il seminario regionale compie ottant’anni

Bologna, Seminario Regionale, Aula Magna

Celebrare l’80° del Seminario Regionale significa – prima e più di ogni altra intenzione – elevare al Dio datore di ogni bene un grande e commosso inno di riconoscenza per una lunga storia di grazie, di sacrifici e di fatiche, di tensioni e di progetti, di ideali continuamente inseguiti tra mille difficoltà; soprattutto una storia di generosa dedizione al Principe dei pastori e alla sua Sposa, nonché di amore forte e concreto alla gente della nostra terra.

Tale storia, iniziata nel 1919, ha accompagnato l’intera vicenda delle nostre Chiese, illuminandola e impreziosendola.
E resta una grande ricchezza: non è stata travolta dall’implacabile scorrere dei giorni, che pure sembra tutto annientare. Niente di questa storia è andato perduto.

Niente è andato perduto, in primo luogo perché ciò che è operato nel tempo si iscrive indelebilmente nell’eternità, dove ritroveremo, registrato nel libro di Dio, ogni bene compiuto.
E dove contempleremo, trascesi dalla sempre eccedente pietà del Padre, anche gli errori, le insufficienze, i peccati; trascesi e anzi trasfigurati, e addirittura piegati a servire a un sorprendente disegno di misericordia. Perciò tutto nel Regno sarà motivo di letizia; una letizia che nella odierna commemorazione un poco già anticipatamente si riverbera.

Niente è andato perduto, anche perché come ogni uomo maturo è sempre la somma delle esperienze acquisite nelle sue varie età, così ogni istituzione in quel che possiede di vivo e di vitale è sempre il risultato e il proseguimento di tutto ciò che nei vari momenti in essa è avvenuto. Questi ottant’anni palpitano ancora tutti nelle consuetudini, nelle strutture, nello spirito del Seminario di oggi.

Certo, anche questo organismo deputato alla formazione dei futuri presbiteri ha avuto una profonda evoluzione. Sarebbe troppo facile elencare le molte cose che sono cambiate; e sarebbe ancora più facile contrapporre il primo mezzo secolo di esistenza al trentennio successivo. I rivolgimenti verificatesi nella convivenza sociale e nella cristianità hanno avuto ovviamente molte ripercussioni anche in questo “hortus conclusus”. Molto è cambiato nelle norme disciplinari, nelle forme di culto e di pietà personale, nella metodologia dell’insegnamento, nelle mode teologiche dominanti, nelle prospettive pastorali.

Eppure, se noi siamo qui a ricordare e a festeggiare la storia di questi otto decenni è perché la sentiamo come qualcosa di ancora nostro; ed è perché intuiamo, almeno confusamente, che il soggetto di tutte queste vicissitudini nella sua identità più autentica è rimasto sempre lo stesso.

Diventa allora più produttivo e più gratificante sottolineare ciò che è essenziale e perenne, ciò che non si è alterato e ha accomunato tutte le generazioni di giovani leviti che si sono succedute.

Sono state sì proposte strade diverse di accesso alla comprensione della parola di Dio, ma era sempre la stessa verità rivelata a rischiarare le menti e a riscaldare i cuori. Il Signore Gesù non ha mai cessato in questo tempo di affascinare e sedurre, ed è sempre stato al centro di ogni attenzione e di ogni affettività di quanti qui si sono in epoche diverse preparati a diventare dispensatori delle sue certezze salvifiche e dei suoi sacramenti. La Chiesa qui è sempre stata percepita – magari con accentuazioni mutevoli e varia terminologia – come sintesi inscindibile di “mistero” e di “istituzione”, come realtà santa composta di uomini fragili e peccatori, come fonte inesauribile per tutti di purificazione e di rinnovamento.

Qui non si è mai pensato che si potesse arrivare a un Vangelo più puro o a un cristianesimo più attuale e accettabile, contestando coloro che lo Spirito Santo ha posto a guidare e a pascere il gregge dei credenti.

