all’altro e per l’arricchimento umano che ne consegue. Chi vive l’esperienza dell’amore coniugale, vive in forma privilegiata l’esperienza dell’essenza dell’amore e quindi dell’essenza della persona.

Da questo Magistero risulta  che il matrimonio è radicato nella natura della persona umana. Oggi si preferisce esprimere la stessa verità con le seguenti parole: il matrimonio non è un fatto puramente culturale, senza alcun fondamento nella natura della persona umana. E pertanto la sua definizione istituzionale non è una mera convenzione sociale.

Nel magistero di Giovani Paolo II troviamo anche l’altro percorso: dall’amore coniugale alla persona. Esso è – se così posso dire – più fenomenologico del precedente. Parte dalla descrizione dell’amore coniugale e parentale nelle loro proprietà essenziali e  mostra come esse siano pensabili solo all’interno di una vera antropologia.

Troviamo questa logica di “risalita della corrente verso la sorgente” quando Giovanni Paolo II parla della indissolubilità matrimoniale, della procreazione responsabile, della castità coniugale. In sintesi, il modello argomentativo è il seguente: quanto il magistero della Chiesa dice a riguardo dell’indissolubilità, della procreazione responsabile, della castità coniugale è pensabile e comprensibile alla luce della (grandezza e dignità) persona umana intesa nella sua verità intera. Non abbiamo ora il tempo di indicare, neppure per sommi capi, questo percorso. Concludo questo primo punto.

Sono sempre più convinto che questa connessione fra la questione antropologica e la questione matrimoniale sia la chiave interpretativa fondamentale per capire il Magistero di Giovanni Paolo II circa il matrimonio e la famiglia; costituisca la sua più grande novità all’interno della Tradizione ecclesiale; sia il “lascito culturale” più importante che non debba essere disperso.

La dottrina del matrimonio e della famiglia.

Il magistero di Giovanni Paolo II non si limita a mostrare la connessione che esiste fra la persona umana e il matrimonio. Espone anche lungamente la dottrina del matrimonio e della famiglia.

Il magistero di ogni Pontefice riprende la Tradizione della Chiesa; ripresa significa non ripetizione ma fedeltà creativa. Nel Magistero di Giovanni Paolo II  ritroviamo ovviamente tutti i grandi temi della dottrina cristiana circa il matrimonio e la famiglia, ed anche la risposta a problemi assolutamente nuovi [si pensi al tema della procreazione artificiale]. Tuttavia, è una ripresa che viene fatta nella prospettiva che ho tentato di schizzare nel punto precedente, come cercherò di mostrare subito.

L’approccio antropologico porta Giovanni Paolo II a costruire una dottrina del matrimonio in chiave storico-salvifica. Matrimonio e famiglia cioè non sono contemplati e mostrati in una loro essenza distolta dalla vicenda storica  in cui sono inseriti. Vicenda storica non significa il susseguirsi casuale di culture create in maniera assolutamente autonoma dall’uomo. Ha un significato rigorosamente teologico: è l’economia della salvezza dell’uomo progettata in Cristo dal Padre e realizzata nella pienezza dei tempi.

La persona umana è universalmente-concretamente questa: creata in Cristo, decaduta dalla sua originaria giustizia e da Lui redenta, per essere in Cristo partecipe della stessa vita divina. Matrimonio e famiglia seguono la sorte della persona umana: esiste il «principio» del matrimonio nella sua originaria bellezza; esiste il matrimonio «decaduto»; esiste il matrimonio «redento» e «trasfigurato» in Cristo. Sono questi i tre capitoli fondamentali in cui si struttura il magistero di Giovanni Paolo II sul matrimonio e la famiglia.

La considerazione del matrimonio «al principio» coincide normalmente con la riflessione sulla dimensione antropologica del medesimo, sulla quale ci siamo già intrattenuto nel paragrafo precedente. Basta in questo contesto aggiungere un tema molto intrinseco alla prospettiva antropologica succitata: il tema della sacramentalità originaria del matrimonio.

Poiché il matrimonio è costituito dall’autodonazione delle persone, evento essenzialmente spirituale ma che si realizza ed esprime nella corporeità, esso (matrimonio) ha un’originaria struttura sacramentale: realizza un avvenimento spirituale mediante un segno.

La sacramentalità propriamente detta, quella cristiana, è l’elevazione [è questo il termine usato abitualmente dal magistero della Chiesa] della originaria sacramentalità a significare efficacemente la partecipazione dei due battezzati al vincolo sponsale che unisce Cristo e la Chiesa.

Questa relazione fra “matrimonio di natura” e “matrimonio di grazia”, tema classico della dottrina cristiana del matrimonio, viene dunque ripresa nel Magistero di Giovanni Paolo II in modo che da una parte viene fortemente affermata l’unità dell’economia salvifica e dall’altra, conseguentemente, la “cristianizzazione” del matrimonio non è qualcosa di estrinseco alla vita ed esperienza coniugale, ma ne è la piena realizzazione. è uno dei , o forse il tema centrale e la chiave di volta di tutto il Magistero ed il Ministero di Giovanni Paolo II: solo nel mistero del Verbo incarnato l’uomo conosce e realizza perfettamente se stesso.

