festa di S. Ambrogio

Bologna, Cattedrale

Il vescovo di Milano, Ambrogio, spirò all’alba del 4 aprile del 397, che era un sabato santo. Spirò dopo aver ricevuto il viatico dalle mani del vescovo di Vercelli, Onorato, e dopo una lunga orazione a braccia distese in croce – come per una preghiera eucaristica – cominciata la sera precedente.

Qualche giorno prima aveva detto di non temere di morire, perché sapeva di doversi presentare a un “padrone buono”. Noi aggiungiamo: poteva non aver paura del rendiconto, anche perché il suo era stato un buon servizio.
E il Signore Gesù – quasi a confermare tanta serenità – nelle ultime ore (a testimonianza del vescovo di Lodi, Bassiano, suo grande amico che era accorso ad assisterlo nella malattia) gli si era manifestato nell’atto di muovergli incontro e di sorridergli.

Il suo servizio episcopale era iniziato ventitrè anni prima in circostanze non comuni, che hanno sempre stupito la cristianità. Un’improvvisa acclamazione di popolo l’aveva costretto, mentre era un brillante funzionario imperiale (che tra l’altro non era nemmeno battezzato) a interrompere la sua promettente carriera politica e a dedicarsi a tempo pieno a Dio e ai fratelli nella vita ecclesiale.

Egli si arrese solo dopo una strenua e ripetuta resistenza. Molti anni dopo così pregherà il Signore: “Adesso custodisci il dono che tu allora mi hai fatto nonostante le mie ripulse” (De paenitentia II,73). Ma, una volta conosciuta veramente la volontà divina, non si è più risparmiato; ha abbandonato i progetti da lungo tempo accarezzati e si è dato totalmente alla sua inattesa missione.

Questo è il primo insegnamento che ci viene da sant’Ambrogio. Sulla strada di ciascuno di noi c’è un Dio che aspetta e che – quando uno magari non ci pensa per niente – interviene, scompiglia i nostri conti e decide la nostra sorte. Non sempre chiede un cambiamento radicale per un impegno eccezionale, come quello di Ambrogio, ma sempre vuole una donazione generosa e senza riserve. Anche se non sempre ci strappa alla nostra esistenza consueta, sempre vuole strapparci alla nostra mediocrità per farci vivere con un amore più risoluto e con una fedeltà senza incertezze.
D’altronde il Signore è lui, e a lui tocca decidere che cosa dobbiamo fare della vita che ci dona: “Io sono il Signore tuo Dio”, così sta scritto in capo ai comandamenti.

Chiamato a essere vescovo, egli si è trasfigurato in tutte le fibre del suo essere. Ma nella varia ricchezza della sua fondamentale umanità è rimasto se stesso, perché Dio non mortifica mai i valori autentici che sono in noi; piuttosto li piega al suo disegno e li fa entrare nel suo gioco. Basterà citare soltanto qualche esempio della vicenda di Ambrogio.

Era già un eccellente uomo di governo; e ha saputo governare la Chiesa con mano ferma e con ammirevole saggezza.
Possedeva un’invidiabile cultura letteraria; ed è riuscito a portare molti a Cristo con la magìa del suo dire e con l’eleganza classica della sua scrittura. “La soavità della sua parola mi incantava”, ricordava di lui uno spirito sensibile ed esigente come Agostino.

Aveva ricevuto dalla sua indole e da una raffinata formazione non comuni attitudini poetiche e musicali; e li userà per comporre in onore della Trinità, di Cristo e dei santi, splendidi inni che saranno cantati in tutta la cattolicità occidentale.La sua insigne dottrina teologica ha fatto di lui uno dei massimi “Padri” della Chiesa. Le sue opere sono un mare di sapienza umana e cristiana. Da questo mare attingiamo solo alcuni pochi insegnamenti, che ci aiutino nella nostra vita di fede.

Il primo è quello della centralità del Signore Gesù. Il Salvatore è per lui il compendio di tutti i valori, la somma di tutte le verità. Dove c’è qualcosa di vero, di giusto, di buono, di bello, lì c’è un riverbero dello splendore del Figlio di Dio crocifisso per noi e risorto, nel quale tutto è stato pensato e tutto è stato creato e redento.
Il secondo insegnamento è la contemplazione ammirata per la Chiesa, la Sposa di Cristo che egli considera il capolavoro del Padre.

Proprio perché, nonostante le nostre colpe, continuiamo a far parte di questo organismo santo e santificante, non dobbiamo perdere mai la speranza di essere perdonati e di rinascere. “Se disperi di ottenere il perdono per dei gravi peccati – egli scrive – serviti della Chiesa, affinché essa preghi per te. Guardando lei il Signore ti accorda quel perdono che a te potrebbe rifiutare” (In Lucam V,11).
Un terzo insegnamento, che può essere utile ascoltare da sant’Ambrogio, è quello di badare ai fatti più che perdersi in parole, sull’esempio del nostro Maestro e Redentore: “Non con le chiacchiere, ma con la sua morte il Signore ci ha salvato”, egli amava dire. E ancora: “Non con la dialettica è piaciuto a Dio di salvare il suo popolo”.

Ambrogio fisicamente non era un colosso: era una figura esile, non alto di statura, gracile di complessione. Ma la cristianità ha percepito subito la sua grandezza e ha sempre pensato a lui come a un gigante del panorama ecclesiale.
Soprattutto egli ha incantato chi si è accostato a lui per la sua intelligenza chiara, aliena dalle sottigliezze, per il suo cuore facile alla commozione, per la sua generosità verso tutti, per la sua capacità di decidere, per il gusto dell’azione coraggiosa e immediata.

In particolare, il popolo bolognese lo ha avuto caro.
La nostra Chiesa deve a lui la ripresa della devozione per i nostri protomartiri, Vitale e Agricola, e la loro solenne esaltazione.
Gli storici hanno notato che “la personalità del grande vescovo di Milano, che per Bologna e i bolognesi ebbe singolare affetto e stima, ha lasciato tra noi un’orma profonda e duratura”; e che “Bologna e i bolognesi, dal canto loro, hanno contraccambiato affetto e stima con una venerazione sincera e continua” (cfr. Storia della Chiesa di Bologna, vol.I p.21).

Tanto è vero che fu il primo a ricevere il titolo di “Defensor civitatis”; titolo che ha conservato anche quando in questa qualifica e in questo compito è stato affiancato dal nostro san Petronio. Ed è per questo che, insieme con san Petronio, anche sant’Ambrogio ha trovato posto ai lati della Vergine Santissima sul grande portale d’ingresso della nostra massima basilica.

07/12/2003
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