memoria liturgica del beato don Ferdinando Maria Baccilieri

Parrocchia di S.Maria di Galeazza Pepoli

“Francesco, va’ e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina!”. Sono le parole che il Crocifisso di San Damiano rivolge al Poverello di Assisi; parole che gli feriscono santamente il cuore e gli assegnano la sua specifica vocazione entro la cristianità.

Non consta che il Beato Ferdinando Baccilieri il 14 giugno 1851 – all’atto di assumersi “per pochi giorni” (così gli era stato assicurato) la responsabilità della disastrata parrocchia di Galeazza – abbia avuta una esperienza simile a quella di san Francesco e abbia ascoltato lo stesso ordine dalle labbra del suo Signore.

Ma, se pur le parole divine non risonarono esternamente alle sue orecchie, è certo che il disegno del Padre celeste, che tutto dispone secondo una provvidenza amorosa e sapiente, gli riservava proprio quella medesima missione; e proprio quella medesima missione è andata rivelandosi al suo cuore in maniera sempre più chiara ed esigente nei molti decenni del suo sacerdozio. Possiamo anzi dire che la sua provata esistenza e l’intera sua azione pastorale – che qui si è esercitata per quarantadue anni, fino alla morte avvenuta il 13 luglio 1893 – sono state una intelligente e generosa risposta a questa inespressa ma intimamente reale e concreta chiamata di Dio.

Dobbiamo dunque riconoscere in don Ferdinando un infaticabile e incontentabile restauratore della “casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente” (cf 1 Tm 3,15), come la definisce san Paolo.

Sotto questo profilo, egli è un modello prezioso per ogni presbitero, perché la passione per la bellezza e la vitalità della Sposa è ciò che più fortemente deve connotare ogni partecipazione ministeriale alla donazione sponsale di Cristo per la “nazione santa” (cf 1 Pt 2,9).

Tutti i fedeli degni di questo nome, del resto, devono nutrire gli stessi sentimenti del Signore Gesù, il quale “ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa”, al fine di farsela comparire davanti senza macchia né ruga né alcunché di simile” (cf Ef 5,25-27). E credo che ai nostri giorni – nei quali la Sposa di Cristo è offesa e calunniata un po’ da tutte le parti – non ci sia atteggiamento più necessario e urgente da ravvivare, per la genuinità e la completezza del nostro essere cristiani, di questo affetto ecclesiale, caldo, tenace, operoso.

Don Baccilieri non era però uno spiritualista astratto che, tutto preso dai miraggi delle ideologie, ignorasse l’importanza delle strutture materiali. Egli sapeva che non è agevole far sorgere e sussistere una vera comunità, se questa non è accolta – laddove è appena possibile – in un edificio sacro solido e dignitoso; un edificio, cioè, che con il suo stesso decoro induca negli animi il pensiero della dimora celeste.

Lo stato miserando della chiesa di Galeazza non lo scoraggia. Al contrario, egli lo interpreta come un pressante invito e una sollecitazione a lavorare perché tutto risorga e gli spazi dedicati al culto di Dio trovino un rinnovato splendore. Così, sotto le sue cure l’antica costruzione si amplifica e si adorna, diventando al tempo stesso più bella e più funzionale. La posa in opera della pavimentazione, nell’estate del 1892 (a meno di un anno dalla sua morte), sarà il coronamento del radicale restauro, per il quale il buon parroco “aveva lottato, sofferto e sicuramente pregato” (M.G. Lucchetta p.39).

Il ripristino dell’ambiente esteriore, però, nella mente di don Ferdinando era solo il segno – indispensabile, ma secondario e da se solo insufficiente – della rinascita della “casa di Dio” più vera, che è la famiglia dei credenti nel Signore Gesù, illuminata dal suo Vangelo, nutrita dei suoi sacramenti, compaginata e vivificata dal fuoco della carità.

E proprio qui si manifesta la “genialità equilibrata” del Beato, che non va alla ricerca di ritrovati inediti e insoliti al fine di dare slancio religioso e morale alla sua parrocchia con iniziative clamorose e stupefacenti. Piuttosto egli attende a realizzare nella forma più eccellente e più intensa quanto era abitualmente proposto dalla pastorale del tempo.

Egli sa che non ci sono scorciatoie sui percorsi di una seria vita ecclesiale; ed è convinto che non serve vagheggiare voli arditi ed evasioni che dispensino dal seguire i ritmi obbligati di un apostolato, che voglia mantenersi aderente alla strada indicata dall’unico Salvatore del mondo, morto per noi e risorto.

La strategia del parroco di Galeazza non si discosta quindi da quella che nell’epoca postridentina, sotto il magistero e l’esempio soprattutto di san Carlo Borromeo, aveva generato schiere di santi e ridato vigore alla religiosità delle nostre popolazioni.

Tale strategia pastorale comportava: la proposta metodica e senza stanchezze della verità che ci salva, con la predicazione ben preparata, con le catechesi frequenti, con il ritorno periodico delle missioni al popolo; l’offerta insistente e persuasiva dei mezzi di grazia, e segnatamente del sacramento dell’eucaristia e del sacramento della riconciliazione; la contemplazione dei grandi misteri della fede con la devozione al Crocifisso, al Sacro Cuore, alla Vergine Addolorata, alla Sacra Famiglia; l’utilizzo delle molteplici associazioni, che stimolavano tra i laici il fervore e la reciproca emulazione; il richiamo alla legge evangelica dell’amore fraterno, attuata con una solidarietà fraterna, fattiva e discreta, a vantaggio dei più deoboli e di più bisognosi.

La lezione pratica dell’indimenticabile parroco di Galeazza resta ancora di rilevante e incontestabile attualità; e, segnatamente per i pastori, è un energico richiamo all’essenzialità e all’autenticità nello svolgimento del loro grande compito nella Chiesa.

A questo proposito, è utile e bello rimeditare quanto del nuovo Beato Giovanni Paolo II ha detto sinteticamente nella memorabile celebrazione del 3 ottobre 1999: “Da povero ëcurato di campagna’, come egli amava definirsi, dissodò le anime mediante la vigorosa predicazione, nella quale esprimeva la sua profonda convinzione interiore. Egli divenne così icona vivente del Buon Pastore”.

E nell’udienza ai pellegrini del giorno successivo felicemente aggiungeva: alla scuola di don Ferdinando Maria Baccilieri “è importante comprendere che seguire Cristo comporta necessariamente quella seria revisione di vita, alla quale egli esortava tutti, specialmente in occasione delle missioni parrocchiali. Sulla scia dei suoi esempi, cresca in quanti ne proseguono l’azione apostolica il desiderio di raggiungere le famiglie e i singoli fedeli, per offrire a ciascuno l’insegnamento luminoso del Vangelo”.

01/07/2000
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