solennità del corpus domini

Bologna, Piazza Maggiore

Siamo spiritualmente vicini e partecipi alla grande celebrazione in Roma del Congresso Eucaristico Internazionale, che in questi giorni si dimostra davvero il “cuore” e il culmine dello straordinario anno giubilare.

Con tutti i nostri fratelli di fede, anche noi vogliamo crescere nell’intelligenza affettuosa del sublime Dono di Dio: il “Corpo dato” e il “Sangue versato” che il Signore Gesù non si stanca di offrire al Padre per noi. E vogliamo crescere in questa “intelligenza affettuosa”, riflettendo un po’ su quanto la divina sapienza ci ha detto nel rito che ha avviato la nostra convocazione.

C’è una parola che risplende da tutte e tre le pagine sacre che abbiamo ascoltato nella celebrazione eucaristica di questa sera; ed è la parola “alleanza”. La divina Rivelazione ha desunto questo concetto dalle consuetudini sociali e politiche universalmente diffuse nei popoli antichi, e l’ha collocato al centro del suo messaggio di salvezza.

Il nostro Dio non si è accontentato di dare origine all’universo per poi richiudersi nella sua trascendenza inaccessibile: al contrario, è entrato appassionatamente e si è lasciato implicare nelle vicissitudini umane, fino a legarsi con la progenie di Adamo mediante un patto; un patto inauditamente quasi paritetico e bilaterale.

Questo patto – questo vincolo tra gli uomini e il loro Creatore – ha avuto una sua storia; una storia, che solo con il Cristo Redentore, crocifisso, risorto e asceso al cielo, ha toccato un approdo definitivo.

Tale storia, cominciata con le promesse fatte ad Abramo, raggiunge un primo traguardo, importante ma provvisorio, con l’alleanza ritualmente stipulata nel deserto tra Dio e Israele (di cui ci ha parlato la prima lettura). Essa, come tutte le alleanze, comportava l’impegno delle parti alla reciproca fedeltà. E basta questa esperienza fondante, del tutto singolare, a fare dell’ebraismo un caso assolutamente inconfrontabile entro la varietà delle possibili religioni.

L’alleanza ratificata ai piedi del Sinai era figura, primizia, profezia di ciò che sarebbe avvenuto; e, come tale, è stata provvidenziale e preziosa. Ma proprio perché era profezia, primizia, figura, non era destinata a durare. Un evento eccedente ogni attesa e ogni speranza ha determinato una svolta radicale in questa vicenda e ha concluso il lungo itinerario dell’approssimarsi di Dio alle sue creature: e cioè il sacrificio di redenzione celebrato e offerto da Cristo. Tale sacrificio ha sancito quella che egli stesso, istituendo l’eucaristia, chiama “la nuova alleanza nel mio sangue” (cf 1 Cor 11,25; Lc 22,20).

“Dicendo alleanza nuova – commenta la lettera agli Ebrei, ed è parola di Dio che non ci è concesso di disattendere, nemmeno per generosità di dialogo – ha dichiarato antiquata la prima; ora, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a sparire” (Eb 8,13).

Unica, imperitura, senza altre soluzioni alternative, è dunque l’economia di salvezza incentrata sulla croce e sulla grazia di Cristo, nella quale tutti siamo felicemente coinvolti, dal momento che il “sommo sacerdote dei beni futuri”con il proprio sangue è entrato una volta per tutte nel santuario” celeste (cf Eb 9,11-12). E là, intronizzato alla destra del Padre, rimane a garanzia che finalmente si tratta di un’alleanza eterna, quale che sia l’ampiezza della corrispondenza umana alla divina predilezione. Perché il permanere dell’alleanza stavolta dipende non dalla nostra sempre insicura fedeltà, ma unicamente dalla fedeltà immancabile del Contraente divino.

Quasi per costringerci a non dimenticare mai questa nostra fortuna e per fornirci in modo stabile e concreto l’ispirazione, la norma viva, l’esempio del nostro agire e del nostro consistere come Chiesa nel mondo, il Signore Gesù ci ha elargito il dono sacramentale del “Corpo dato” e del “Sangue versato”, sotto i segni del pane e del vino.

