Le forze del bene nel matrimonio e nella famiglia

Abbiamo ancora una volta il dono e la gioia di ritrovarci assieme per meditare, per riflettere sulle gioie e le speranze, le tristezze e le angosce delle nostre comunità famigliari: per avere luce e forza nel cammino.

Conosco le vostre difficoltà. è per questo che vorrei che partiste da questo incontro con la gioia del Signore nel cuore: una gioia che permanga anche nelle vostre tribolazioni quotidiane.

Vorrei per questo riflettere con voi sulle forze positive che sostengono la vostra esperienza coniugale e famigliare.

Devo però spiegare subito che cosa intendo per «forze del bene». Non mi riferisco in primo luogo alla capacità morale dell’uomo, alla sua volontà di fare il bene: capacità, volontà che sappiamo essere stata gravemente ferita dal peccato originale e dai nostri peccati personali. Mi riferisco a quanto dice la Parola di Dio: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona» [Gen 1,31]. Ed ancora nel libro della Sapienza: «le creature del mondo sono sane, in esse non c’è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia è immortale» [1,13-15]. Quando parlo delle forze del bene che sono presenti nel vostro matrimonio e nella vostra famiglia, intendo parlare di tutta la positività insita nella vita matrimoniale e famigliare, presente nell’essere del matrimonio e della famiglia. Una positività, forze del bene che derivano dall’avere la loro sorgente nel gesto creativo di Dio: nella sua sapienza e nel suo amore creativo; che trovano la loro consistenza definitiva e piena in Cristo: nel suo atto redentivo.

Le forze del bene che nel matrimonio e nella famiglia agiscono sono quindi fondamentalmente due: la configurazione della persona umana «ad immagine e somiglianza di Dio», in quanto «Dio inscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione» [Es. Ap. Familiaris consortio 11,2]; la comunione con Cristo nella forma propria degli sposi. Tutta la positività presente nell’esperienza del matrimonio e della famiglia è costituita da quella configurazione ontologica propria della persona umana [cfr. Cost. past. Gaudium et Spes 12] e dalla relazione degli sposi con Cristo. Vorrei ora precisamente riflettere su ciascuna di queste due forze del bene.

1. [La configurazione della persona]. La più grande affermazione fatta dalla S. Scrittura sull’uomo è che egli è stato creato «ad immagine e somiglianza» di Dio. E’ questa la verità originaria della persona umana. Non si afferma con essa un ideale da raggiungere, ma si tratta del dono originario fatto dal Creatore all’uomo. Non è prima di tutto una meta proposta all’uomo, ma semplicemente è un dono fatto nell’atto creativo con cui Dio dà origine ad ogni persona umana. E’ questo dono che fonda la fedeltà di Dio all’uomo, ad ogni persona umana: fedeltà di Dio alla sua paternità «che fin dall’inizio si è espressa nella creazione del mondo, nella donazione all’uomo di tutta la ricchezza del creato, nel farlo “poco meno degli angeli” [Sal 8,6], in quanto creato “ad immagine e a somiglianza di Dio”» [Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptor hominis 9,1; EE 8/26].

Ma è necessario fare un passo ulteriore nella nostra riflessione: la persona umana è «ad immagine e somiglianza di Dio» anche in quanto porta inscritto nella sua umanità la relazione all’altro. L’uomo non è costitutivamente un individuo diviso da ogni altro: è persona «ad immagine e somiglianza di Dio» relazionata costitutivamente alle altre persone. Il significato di ciò che sto dicendo non è prima di tutto morale: l’uomo deve vivere in comunione con le altre persone umane. E’ ontologico: l’uomo è in relazione con le altre persone umane.

