Festa della Dedicazione della Cattedrale

Bologna, Cattedrale

Ci ritroviamo nella nostra cattedrale, dove non ci stanchiamo di contemplare – davvero nunca satis –  questa nostra madre che ci ha generato nella fede, che ci custodisce e promuove pazientemente la comunione, a volte ferita ma senza lamentarsi se la facciamo soffrire. Siamo affidati a questa madre ma anche dobbiamo prenderla nella nostra casa. Non è un riferimento lontano: è questa Madre che ci permette di avere Dio per Padre. E aggiungerei che ci ricorda che siamo sempre figli, con la tenerezza e l’orgoglio di essere suoi. La amiamo con tutto noi stessi. Se siamo figli possiamo essere padri.

Sì, padri non paternalisti. I padri non legano a sé, ma a questa famiglia. I paternalisti non fanno crescere, devono sempre spiegare loro, spesso prima di fare vivere perché non sanno dare fiducia, cercano sempre i confronti come il figlio maggiore, non sanno aspettare perché hanno bisogno di possedere e in fondo non cercano figli ma persone per misurare le loro capacità. Siamo padri che conoscono la verità del figlio perché lo amano e la loro vita è legata a loro, sanno correre incontro perché è il figlio, non smettono di pensare che tutto quello che è mio è tuo anche quando il figlio non capisce ancora.

Sono padri. Siamo figli di questa madre e padri di tanti in una generazione così orfana e in un momento difficile, che chiede l’amore che organizza di un padre, l’accoglienza che fa sentire a casa, protegge, difende, che non si agita inutilmente ma trasmette fiducia e speranza, che valorizza il dono di ognuno, che guarda al futuro e lo prepara con forza e sensibilità. La dolcezza è la pienezza della forza! In questa pandemia vive il contrario che è trattare tutti come fratelli. Sì, Fratelli tutti. Tutti.

A volte siamo provati dalla stanchezza, dall’ansia di vedere i frutti, intimiditi dall’idolatria dell’io che confonde e isola. Oggi, memoria di san Giovanni Paolo II sentiamo rivolta a noi il suo invito a non avere paura, a gettare le reti al largo cioè in modo nuovo, ad amare lo splendore della verità che è sempre Cristo luce e speranza nostra. Questo tempio santo e benedetto si riflette in tutte le nostre comunità, limitate come sono, tutte nostre, amate, tempio dove vediamo e viviamo la presenza di Gesù, piene di tanti segni e opportunità.

Oggi vediamo raccolti in questa nostra casa i tanti fili delle nostre persone e delle nostre comunità, ricordando anche quelli più lontani, come chi di noi è in missione e anche quelli che sono provati dalla debolezza degli anni o dalla fragilità nel corpo. Non dimentichiamo mai di pregare gli uni per gli altri: so e sappiamo quanto questo ci dona fiducia e ci protegge. A volte i nostri fili ci possono apparire isolati, qualche volta facciamo fatica a intrecciarli con gli altri, abituandoci a pensarci da soli.

Ogni parte del corpo è preziosa e non dimentichiamo che se una parte sta male soffre tutto il corpo e che se una parte manca tutti siamo più deboli. Ognuno in realtà ha una grande importanza, anche quando non lo crede. L’ordito di questa trama è sempre più grande e resistente di quello che noi possiamo comprendere. La comunione non si riduce mai a qualcosa di visibile, perché è dono dello Spirito, generata dal suo amore ed è sempre tanto più grande del nostro cuore e della nostra miseria. Abbiamo sempre bisogno tutti di questa casa che ci aiuta a comprendere che è vero “che Dio abita sulla terra” e che mantiene l’alleanza e la misericordia. In una generazione come la nostra che con fatica si pensa assieme, la nostra comunione aiuta ad affrontare le avversità, ci completa e ci sorprende perché ci cambia senza che comprendiamo per davvero come, perché la grazia trasforma quello che è vecchio e lo Spirito libera Nicodemo dal suo triste e amaro scetticismo. Noi lo sappiamo che non ci si salva da soli, che siamo sulla stessa barca e sentiamo la grazia di essere suoi, di appartenergli, di servire questo tempio che sono le nostre comunità. Noi possiamo aiutare a trovare le ragioni della vita e non a consumare la vita finendo per non capirla e per svuotarla.

