Festa del Beato Ferdinando Maria Baccilieri

Ringraziamo con gioia per la memoria di oggi, del dono che è stato e che è don Ferdinando Maria. Il carisma è il dono della vita, quell’irripetibile originalità che Dio nasconde in ogni uomo e che il Beato Baccilieri ha fatto risplendere perché lo ha “trafficato”, lo ha speso. Il dono che siamo lo possiamo trovare e capire solo spendendolo per gli altri. Non siamo maestri e non dobbiamo diventarlo. Anzi. Quando gli uomini cercano di esserlo si perdono, si sentono orfani, si gonfiano da soli, dimenticando che sono generati dall’amore e non da se stessi. La testimonianza di don Ferdinando ci aiuta a mettere in gioco il nostro dono per compiere le cose grandi dello Spirito. Quante occasioni sciupiamo cercando invece le cose grandi degli uomini, a volte sentendoci inutili perché non le raggiungiamo o non possiamo più farle! Le cose grandi degli uomini finiscono, mentre quelle dei servi si trasmettono, durano proprio perché per altri. Baccilieri non ha fatto altro che parlare di Gesù, donarlo a tutti e rendere possibile anche ai lontani di seguirlo. E’ sempre stato missionario. “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo!”; “chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato”. L’umiliazione di Baccilieri era tutt’altro che buttarsi via, rinuncia, mediocrità. E’ facile pensare di non esaltarsi perché si è mediocri. Non sprecarsi per nessuno, sciupare le opportunità, accontentarsi del non fare, sentirsi protetti per la legge dell’impossibilità, è il modo elegante per esaltarsi. A noi è chiesto di essere grandi nell’amore, come solo i piccoli possono! Umiliarsi significa cercare il meglio per gli altri; esaltare gli altri e non se stesso. Chi si esalta ha sempre poco da dare agli altri e lo fa pesare molto! Chi si umilia rende grandi gli altri con leggerezza. Ferdinando era un uomo ricco di famiglia, anche di parole, di studi, di possibilità. Invece di vantarsi, di cercare la considerazione, di innamorarsi della propria intelligenza, di fare vedere le proprie capacità ha speso quello che era per insegnare, per formare, per rendere grandi i piccoli. “Noi non conosciamo aristocrazia, ma viviamo alla buona, alla semplice”, diceva. Oggi Papa Francesco parlerebbe di prossimità.  Chi sono oggi i poveri che Baccilieri andava a cercare, accoglieva, rendeva visibili ed a cui donava la parola, cioè l’istruzione, il mezzo per essere se stessi? Li ha trovati perché non ha mai smesso di essere missionario. Non è questo forse l’uscire che ci chiede oggi Papa Francesco e scoprire le periferie non solo lontano ma anche vicino? Scriveva con soddisfazione di alcuni raggiunti con le sue missioni: “Due hanno nella galera espiata la pena di 25 anni! Costoro benché assueti alle rapine e ai delitti di sangue, li ho visti piangere a calde lagrime nel frattanto che venivano comunicati”. Questa era la sua gioia e i frutti della misericordia. L’educazione aiutava il Vangelo. Voi chiamate le scuole delle “cattedrali di cultura ed educazione” perché rendete persone donando gli strumenti della conoscenza. Fatti non fummo per vivere come bruti. Solo l’educazione ci insegna a non esserlo o a non ridiventarlo. E bruta oggi è la violenza, quella di sempre, nascosta nel cuore dell’uomo, con strumenti sempre più sofisticati per colpire il mio fratello Abele; bruto è anche un uomo annichilito davanti a uno schermo, senza cuore, isolato, povero di sentimenti e pieno di sensazioni.