Questa costituzione comunionale della persona è significata originariamente dalla sessualità umana, dal fatto che la persona umana è uomo-donna. «Significata» ha qui il senso forte che solitamente ha nel vocabolario cristiano. Non si  tratta di un senso fissato convenzionalmente: si è da sempre convenuto che l’uomo esiste per la donna e reciprocamente, ma niente proibisce che la convenzione sia cambiata o semplicemente soppressa. L’essere uomo – l’essere donna è un fatto fisico-biologico che è portatore di una realtà personale; un fatto fisico-biologico in cui dimora un senso attinente alla verità della persona come tale. E’ un fatto [la divaricazione sessuale] che dice nel suo linguaggio proprio una verità essenziale sulla persona: il suo «non essere-bene» che resti sola, il suo essere fatta in modo tale da trovare nella comunione con le altre persone la pienezza del suo essere [= il suo bene]. Giovanni Paolo II parlerà, usando questa volta un termine esplicitamente cristiano, di un «sacramento originario o primordiale».

Da quanto detto deriva una conseguenza fondamentale riguardante la nostra persona: «L’amore è … la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano» [Es. Ap. Familiaris consortio, 11,2]. L’uomo è costituito in ordine all’amore: la sua natura è orientata all’amore. Ne consegue che, come ha scritto Giovanni Paolo II nell’Enc. Redemptor hominis, «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» [,10,1; EE 8/28].

E’ necessario però a questo punto che precisiamo bene questo punto. La definizione di uomo che stiamo elaborando non deve essere intesa nella luce di un’affermazione del primato dell’etica sull’ontologia. L’uomo non è definito da una esigenza, da un dovere, da una vocazione neppure: esso è definito dall’essere egli fatto in modo tale che l’amore ne indica la perfezione, il bene ultimo. E’ dentro a questa precisazione che si  comprende l’affermazione forse più profonda fatta dal Concilio Vaticano II sull’uomo: «Questa similitudine [= una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nell’amore] manifesta che l’uomo … non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé» [Cost. Past. Gaudium et Spes 24,4]. L’uomo può perdere il proprio «se stesso»: può cioè dilapidare la sua umanità e quindi compiere una pseudo-autorealizzazione. Questo sperpero accade quando non realizza se stesso nel dono di sé.

Questa configurazione della persona pone il problema dell’amore come il problema centrale riguardo all’uomo. La domanda di fondo non è «che cosa devo fare per amare una persona?», ma è «che cosa è l’amore?». Se non conosci la verità dell’amore non conosci la verità della persona.

Concludo la mia riflessione su quella che ho chiamato la prima forza del bene che agisce nella vostra comunità matrimoniale famigliare. Questa è sostenuta, generata originariamente non da mere convenzioni culturali e sociali, neppure ultimamente dalla vostra volontà. Essa scaturisce continuamente dalla costituzione stessa della vostra persona così come essa esce dalle mani creatrici di Dio: la prima forza del bene è costituita dalla forza dell’atto creativo.

2. [La relazione con Cristo]. La seconda forza del bene consiste nell’elevazione che Cristo ha fatto del matrimonio alla dignità di sacramento: è l’inserzione del matrimonio nell’economia della salvezza. Il Vaticano II insegna: «L’autentico amore coniugale è assunto nell’amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dall’azione santifica della Chiesa». [Cost. past. Gaudium et Spes 48,3]. E la Familiaris consortio: «La comunione d’amore tra Dio e gli uomini, contenuto fondamentale della Rivelazione e dell’esperienza di fede di Israele, trova una sua significativa espressione nell’alleanza sponsale, che si instaura fra l’uomo e la donna. E’ per questo che la parola centrale della Rivelazione, «Dio ama il suo popolo» viene pronunciata anche attraverso le parole vive e concrete con cui l’uomo e la donna si dicono il loro amore coniugale. Il loro vincolo diventa l’immagine e il simbolo dell’Alleanza che unisce Dio e il suo popolo» [12,1-2].

Per comprendere esattamente la collocazione del matrimonio e della famiglia dentro all’economia della salvezza sono necessarie alcune precisazioni.