Come si trasforma il tempio del Signore in una spelonca di ladri, dove i buoi, le pecore e le colombe contano più del padrone di casa, di Colui che in esso incontriamo? Spesso avviene senza scontri, con la forza delle abitudini che impadroniscono del nostro cuore e delle relazioni. Avviene quando la passione diminuisce e il tempio della comunità diventa un condominio di interessi e non il servizio pieno e lieto agli altri. Il tempio si trasforma opponendo le proprie ragioni alla comunione (come se questa non le raccoglie), mettendo di fronte ai fatti compiuti, sottraendosi alla fraternità, cercando il proprio interesse e non quello della comunità, dividendo lo spazio e non esercitandoci a rendere tutto nostro e non di Apollo o di Cefa.

La sferza è una sola: quella della Parola. Gesù con la fermezza dell’amore parla per liberare il cuore da ciò che lo confonde e lo indebolisce e perché possiamo ritrovare quello che conta, nel tempio del nostro cuore e in quello delle nostre comunità. Partendo dalla sua parola e quindi dalla preghiera liberiamo da tanti aggiustamenti e compromessi per ritrovare l’amore che ci fa incontrare Dio e non le nostre convenienze. “Oggi l’uomo spera in se stesso” diceva San Paolo VI, perché non ha più speranza. Ma aggiungeva: “Perché questo fedele è lontano? Perché non è stato abbastanza amato. Forse perché ha ascoltato più rimproveri che inviti. Essi sono spesso più esigenti che cattivi. Talvolta il loro anticlericalismo nasconde uno sdegnato rispetto alle cose sacre che vedono in noi avvilite”.

Il contrario della logica del mercato è quella del dono, la gratuità che è regalare attenzione, senza ritorno fosse in termini di auto-realizzazione, di soddisfazione psicologica. E’ casa nostra già e non perché imponiamo noi stessi, ma perché la amiamo con tutto noi stessi. E’ nostra quando è davvero con altri. Siamo credibili quando con semplicità e tanta sapiente umanità frutto dell’ascolto della parola, mostriamo i sentimenti di Gesù, ad iniziare dalla gratuità. Liberiamo il tempio dalle abitudini, dal pessimismo che spegne l’entusiasmo, dal credere più ai nostri giudizi che alla grazia, anzi, credere poco alla forza della grazia. A volte ci sembra inutile perché tutto resta uguale, si può perdere tutto con poco e i surrogati di qualche benessere psicologico, sono più ascoltati e attraenti. Siamo in un momento difficile, dove possiamo provare la stanchezza e la voglia di mettere tutto a posto; dove ci può prendere la tentazione di misurare tutto prima di seminare. Siamo nella prova e in questa si rivela la forza vera del nostro cuore, quella debole e semplice dell’amore.

Non abbiamo paura di modi e forme nuove del nostro incontrarci, al di là di quelle che abbiamo vissuto finora. Curiamo l’amicizia, l’accoglienza, la fraternità, a cominciare dall’ascolto. A volte siamo troppo di fretta, sbrigativi. Se liberiamo il tempio parleremo al cuore e parliamo di Gesù, mistero che illumina il mistero e lo faremo senza sconti e saldi di fine stagione ma con tutta la passione e lo zelo di un amore pieno e esigente, personale, suo e nostro, solo suo e per questo nostro. Siamo padri di una comunità che accoglie, che non giustifica tutto ma ama tutta la persona, con simpatia immensa perché in questa c’è la prima risposta alla solitudine e alla sofferenza. Stiamo vicini a chi è nel dolore e comunichiamo la luce della fede che illumina le tenebre. Facciamo sentire chiunque a casa in questo tempio, che liberato dai protagonismi ci rende tutti fratelli. Una comunità fredda, una chiesa che non tocca il cuore, che non mostra interesse alla vita concreta, non riflette l’amore di Dio e non fa sentire figli amati e attesi.

Ripeto con voi, per me e per voi con qualsiasi ministero abbiate, le parole dell’inizio del servizio. Oggi lo scopriamo di nuovo.

“Ti affido questo gregge di Dio: tu guidalo non perché costretto, ma volentieri, non per interesse ma generosamente, non come padrone delle persone ma facendoti umile modello per questi figli di Dio. Il Signore ti conceda di presiedere e servire fedelmente, in comunione con me, tuo vescovo, questa famiglia. E quando apparirà il Pastore supremo Cristo Gesù, egli non mancherà di coronare le tue fatiche con la sua gloria”.

22/10/2020
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