L’elevazione soprannaturale della naturale sacramentalità del matrimonio assume però il carattere redentivo: è redenzione del matrimonio: sana – come ama dire il Magistero costante della Chiesa – il matrimonio naturale.

La modalità con cui Giovanni Paolo II riprende nel suo magistero questo tema è dettata anche  dalla prospettiva di fondo della sua riflessione, muovendosi mi sembra su due piani. Uno più, direi, filosofico-teologico: da quale malattia l’amore redentivo di Cristo guarisce l’uomo e la donna che si sposano? L’altro più, direi, storico: quali sono oggi i principali sintomi di questa malattia? Rimando al terzo e ultimo punto di questa mia introduzione la risposta alla seconda domanda; mi limito alla prima.

La risposta alla prima domanda Giovanni Paolo II la diede per la prima volta nel suo pontificato in un lungo commento al testo evangelico Mt 5,27-28: guardare una donna per desiderarla. Commento che fece nel ciclo delle Catechesi del mercoledì sull’amore umano.

Il tema era già stato ampiamente trattato in Amore e responsabilità, ma nelle Catechesi viene ripreso con più ampiezza e profondità. Possiamo partire da una formulazione sintetica del libro: «gustare il piacere sessuale senza tuttavia trattare la persona come un oggetto di godimento, ecco il nocciolo del problema morale sessuale» [in K. Woitila, Metafisica della persona, Bompiani ed., Milano 2003, pag. 517]. La “caduta” dell’uomo e della donna in quanto coniugati consiste nell’aver perso la superiorità della loro persona sulla loro sessualità. Perdita che impedisce di vedere la persona dell’altro mediante il suo corpo, e che ha disintegrato in se stesso l’unità originaria della propria persona.

Da una parte il valore proprio della persona, la sua realtà ontologicamente ed assiologicamente intesa si è come sradicata dalla propria sessualità, producendo o l’incontinenza o la “frigidità”. Dall’altra, l’occhio con cui si guarda l’altro/a ha come perduto la sua acutezza visiva; è diventato spiritualmente miope perché nel corpo non vede più trasparire la persona. Il proprio corpo non è più la trasparenza della persona, ed il corpo dell’altro non è più inteso come linguaggio della sua persona.

Quale è la vera misura della gravità di questa malattia spirituale o meglio di questa condizione morbosa? Essa appare da un ulteriore approfondimento che Giovanni Paolo II compie abitualmente quando affronta questa tematica.

La disintegrazione della persona rende impossibile l’autodonazione della persona nel e mediante il corpo. La vera tragedia consiste precisamente in questo: la persona diventa incapace di fare dono di sé. E poiché essa si realizza solo nel dono di sé, diventa incapace di realizzarsi: è perduta! L’incontinenza è sempre il sintomo di un “cuore duro” incapace di amare.

Di conseguenza, il rapporto coniugale diventa un uso contrattato e consentito che gli sposi fanno del loro corpo. Ovviamene non può non essere un contratto a termine. La “durezza del cuore” non è in grado di portare il peso di un vincolo indissolubile.

Come è agevole constatare, è il tema classico della concupiscenza ma ripensato interamente in chiave personalista.

Questa è la malattia da cui Cristo guarisce l’uomo e la donna; questo è lo stato di decadenza in cui versava il matrimonio. Come Cristo lo guarisce? come lo eleva? Ridonando all’uomo e alla donna la capacità di amare. Cioè: di impiantare dentro al linguaggio della sessualità l’autodonazione della persona. E ciò diventa possibile perché mediante il dono dello Spirito Santo l’uomo e la donna diventano partecipi  della stessa capacità di amare di Cristo.

La “redenzione del corpo” operata da Cristo apre però alla persona umana non solo la via dell’autorealizzazione secondo la forma coniugale, ma anche secondo la forma verginale, vera novità questa dell’economia salvifica cristiana; è il frutto più originale dell’atto redentivo di Cristo, della redenzione della sessualità operata da Cristo.

Diagnosi e terapia della condizione odierna.

Il Magistero di Giovanni Paolo II ha continuamente fatto una diagnosi della condizione in cui versano oggi il matrimonio e la famiglia per indicarne le terapie efficaci.

Ogni diagnosi dipende nei suoi risultati dagli strumenti di cui può far uso chi la esegue. La strumentazione di cui si serve Giovanni Paolo II non è quella sociologica né, ancor meno, quella economica. Lo strumento usato da Giovanni Paolo II per la diagnosi della condizione odierna è quell’antropologia adeguata che egli ha elaborato alla luce congiunta della fede e della ragione. Essa è particolarmente sviluppata nella Lettera Gratissimum sane inviata a tutte le famiglie del mondo in occasione dell’Anno internazionale della famiglia. Mi limito a quanto attiene alla cultura e società del c.d. primo mondo, la cui influenza culturale per altro è ancora molto forte su tutta la terra.

