funerali di don Antonio Mezzacqui

parrocchia di Marano di Castenaso

Alla morte di Gesù – ci ha detto la lettura evangelica – “si fece buio su tutta la terra” e “il velo del tempio si squarciò” (cfr. Mc 15,33.38).

Alla morte di una persona cara, l’oscurità sembra scendere sulla nostra anima e siamo straziati come da una lacerazione interiore. Specialmente quando il distacco è arrivato in maniera drammatica, come una catastrofe inattesa, tutte le sicurezze sulle quali poggia abitualmente la nostra esistenza sono scosse, tremano dentro di noi e pare non ci sostengano più.

Così ci sentiamo oggi, di fronte a don Antonio Mezzacqui che ritorna per l’ultima volta in questa sua chiesa, da lui così a lungo e così volonterosamente servita, in mezzo a questa gente che per tanti anni ha potuto sperimentare la cordialità del suo temperamento e la sua aperta umanità.

Davanti alla dipartita di un sacerdote, rapito alla nostra famiglia ecclesiale ancora nel vigore delle sue forze e nel colmo della sua attività, noi ci sentiamo come smarriti; e soprattutto ripensando alla fatalità impietosa dell’episodio che ha posto termine ai suoi giorni terreni, non possiamo impedire che si affacci sulle nostre labbra l’eterna domanda dell’uomo quando si imbatte in una sventura irreparabile: “Ma perché?”. Domanda naturale e spontanea, che però non ha risposta plausibile e persuasiva quaggiù.

O meglio, la sola risposta che possiamo darci è quella di accogliere l’invito che ci è venuto dalla parola di Dio: “E’ bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore” (Lam 3,26); è il silenzio della fiducia verso chi tutto dispone secondo un progetto d’amore, è il silenzio dell’obbedienza della mente e del cuore a colui che è il Signore di ogni vicenda e di ogni creatura, è il silenzio della preghiera.

Quella salvezza verrà: il rito funebre ci ha fatto anticipare sì l’annuncio doloroso e tragico del Venerdì Santo, ma ci ha anche indotti a proclamare fin da oggi la gioia grande e consolante della Pasqua: “Non abiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui”.

Noi sappiamo che il cristiano muore non soltanto perché è gravato dall’eredità triste di Adamo, ma anche perché è chiamato ad aver parte al sacrificio redentivo di Cristo: la sua morte ha dunque un significato e un valore più alto. E soprattutto sappiamo di essere destinati a condividere il destino lieto e splendente del nostro Salvatore, che risorge dai morti per non morire più e per entrare una volta per sempre nel Regno della vita e della felicità senza fine.

Don Antonio ha avuto un ministero senza troppi cambiamenti, esercitato all’insegna dell’attaccamento alla missione che gli veniva assegnata.

Ordinato sacerdote dal cardinal Giacomo Lercaro nell’ottobre del 1954, dopo sette anni spesi come cappellano nella parrocchia cittadina di Santa Maria delle Grazie è arrivato qui a Marano nel settembre del 1961, e non si è mosso più. Più di quarant’anni dunque ha atteso alla cura pastorale di questa comunità, che perciò continuerà a ricordarlo con doverosa gratitudine.

Adesso noi eleviamo per lui la nostra preghiera di suffragio, e chiediamo al Padre del cielo di consolare e rasserenare quelli che in quest’ora sinceramente lo rimpiangono, mentre offriamo ancora una volta la Vittima santa che si è immolata per la salvezza di tutti.

Anche se allo sguardo umano la morte sembra solo una perdita irreparabile e dolorosa, gli occhi resi penetranti dalla fede ci dicono che “le misericordie del Signore non sono finite” (cfr. Lam 3,22): lo abbiamo appena ascoltato; e che l’umana avventura prosegue fino a concludersi nel giorno senza tramonto della vita di Dio.

27/03/2002
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