Qui si è sempre mirato – sia pure con prospettive che potevano anche variare – a formare dei preti che rispondessero alle vere necessità spirituali dei fratelli e prima ancora, proprio in vista di questo traguardo, rispondessero alle attese di colui che li chiamava al ministero apostolico.

Tutto questo è ciò che qui, per grazia di Dio, non è mai venuto meno. Ed è ciò che con questa divina liturgia imploriamo che qui si mantenga intatto e vivace anche nel terzo millennio che sta per prendere inizio.

La Madonna di Loreto – che è stata la prima patrona del Seminario Regionale – col ricordo della Santa Casa dove il Figlio di Dio ha dato principio alla sua avventura umana, ci richiama l’evento dell’Incarnazione. Così ci dispone provvidenzialmente a celebrare la solennità del Natale e a iniziare la festa del bimillenario di Cristo.

E, a questo fine, offre alla nostra meditazione la pagina del Vangelo di Luca che ci descrive un incontro insolito e stupefacente: un incontro tra il cielo e la terra. Un angelo viene a dare all’umanità intera – personificata in Maria – una straordinaria notizia.

La notizia è questa: noi, contaminati e doloranti figli di Adamo, abbiamo “trovato grazia presso Dio” (cf Lc 1,30). Vale a dire: Dio ha pensato a noi e ha deciso di intervenire nella nostra storia.

Agli uomini, deboli e disanimati di fronte alle forze del male, questo intervento dall’alto significa concreta possibilità di salvezza. Dunque il tempo dello scoraggiamento e della paura è finito: “Non temere”(ib.), sussurra alla fanciulla, e quindi a tutti noi, la voce della creatura celeste.

Ha preso avvìo finalmente la stagione della gioia, perché il Signore è con noi: “Rallégrati, piena di grazia, il Signore è con te” (cf Lc 1,28). Quel Dio che talvolta ci appare remoto e quasi distratto di fronte alle nostre ansie e alle nostre pene, si è invece saldamente insediato nel cuore della vicenda umana, per difenderla dagli sbandamenti, per illuminarla con le ragioni del suo amore, per guidarla al suo giusto fine.

Dall’umile casa di Nazaret – oscura dimora di un borgo fino allora sconosciuto – è dunque cominciato a sbocciare il fiore della speranza.

Il nostro tempo ha saputo dare all’uomo tanti ritrovati mirabili: per esempio, la velocità negli spostamenti, la diffusione domiciliare delle notizie, i prodigi dell’informatica, nuove sorgenti di suoni e di frastuoni, nuove inesauste fabbriche di chimere e di sogni. La sola cosa che non ha saputo dare all’uomo è proprio la speranza, la quale anzi è andata nel mondo sempre più affievolendosi. La speranza è merce che si va facendo rara sul mercato dei valori oggi emergenti.

Ma per fortuna la speranza si può ancora attingere qui, da ciò che è avvenuto nella Santa Casa di Nazaret. Di qui si irradia la fiduciosa certezza che c’è sempre per tutti noi, se non lo rifiutiamo, un aiuto contro tutte le difficoltà e tutte le insidie.

Dall’annuncio che Dio si è fatto l’Enmmanuele, cioè il “Dio con noi” ci arriva il sollievo di sapere che ci sarà per tutti, se lo vogliamo, un approdo di pace e un lieto fine dopo questa corsa inquieta e insicura che è l’esistenza.

Da questo cenacolo di preghiera, di studio, di formazione integrale, escano sempre numerosi ed efficaci seminatori di questa speranza: la speranza che si è riaccesa sulla terra da quando lo Spirito Santo si è effuso a rendere feconde di verità e di grazia le nostre sterili vite; una speranza senza titubanze e senza incrinature, dal momento che ci è stato assicurato che “nulla è impossibile a Dio” (cf Lc 1,37).

10/12/1999
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