Intervento sul caso di Eluana Englaro

A quanto è dato fino a questo momento di sapere, l’ipotizzato ricovero di Eluana Englaro in una struttura sanitaria della nostra Regione sarebbe non per la vita ma per la soppressione della vita.

Come cristiano e come Vescovo – sicuro interprete anche dei miei confratelli dell’Emilia Romagna – debbo denunciare con ogni forza che il porre in essere una tale eventualità sarebbe un atto gravissimo in primo luogo contro Dio, Autore e Signore della vita; e poi contro ogni essere umano, che vedrebbe così violata, perché negata nei fatti e anche in linea di principio, quella dignità della persona che invece permane sempre, in ogni circostanza, e sopravvive alle più crude offese della malattia: persino nella estrema fragilità e impotenza di una condizione deprivata della coscienza.

La vita umana innocente non è un bene che si possa espropriare.

Come cittadino non posso non rilevare che anche la nostra Regione – come le altre – non può sciogliere nessuno dal dovere di ossequio sostanziale ai valori della nostra Carta Costituzionale, la quale né consente pratiche eutanasiche né ammette che si possa negare ad alcuno il sostegno vitale dell’alimentazione e dell’idratazione. Quando avviene che una società trasforma in licenza di uccidere, o di uccidersi, una legittima libertà di scelta del trattamento terapeutico, è tempo che quella società faccia una seria riflessione sul suo destino.

La Chiesa invita i fedeli – specialmente in occasione della imminente celebrazione della “Giornata per la vita” – a intensificare la preghiera perché sia alleviata la sofferenza ai familiari di Eluana e perché da tutti sia riconosciuto il valore fontale della vita, dono irrevocabile aperto a una prospettiva di immortalità.

19/01/2009
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