Nell’eucaristia – ci insegna il Concilio Vaticano II, in perfetta conformità col Concilio Tridentino – si rende presente “l’unico sacrificio della nuova alleanza, cioè il sacrificio di Cristo, che una volta per tutte si offre al Padre quale vittima immolata” (Lumen gentium 28). E si rende presente “veramente, realmente e sostanzialmente” (cf De sanctissima eucharistia, can.1) lo stesso Gesù che, nella sua realtà teandrica (cioè divino-umana) è appunto l’alleanza nuova ed eterna resa persona: una persona vicina, da adorare instancabilmente e da amare.

Una cosa va subito detta: le alleanze tra i popoli erano sempre finalizzate alla guerra o quanto meno alla difesa armata; l’alleanza che ci costituisce “nazione santa e popolo che Dio si è acquistato” (cf 1 Pt 2,9) intende invece portare al mondo la pace, vuole diffondere lo spirito di fraternità, ha lo scopo di impiantare la civiltà dell’amore.

Che cosa abbiamo compiuto questa sera con la tradizionale processione del “Corpus Domini” per le vie della città, se non richiamare visivamente a Bologna che la sua storia, la sua cultura più autentica, la sua più incontestabile identità sono segnate indelebilmente da questa “alleanza nuova ed eterna” che vive e palpita nella realtà eucaristica?

L’augurio che oggi ci rivolge san Petronio, il nostro vescovo antico e sempre vivo – e con lui ci rivolgono tutti i nostri santi che dal cielo ci hanno contemplato sfilare per le strade di questa città amata – è che il percorso pacifico e orante di stasera abbia ravvivato nei credenti la gioia della loro appartenenza a Cristo, il grande Mediatore: Mediatore e legame vitale tra le nostre brevi, povere, deludenti esistenze, e il Dio onnipotente e immenso, il Padre ricco di misericordia, l’Artefice di ogni speranza. L’augurio è che questo gesto semplice e consueto abbia risvegliato la fede ardente dei padri nei cuori assopiti dei figli. L’augurio è che questa annuale celebrazione abbia in tutti gli animi retti ispirato pensieri e propositi di pace.

Per affrontare serenamente le incognite del nuovo secolo, questa città ha soprattutto bisogno di pace, ha bisogno di concordia operosa, ha bisogno di riconquistare una convivenza civile preservata da ogni violenza.

La violenza, in ogni suo aspetto e quali che siano le sue motivazioni, è incompatibile con il dono dell’ “alleanza nuova ed eterna”. Va perciò rifiutata sotto qualunque forma essa si presenti, anche quella chiassosa, eccessiva e del tutto inconcludente che ogni tanto ritorna a turbare la tranquilla laboriosità di questo popolo.

In ogni caso, il cristiano non può non essere fieramente avverso alla metodologia dell’odio, al consenso strappato col terrore o col ricatto, alla licenza di insultare e di minacciare, all’arbitrio di danneggiare impunemente le persone e le cose.

Egli sa che non gli è lecito discostarsi dall’insegnamento del Signore Gesù, il quale non ha inflitto violenza ma l’ha subita, non ha ucciso ma è morto lui per dare la vita, ha salvato il mondo non con la forza, l’ideologia, la prepotenza, ma con il sacrificio e l’amore.

Chi appartiene al gregge di Cristo, pur nella sua connaturale mitezza è un nemico aperto di ogni aggressività, di ogni sopraffazione, di ogni sopruso, di ogni gesto vandalico; in una parola, chi appartiene al gregge di Cristo è un “partigiano” convinto del Dio della pace.

Perciò stasera dal mistero eucaristico, che abbiamo onorato e contemplato, risuona per tutti – non solo per i credenti, ma per quanti vivono, lavorano, soffrono in questa nostra benedetta città – l’auspicio con cui si conclude la lettera agli Ebrei: “Il Dio della pace, che ha fatto tornare dai morti il Signore Gesù, il Pastore grande delle pecore, per stabilire un’alleanza eterna, vi renda perfetti in ogni bene” (cf Eb 13,20-21). Amen.

22/06/2000
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