giornata mondiale della vita consacrata

Bologna, Cattedrale

Quest’anno le esigenze del calendario radunano eccezionalmente in un?unica celebrazione sia la convocazione dei consacrati con la riflessione sul loro stato e sul loro particolare carisma, sia la giornata per la difesa e la promozione della vita umana. Il tutto provvidenzialmente inquadrato entro l?evocazione liturgica e la contemplazione di un evento misterioso e salvifico: la presentazione al tempio del piccolo figlio di Maria e la sua offerta – come tutti i primogeniti, secondo la legge – al Dio d’Israele.

Oggi una volta ancora la Chiesa questo proclama, con la voce di un anziano profeta: quel bambino che, commossi e stupiti, abbiamo adorato neonato a Betlemme, non è uno dei possibili e mondanamente auspicabili “salvatori” ma è “la salvezza”. E? sì uno dei gloriosi protagonisti della vicenda ebraica; ma è anche molto di più: è la luce necessaria per sottrarre alle tenebre l?umanità intera:

“I miei occhi hanno visto la tua salvezza,

preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti

e gloria del tuo popolo Israele” (Lc 2,29-32).

Anzi oggi, con il giovane cuore del vecchio Simeone, la “nazione santa” si confessa piena di gioia e, nella sostanza, appagata. La Chiesa è lieta e appagata, perché ha incontrato e ha visto con gli occhi della fede l’Unigenito del Padre divenuto l?Emmanuele. Il suo più intimo desiderio è perciò fondamentalmente esaudito, dal momento che l’incarnazione del Figlio di Dio ha colmato di sé tutta la storia. E ha dato alla storia ogni verità, ogni autentica significazione, ogni bellezza.

Avendo tra le sue braccia colui che è l?unica vera ricchezza dell?universo, la Sposa di Cristo non ha dunque nient?altro di decisivo da chiedere.

Certo, essa è ancora in cammino: è in cammino verso la sua realizzazione perfetta e verso la felicità piena, aperta, indefettibile; ma al tempo stesso, mistericamente, la vita beata ed eterna è già sua. Perché Chiesa non è solo indicazione e “profezia”, ma anche “sacramento” del Regno di Dio; non è solo figura, ma anche anticipazione e pregustazione del banchetto celeste.

D’altronde, nessuna epoca, nessun paese, nessuna civiltà si identifica semplicemente e totalmente con lei; anche se lei si mantiene ben presente, attenta a ogni valore, efficacemente operante, in ogni tempo, a ogni latitudine, in ogni cultura. Pur non estraniandosi da nessuna delle vicissitudini umane, la Sposa di Cristo è sempre in tensione verso la conoscenza disvelata e l’amore senz’ombre di colui che l’ha redenta ed elevata, e adesso vive e regna alla destra del Padre. E’ sempre in tensione, perché Gesù ha detto: “Dove c’è il tuo tesoro, là ci sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21).

Ma non è sempre facile per le donne e gli uomini pellegrini sulla terra – che pure sono rinati dall?acqua e dallo Spirito e sono nutriti del corpo e del sangue del Signore – sottrarsi al fascino e alla presa vischiosa della mondanità, non è sempre facile serbarsi nella costante propensione dell?animo verso le realtà ultime e supreme. Soprattutto per questo fin dalle origini lo Spirito Santo ha suscitato nella comunità cristiana il dono della verginità consacrata e del celibato liberamente scelto “per il Regno dei cieli” (cfr. Mt 19,12).

Ascoltiamo a questo proposito l?insegnamento del Concilio Vaticano II: “Poiché il popolo di Dio non ha qui una città permanente ma va in cerca di quella futura, lo stato religioso, il quale rende più liberi i suoi seguaci dalle cure terrene, manifesta meglio a tutti i credenti i beni celesti già presenti in questo mondo; meglio testimonia la vita nuova ed eterna, acquistata dalla redenzione di Cristo; e meglio preannunzia la futura risurrezione e la gloria del Regno celeste” (Lumen gentium 44).

Guai se alla Chiesa mancasse questo continuo richiamo! Guai se la vita consacrata si dovesse stemperare in una mondanizzazione che la rendesse vana, immotivata, insignificante!

La Chiesa, carissimi consacrati, ha bisogno del vostro respiro escatologico, della vostra serena e inalterata speranza nel Regno, della vostra umile e tenace perseveranza nell?attesa gioiosa della Gerusalemme del cielo.

Non preoccupatevi se così avrete l’impressione talvolta di essere “segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (cfr. Lc 2,34-35). Sarebbe solo la controprova che siete “icone” non alterate e non sbiadite di Cristo.

Con l’austerità della vostra esistenza, con una mentalità conforme al Vangelo e remota dagli usi e dalle preferenze del mondo, aiuterete quanti percorrono quella che Gesù chiama la “via larga” e pericolosa; li aiuterete a riconsiderare le loro scelte, a orientare più saggiamente la direzione del loro spensierato andare, a ritrovare il sentiero stretto che porta alla vita.

Ogni vostro rinnovamento non coincida mai perciò con un cedimento alla mentalità dominante, ma sia piuttosto una più generosa assimilazione al Signore Gesù e alla sua visione della realtà, una migliore obbedienza alle sue proposte esigenti e liberatrici.

In una parola, custodite la vostra identità di testimoni coerenti del primato del Regno.

“Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione” (Lc 2,34). Essendo un profeta autentico, Simeone proferisce frasi che forse suonano un po’ aspre alle orecchie delicate della cristianità odierna e non teme di esprimere preannunci severi, che oggi si è un po? tentati di censurare. Ma sono parole vere e ineludibili, e noi dovremmo meditarle più spesso.

Sono anche parole di acuta e inquietante attualità, in particolare a proposito del tema della “vita” che stasera qui ci raduna. In realtà, la causa della sacralità e intangibilità della vita umana – a ogni stadio del suo sviluppo – non è solo la causa dell’uomo e della sua dignità; è anche ed esplicitamente la causa di Cristo: segnatamente a questo proposito, Cristo appare ai nostri giorni un evidente “segno di contraddizione”, “rovina e risurrezione di molti”.

I nostri tempi trascorrono sempre più nel contesto – ostile alla verità e alla vita – di una società che sembra rifiutarsi implacabilmente, giorno dopo giorno, non soltanto alla superiore bellezza e alla logica ineccepibile dell’insegnamento evangelico, ma anche alla semplice luce della ragione.

Ma non ci sono soltanto i fautori della “rovina” umana e della morte; ringraziando il cielo, c’è anche il popolo della “risurrezione” e della vita; e siete appunto voi, questo popolo, voi che qui siete venuti a celebrare ancora una volta il valore della vita e a rinsaldare i vostri propositi.

Questo popolo della “risurrezione” e della vita non si rassegnerà mai a quello che il Concilio Vaticano II chiama senza perifrasi “l’abominevole delitto dell’aborto” (Gaudium et spes 51), né alla sua legalizzazione e addirittura al suo pubblico finanziamento. Non si rassegnerà mai all’esaltazione delle aberrazioni sessuali né alle molte insidie legislative, fiscali e perfino terminologiche rivolte contro la famiglia, né a quella che con parola dotta e un po’ ipocrita viene chiamata “eutanasìa”.

Non bisogna mai dimenticare che richiamare a tutti con serena franchezza che cosa sia il bene e che cosa sia il male è il rispetto minimo della giustizia, è la prima benevolenza da usare nei confronti dei nostri fratelli, è il compito più elementare da svolgere al servizio della civiltà dell’amore.

02/02/2002
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