festa dei ss. Pietro e Paolo

Bologna, Cattedrale

“Edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). Non c’è in tutto il Libro di Dio parola che dica in forma più esplicita e semplice l’origine della Chiesa: la Chiesa è nata dalla sapienza, dal cuore, dall’azione salvifica del Signore Gesù. Oggi – nella festa dell’apostolo Pietro, primo patrono dei bolognesi e titolare da sempre di questa cattedrale – la Provvidenza ci ripropone questa parola come un invito e un aiuto a riscoprire (di là da tutti i travisamenti, le banalizzazioni, gli apprezzamenti mondani) la verità, la ricchezza, l’intrinseco splendore della realtà ecclesiale, nella quale abbiamo la fortuna di essere incorporati.

“Edificherò la mia Chiesa”. La Chiesa è stata pensata, voluta, attuata da Cristo. Appunto per questo, tra le casupole delle molte effimere costruzioni umane (sociali, politiche, culturali che siano), questa “casa di Dio” (cf 1Tm 3,15) è l’edificio più solido, più affascinante, più utile all’uomo, che sia mai stato eretto sulla terra.

Certo, Gesù non realizza la sua opera coinvolgendovi soltanto “gli spiriti celesti e i serafini”: la sua Chiesa è fatta di uomini; e dunque di creature fatalmente deboli e peccatrici, come siamo noi. Ma, se anche il materiale impiegato è difettoso, l’Artefice divino con la sua genialità e il suo affetto misericordioso ne sa ricavare un capolavoro.

E’ ovvio che sia difficile al non credente percepirne l’incanto e il valore: gli manca il principio conoscitivo adeguato e, per così dire, il senso estetico soprannaturale in grado di coglierne la soprannaturale bellezza. Tutt’al più sarà dato al non credente di meravigliarsi per la misteriosa vitalità della Chiesa, se pure non prevale in lui l’irritazione per la irriducibile e intrigante permanenza di questa istituzione lungo tutto i secoli della storia.

Il credente invece – se è un vero credente – ammira il prodigio, ne gode e ringrazia il Signore. Ma non se ne stupisce troppo, poiché egli sa che il progettista e il costruttore della Chiesa è lo stesso Figlio di Dio.

Anzi. il Figlio di Dio fatto uomo, crocifisso e risorto, è anche, per così dire, il “finanziatore” dell’impresa, dal momento che – come sta scritto – l’ha acquistata e pagata con il suo sangue (cf At 20.28). Perciò ne è altresì il “proprietario” e a giusto titolo può dire “la mia Chiesa”. La Chiesa non è d’altri che sua.

Non si può quindi separare la Chiesa da Cristo. Chi non ama, non stima, non ascolta la Chiesa, si illude di credere seriamente in Cristo, di riconoscerlo nella sua verità di Salvatore e di Maestro, di essere veramente suo.

Gesù dice : “la mia Chiesa”; non dice: le mie Chiese”. Ai suoi occhi, una sola è la Sposa per la quale egli ha dato se stesso (cf Ef 5,25). “unica – egli dice con animo e labbro di innamorato – è la mia colomba, la mia perfetta” (cf Ct 6,9).

I vari raggruppamenti di fedeli, le varie comunità cristiane, i vari greggi diocesani che sono sparsi nel mondo, possono dirsi “chiese” solo in quanto sussiste e vive interamente in ciascuno di essi la santa Chiesa Cattolica nell’integrità della sua dottrina, nella volontà di piena comunione con tutti i pastori che “custodiscono la vera fede trasmessa dagli apostoli”, nell’identico slancio d’amore verso tutti i fratelli, nell’ansia concorde di evangelizzare ogni popolo e ogni uomo.

La vita, anzi la sussistenza stessa del popolo pellegrinante nel tempo, ha un fondamento preliminare e primario; ed è la conoscenza di colui che è il Figlio unigenito del Padre, di colui che è il “capo” dell’intero “corpo” ecclesiale. “Questa è la vita eterna. che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3).

Gesù comincia appunto di qui – dalla necessità di conoscerlo nella sua verità – il proprio discorso profetico sulla Chiesa.

E curiosamente comincia con una indagine di opinione, quasi un rilevamento sociologico dei pareri: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? (Mt 16,13).

L’interrogativo non sta a indicarci una possibile strada per la soluzione dei nostri problemi religiosi ed esistenziali. Al contrario, è proposto appunto per farci capire che la la strada è un’altra. I pareri della “gente” – come si vede dalle risposte riferite – sono discordi: convengono solo nell’essere tutti insufficienti e forvianti. Non è affidandosi ai sondaggi, alla formazione delle maggioranze, alle preferenze dei più che l’umanità può entrare in un rapporto autentico con Dio e con la sua verità.

La metodologia “democratica” è legittima, utile e persino doverosa quando si tratta di risolvere le qquestioni terrene. Invece con le opinioni “dal basso” – le opinioni, per usare l’espressione di Gesù, dettate dalla “carne” e dal “sangue” (cf Mt 16,17) – anche quando sono largamente diffuse e socialmente dominanti, non ci si avvicina affatto al Regno dei cieli.

Al Regno dei cieli – cioè alla reale conoscenza del Salvatore e alla nostra salvezza – ci si avvicina ponendoci in ascolto della voce apostolica: “Voi – voi che siete i miei apostoli – chi dite che io sia?” (Mt 16,15).

E’ da notare che gli apostoli sono interrogati tutti insieme,

ma risponde Pietro a nome di tutti. Quasi a dirci che nella Chiesa il collegio dei maestri autentici è se stesso e può esercitare il suo compito di illuminazione e di guida, quando è unificato dalla fede, dalla carità pastorale, dalla voce di colui che è stato posto a fondamento dell’intera compagine ecclesiale (“su questa pietra edificherò la mia Chiesa”) e ha in consegna le chiavi del Regno (cf Mt 16,19).

L’impetuoso e fragile pescatore di Galilea – il più generoso e il più debole dei discepoli di Cristo – è stato scelto per essere nella grande comunità dei redenti la fonte

della saggezza e della costanza, la garanzia del permanere nell’unità e nella verità, il sostegno sicuro nelle difficoltà e negli smarrimenti.

“Io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32), gli dice Gesù proprio nell’ora in cui prevede e preannuncia il suo tradimento. “Io ha pregato per te”: non sono dunque le qualità umane ad assicurargli la luce e la forza necessaria per pascere il gregge, ma la preghiera infallibilmente efficace del Signore.

Dal momento che la Chiesa da duemila anni continua a vivere nelle intemperie della storia, continua da duemila anni ad aver bisogno della “pietra” che la rassicuri. Allora Pietro non è morto, non può essere morto. Egli vive infatti in colui che è il suo successore, il vescovo di Roma. E noi lo vediamo e lo ammiriamo, questo “Pietro sempre vivo”, adempiere la sua missione con eroica fedeltà e coraggio indomabile.

La giornata che celebra il Principe degli apostoli è perciò anche la giornata del ricordo e della preghiera per il Sommo Pontefice. Oggi noi ringraziamo Dio nostro Padre per averci dato il governo pastorale, l’insegnamento, l’esempio di Giovanni Paolo II. Oggi noi vogliamo aiutare il papa col nostro affetto, col nostro obolo generoso, con la nostra orazione.

27/06/1999
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