giovedì santo, santa messa degli oli

Bologna, Cattedrale

Questa Liturgia solenne – che ci prepara e ci orienta al grande Triduo pasquale – ha due temi emergenti.
Il primo concerne l’intero popolo cristiano che nella benedizione degli oli, e particolarmente del crisma, riconosce il segno e l’esaltazione della sua altissima dignità di nazione santa, allietata dal Vangelo di liberazione e di consolazione, redenta dall’oppressione del male, intimamente connessa e assimilata a colui che è stato “consacrato con l’unzione” (cf Is 61,1).

In virtù di tale dignità, noi tutti, che siamo rinati nel battesimo e siamo nutriti del Corpo di Cristo, siamo un “regno di sacerdoti” (cf Ap 1,6), come ci è stato detto.

Il secondo tema è evocato dalla stessa ammirevole convocazione del presbiterio diocesano e dalla rinnovazione in questa messa, da parte dei presbiteri, delle promesse della loro ordinazione.

È giusto che – nel giorno in cui commemoriamo, con l’ultima cena del Signore, l’origine del sacerdozio ministeriale – quanti abbiamo ricevuto l’imposizione delle mani, che ci ha contrassegnati per sempre, meditiamo sugli impegni primari e sostanziali della nostra missione. Dalla nostra fedeltà a questi impegni l’intero popolo di Dio – il popolo “sacerdotale” e “regale” – risulterà edificato e avvantaggiato.

“Io conosco colui cui mi sono affidato” (cf 2 Tm 1,12), dobbiamo poter ripetere con san Paolo. “Conosco”.

Il nostro impegno fondamentale e previo è dunque la conoscenza del Signore Gesù, sul quale abbiamo puntato la nostra unica vita.

Inviati a comunicare agli uomini il suo messaggio, che comprende non solo tutto ciò che egli ha detto, ma anche tutto ciò che ha fatto, e, più ancora, il mistero vivente e concreto della sua persona, non possiamo certo assolvere questo mandato senza una precisa, appassionata e, per quel che è possibile, esauriente conoscenza di Cristo; una conoscenza che sia arricchita e permeata dalla fede, dall’intima donazione, dal coinvolgimento esistenziale.

A delineare la natura di questa conoscenza – che non potrà essere puramente estetica né solo erudita, né, tanto meno, asservita ideologicamente alle prospettive terrene – ci soccorre la riflessione dell’apostolo Paolo quando scrive: “Tutto ormai io considero una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale io ho lasciato perdere tutte le altre cose e le considero come spazzatura… purché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere con lui alla risurrezione” (cf Fil 3,8–11).

Il che comporta innanzi tutto un ascolto attento – non sporadico ed epidermico – della parola di Dio, che dalla prima all’ultima pagina della Bibbia si incentra su Cristo, ce lo rivela e vuole farcelo amare: “Diligens audientia”, “audientia non perfunctoria” (cioè, non occasionale e di superficie) – come dice sant’Ambrogio (In Lucam, VIII,85).

Una conoscenza adeguata di Cristo comporta inoltre la necessità che abbiamo a percepire la presenza del Risorto, viva e operante nella sua funzione di maestro, di pastore e di guida, attraverso il nostro umile ma sincero servizio.

Dobbiamo credere, con persuasione sempre più limpida ed emozionante, che per nostro tramite è sempre lui ad annunciare autorevolmente al suo popolo il disegno del Padre e a condurlo sul cammino della salvezza; è sempre lui mediante i nostri atti e le nostre parole a battezzare, a cresimare, a offrire il suo sacrificio sotto i segni del pane e del vino, a perdonare i peccati, a sollevare gli infermi con l’unzione, a scegliere alcuni per il ministero apostolico, a benedire la mutua donazione di amore indissolubile e fecondo tra l’uomo e la donna.

La presenza operativa del Signore Gesù assicura efficacia infallibile alle nostre azioni sacramentali, nonostante le nostre povertà interiori e le nostre trascuratezze; e questo ci gratifica e ci rasserena. Ma questo non deve farci dimenticare che la forza santificante del nostro ministero si dilata, si fa più incisiva e penetrante a misura della nostra personale unione con il Salvatore di tutti.

A mantenere e ad accrescere la conoscenza concreta ed esistenziale di Cristo, e la mutua immanenza tra i sacri ministri e l’unico Sacerdote della Nuova Alleanza è indispensabile la preghiera.

Secondo il Vangelo di Marco, Gesù “costituì i Dodici perché stessero sempre con lui e per mandarli a predicare…” (Mc 3,14). Nel divino progetto l’intrattenersi con lui è dunque la ragione decisiva di ogni efficacia evangelica: la fecondità della parola annunciata è in proporzione diretta del silenzio orante in cui essa immerge le proprie radici. La preghiera viene quindi a essere la prima e la più importante fra tutte le attività dell’apostolo.

Possiamo concludere questa meditazione con un’osservazione di carattere generale.

Rinnovare i nostri impegni sacerdotali significa intensificare la consapevolezza di essere stati costituiti vicari dell’amore pastorale di Cristo, così da darne testimonianza sempre più coerente nell’esistenza assillata di ogni giorno.

Il Signore Gesù “nei giorni della sua vita terrena” (cf Eb 5,7) fu tra noi l’immagine visibile del Padre. Adesso, in attesa della sua venuta, tocca a noi farci la sua immagine visibile in mezzo ai nostri fratelli, ai quali dovremmo poter ripetere, sia pure con labbro timoroso e cuore tremante, l’esortazione di Paolo: “Siate miei imitatori come io lo sono di Cristo” (cf 1 Cor 11,1).

01/04/1999
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