A me sembra che il “malessere mortale” di cui soffre il matrimonio e la famiglia così come è diagnosticato nel suo insieme da Giovanni Paolo II, possa essere connotato come un grave collasso della soggettività umana. L’espressione è mia, ma penso non tradisca il pensiero di Giovanni Paolo II.

Poiché la soggettività umana si realizza mediante l’esercizio della ragione e della libertà, la diagnosi di Giovanni Paolo II  si situa ad un duplice livello.

Egli in primo luogo parla di una crisi del concetto di verità come di una delle principali cause della crisi in cui versa l’istituzione matrimoniale e famigliare. Il segno di questa grave crisi del concetto di verità è che i termini sono diventati equivoci: stesso suono, significati diversi e contrari persino. Termini per esempio come “dono di sé”, “paternità-maternita”, “amore” hanno subito questa sorte. Resi equivoci da una profonda sfiducia nella capacità di conoscere l’essenza di queste realtà spirituali o anche non raramente dalla negazione che esista una tale essenza. In un certo senso il collasso della ragione è il più grave collasso della soggettività; esso nega alla radice la possibilità stessa di costituire un autentico vincolo coniugale. La comunione coniugale vera diventa non impraticabile, ma impensabile, assegnando alla persona umana un destino di autodistruzione. Infatti «senza questa trascendenza – senza superamento e in un certo senso senza crescita di se stesso verso la verità e verso il bene voluto e scelto alla luce della verità – la persona, il soggetto persona, in un  certo senso non è se stesso» scriveva K. Woitila nel 1976 [cfr. Metafisica della persona. ed.   Bompiani, Milano 2003, pag. 1352] (sott. nostra). Ai nostri giorni il collasso della ragione ha generato una completa incertezza anche nell’ordinamento giuridico, dove «matrimonio» e «famiglia» sono forme completamente vuote che possono ricevere qualsiasi contenuto.

Il collasso della soggettività ha investito anche l’esercizio della libertà: se il segno del collasso della ragione è secondo Giovanni Paolo II  la “crisi del concetto di verità”, il segno del collasso della libertà è –secondo Giovanni Paolo II  l’individualismo, la cui essenza consiste nella ricerca del proprio bene prescindendo dal bene dell’altro. Nel suo Magistero, Giovanni Paolo II riprende quanto aveva già elaborato attraverso un concetto chiave della sua antropologia, il concetto di partecipazione: ogni persona è originariamente relata ad ogni persona.

L’individualismo introduce nella costituzione e nel vissuto della comunità coniugale e famigliare una logica che semplicemente contraddice la logica del dono, poiché l’individualismo istituisce un rapporto di uso dell’altro.

Quale terapia propone Giovanni Paolo II? Direi che essa consiste nella ri-proposizione del Vangelo del Matrimonio, momento essenziale di quella nuova evangelizzazione che ha costituito il tema centrale del suo servizio petrino. Non è la riproposizione pura e semplice delle norme morali, che guarisce matrimonio e famiglia, ma la possibilità – offerta dall’evangelizzazione – per l’uomo e la donna di un incontro con Cristo vivente e presente. Tuttavia, Giovanni Paolo II ha indicato anche le modalità fondamentali con cui questa offerta deve essere fatta all’uomo di oggi.

Egli ha richiamato continuamente la necessità di mostrare la “rilevanza antropologica” dell’annuncio cristiano. Cristo sa che cosa c’è nel cuore dell’uomo. Un annuncio  del Vangelo che non sia significativo per l’uomo che l’ascolta è sicuramente inefficace.

Egli ha richiamato continuamente la priorità e l’urgenza della scelta educativa e quindi la cura speciale che la Chiesa deve avere delle giovani generazioni. Educazione intesa come introduzione dei giovani dentro alla verità ed alla bellezza di un incontro con Cristo che sveli loro tutta la ricchezza della loro umanità.

Egli ha richiamato continuamente la necessità di una evangelizzazione del matrimonio che sappia rivolgersi a tutto l’uomo non solo alla sua testa o solo al suo cuore. Giovanni Paolo II ha trasmesso il Vangelo con tutto se stesso ed attraverso una comunicazione non solo magisteriale propriamente detta, ma anche poetica, filosofica, teologica.

Conclusione

Ho avuto occasione di parlare col S. Padre Giovanni Paolo II di tutti questi temi, soprattutto nei primi anni di fondazione del Pontificio Istituto di Studi su matrimonio e famiglia. E mi sono chiesto varie volte che cosa ultimamente lo muoveva a porre al centro del suo ministero pastorale il matrimonio e la famiglia.

Ho pensato che fosse uno sguardo posato sull’uomo come attraverso due finestre: la finestra della libertà dell’uomo nella quale egli decide di se stesso per sempre; la finestra dell’atto redentivo di Cristo nella quale Dio ha svelato quanta stima ha dell’uomo. E l’uomo e la donna che si sposano sono manifestazione privilegiata di quel rischio che è insito nello stesso mestiere del vivere umano.

 

31/03/2006
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