Trattasi di una collocazione che sembra a prima vista fondarsi sopra la «similitudine»: l’esperienza coniugale entra nell’economia della salvezza in quanto mezzo espressivo della stessa, come linguaggio umanamente comprensivo del mistero dell’Alleanza. Vi entra a modo di «paragone». In realtà non è questo il modo giusto di capire. Si tratta di una vera e propria partecipazione di cui la coniugalità è dotata nei confronti del mistero dell’Alleanza. E’ questa l’essenza della sacramentalità propria del matrimonio di due battezzati. Dalla partecipazione deriva la similitudine, non viceversa: la partecipazione definisce l’ontologia del sacramento, la similitudine l’etica. Questo ordine va accuratamente custodito.

Ogni partecipazione consiste nel possedere in parte una perfezione che in se stessa è più ampia. La perfezione cui si riferisce il testo della Familiaris consortio è di volta in volta indicato con l’amore di Dio verso il suo popolo [12,2], Alleanza che unisce Dio e il suo popolo [ib.], lo Sposo (Cristo) che ama e si dona (13,1) sulla Croce. La perfezione è cioè quella insita nel dono che di sé ha fatto Cristo sulla Croce: «li amò eis télos» [Gv 13,1]. Dono di cui non si può pensare uno maggiore. La limitazione di questa perfezione negli sposi che pure ne partecipano realmente, è dovuta al fatto ovvio della loro creaturalità ed imperfezione morale.

La collocazione del matrimonio dentro all’economia della salvezza deve essere dunque vista nelle tre dimensioni che sono proprie del sacramento. E’ collocato nella storia della salvezza perché il matrimonio è memoriale dell’avvenimento centrale dell’economia salvifica, la morte-risurrezione del Signore; perché è attualizzazione dello stesso nel senso che l’effetto primo ed immediato della celebrazione sacramentale è il vincolo coniugale, partecipazione reale all’appartenenza reciproca di amore di Cristo colla Chiesa; perché è prolessi del compimento definitivo, quando Dio in Cristo sarà tutto in tutti (cfr. Familiaris Consortio 13,7-8).

Concludo la riflessione su quella che ho chiamato la seconda forza del bene che agisce nella vostra comunità matrimoniale e famigliare. Questa è sostenuta, generata dall’alto redentivo di Cristo sulla Croce in cui il matrimonio cristiano affonda le sue radici: è la grazia di Cristo che agisce negli sposi cristiani.

Una precisazione. Ho parlato di due forze. Ma in realtà esiste una profonda unità fra i due atti, quello creativo di Dio e quello redentivo di Cristo. Nel sacrificio redentivo di Cristo si svela interamente quel disegno che Dio ha impresso nell’umanità dell’uomo e della donna, fin dalla loro creazione.

CONCLUSIONE

Come è possibile far agire nel proprio matrimonio e famiglia le forze del bene ed immunizzarci dalle forze del male? La risposta è semplice e grande: vivendo realmente dentro la Chiesa in modo tale che il mistero della Chiesa viva dentro alla comunità matrimoniale e famigliare. La Chiesa è la dimora di Dio fra gli uomini e quindi il luogo della salvezza.

G. Bassani ha detto questo per contrarium ne Il giardino dei Finzi Contini: quella famiglia pensava che l’ideale fosse di vivere difesa dalle mura del grande parco, autonoma ed autosufficiente, ma poi viene travolta.

E  la forma più alta della vostra partecipazione alla vita della Chiesa è l’Eucarestia della domenica: che stupendo spettacolo è la partecipazione di tutta la famiglia assieme alla S. Messa festiva!

Ma esiste anche una “liturgia domestica”: momenti di preghiera in cui il “sacerdote domestico”, il padre, guida la preghiera. Nulla unisce la famiglia più che pregare insieme.

«Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza» [Sap 1,13-14]. Questa è la suprema certezza, la positività del reale; essa ha trovato la sua definitiva conferma nella Risurrezione di Cristo.

 

19/09/2004
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