La condizione più misera al suo tempo certamente era quella della donna. Lo è ancora oggi, in tanti paesi. Lo è nei paesi ricchi per la tragica cupidigia dell’uomo che riduce la donna al possesso e la distrugge quando sente che non è così. Quante donne vittime di violenza. Ma è la condizione di tante povere escluse dalla scuola. L’educazione è la prima dignità, perché aiuta difendersi ed esprimersi, ad esistere. Scriveva Baccilieri: “Il bene che si fa colla scuola è incalcolabile. I genitori vedendo le loro figlie sì buone e sì brave gongolano di gioia ed essi stessi diventano buoni. Biffi diceva che Baccilieri non era uno spiritualista astratto, tutt’altro. Quanto è sbagliato ridurre lo spirito a una dimensione priva di concretezza, lontano dalla vita. Anzi. Lo spirito ci aiuta a vedere, a capire, a cercare; ci rende vicini ai problemi veri, ci apre, ci insegna ad amare la realtà non quella che ci immaginiamo, virtuale, a cercare le risposte. Non a caso amava in particolare Maria Addolorata. Sentiva i sentimenti di una madre, quelli della misericordia che solo una madre prova per i suoi  figli. Non è mai funzionalità, tecnica, ma sofferenza di fronte alla sofferenza, davanti a un ospedale da campo che la Chiesa, madre addolorata, cerca di aiutare, come può, salvando la vita, facendo sentire la sua maternità. Non resta una madre a spiegare verità lontane e incomprensibili, che finiscono per servire a lei, ma mostra la sua verità che è quella della sua misericordia, facendosi vicina, guarendo le ferite e non cercando per sé e per le sue regole la glicemia. La misericordia non si accontenta mai, cerca la vera perfezione evangelica avendo a suo modello il bene altissimo di Gesù che volle amare i suoi fino alla fine, e l’esempio della Vergine Addolorata che amò Gesù, e per lui tutti i salvati, fino all’estremo strazio del suo Cuore Immacolato.
Fernando Maria come l’apostolo Paolo smise di cercare l’imprendibile, penosa, cangiante, illusoria gloria del mondo ed é stato in mezzo agli altri “come una madre che ha cura dei propri figli”, che si affeziona  a qualcuno che diventa “caro”. Quando ritroviamo la capacità di piangere, non ci abituiamo alla sofferenza desideriamo trasmettere il vangelo di Dio di speranza per tutti e donare la nostra stessa vita proprio “perché ci siete diventati cari”. Ecco, questo è il segreto dell’amore evangelico. “Ci siete diventati cari” perché la misericordia produce questo, che spaventa i giusti, i moralisti senza storia e senza cuore, ma che ci fa capire la concretezza del Vangelo. Che tristezza un cristiano con una misericordia misurata, da laboratorio, da funzionario, a tempo, che ha paura e ha paura di sentire “cari” i fratelli e i poveri, perché non si vuole legare a qualcuno e preferisce un amore astratto, ridotto a morale, lontano dalla vita o più facilmente a benessere individuale! Diceva Baccilieri: “Perché l’amore sia vero e reale conviene, dirò così, abbia due nature: gran desiderio d’aver vicina la persona amata, gran desiderio di vivere nel cuore della persona amata, così che se fra i due amanti una sola di queste prerogative vien meno, falso è l’amore, e l’aurea catena dell’amicizia s’infrange, si spezza”.  Un cristianesimo che non ha i tratti di una madre addolorata, si riduce a centro di benessere spirituale che deve rassicurare e fare stare bene. Ma solo l’Addolorata trova la consolazione della resurrezione! E se non ci diventa caro il povero, i nostri cari finiamo per cercarli  negli idoli di questo mondo o più facilmente ci diventa caro solo il nostro io e la sua considerazione. Che gioia vedere quelli che sono diventati cari a Baccilieri e che ancora oggi vivono il suo carisma in questo mondo!
Galeazza certo non era il posto più importante della Diocesi di Bologna! Lo è diventato perché Baccilieri lo ha reso grande di amore. Spesso noi andiamo alla ricerca di mezzi, di condizioni, di sicurezze, pensando che queste ci diano la risposta. Invece le abbiamo già, ce le ha affidate! Nessun orizzonte umano è piccolo se vissuto con il Vangelo. Galezza e il mondo. Piccolo e grande. Questa è la seconda lezione che oggi Baccilieri ci dona. Lui si è pensato in una parrocchia. Sappiamo come viviamo la tentazione di chiuderci in orizzonti piccoli. Il campanile è importante perché non si capisce il cielo senza alzare lo sguardo da un punto, non si capisce la Chiesa se non ci sono quegli uomini concreti “che ci sono diventati cari”. Ma senza l’orizzonte grande il cuore si chiude e si ammala. E la malattia peggiore è la paura, che indebolisce, rende tutto difficile, fa sciupare tante occasioni e ci fa sentire giustificati per la paura stessa. Dobbiamo pensare sempre la parrocchia con il suo territorio e il vasto mondo. E sentirci missionari, come voleva essere Baccilieri, che ha vissuto a Galeazza sempre con un cuore grande, fino agli estremi confini della terra. Non è forse l’accoglienza il primo modo per vivere così? Ci aiuti il beato Ferdinando Maria ad esserlo con la sua passione e intelligenza.

01/07/2016
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