Mercoledì di Quaresima/4

Bologna, Arcivescovado

La Parola di Dio accende la nostra speranza, cioè la forza di trarre dal male un motivo per volerci ancora più bene e per cercare, faticosamente come ascolteremo da Giuliana che ha perso suo marito proprio per la pandemia, la luce, trovare la luce che illumina il buio, provare il vuoto di chi non c’è più ma sentire il legame che ci unisce, contemplare la comunione dei santi che inizia qui sulla terra, legame che la morte non può spezzare.

Il male è sempre subdolo e traditore. Giuliana ci racconterà di come il suo Giorgio era preparato perché pregava e lottava per la vita al Servizio accoglienza alla vita. Sì, ci prepariamo alla morte vivendo bene, sentendo l’amore di Dio, pregando e amando il prossimo, difendendo la vita iniziando da chi è più debole.

Oggi ricordiamo i tanti che sono nell’amore pieno di Dio, uniti nella comunione di amore con Dio che non li ha mai lasciati soli e preghiamo con tanta insistenza perché sia sconfitto il virus, per chi ne è colpito perché abbia guarigione, per il personale sanitario che con competenza, senza “fretta”, soffre con i familiari perché curi la vita e per noi tutti perché con responsabilità e solidarietà aiutiamo ad interrompere il contagio e superiamo con l’amore ogni isolamento.

Il profeta ci descrive una gioia grande, quella del ritorno del popolo di Israele dall’esilio e della ricostruzione di Gerusalemme. Anche noi ci sentiamo come deportati lontano dalla nostra vita abituale e ci troviamo nella condizione di sentirci stranieri in un mondo che ci sembra di non riconoscere più. A volte ci sentiamo stranieri con gli amici che si rivelano troppo distanti, incapaci di comprenderci per davvero, qualcuno indifferente o non vicino come avremmo bisogno.

Quando ci ammaliamo ci sentiamo stranieri nel nostro stesso corpo, come in esilio da questo perché non è più come lo conoscevamo, non risponde più ai nostri comandi e desideri, ci fa male, è brutto, ce ne vergogniamo, non ne sopportiamo l’odore, non lo riconosciamo più e non sappiamo più chi siamo.

L’esperienza della pandemia ci ha privato di molte abitudini, ce ne fa però scoprire altre e forse anche perdere quelle che ci facevano male. Ci siamo sentiti stranieri in quello che era nostro. Il peccato ci rende stranieri della nostra anima, perché il peccato fa male a noi oltre che al prossimo, perché rovina e offusca la nostra bellezza, ci rende complici con il male.

Nella prova, come di fronte alla manifestazione del male, ci possiamo sentire perduti come Sion che si interroga perché Dio ci ha abbandonati. Perché Dio non mi protegge, permette il male oppure, secondo alcuni, Lui stesso è causa del male che mi ha strappato una persona cara o mi fa disperare? La risposta del profeta è chiarissima: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,13-15).

In questa nostra condizione di carestia, proprio come il figlio giovane della parabola, che si ritrova nella difficoltà e sperimenta la durezza del mondo – certo non mandata dal padre per convincerlo con le “cattive” a tornare! – possiamo cambiare, cioè rientrare in noi e decidere di tornare alla casa del Padre, dove non avremo più né fame né sete. Il padre non si era affatto dimenticato del figlio, lo aspettava sempre, non vedeva l’ora di abbracciarlo.

Posso dimenticarmi di mio figlio? Il padre gli dona subito di nuovo l’abbondanza che aveva perduto. È il frutto del perdono che ci può introdurre alla festa. Convertirsi è la proposta della Quaresima: non vuol dire sacrificio per meritare qualcosa, (anzi è proprio la fine del sacrificio di non avere nulla e sperimentare che per il mondo vale più il guadagno delle persone) quanto ritrovare la nostra casa, la veste e l’anello della nostra dignità, il vitello grasso della festa e soprattutto l’abbraccio del padre, insomma la misericordia di cui abbiamo bisogno.

Questa pandemia è come la deportazione del popolo di Israele. Il cambiamento è come ascoltare l’invito rivolto a noi prigionieri delle paure o del peccato: “Uscite”. Usciamo! Prepariamoci alla Pasqua! Non arrendiamoci al male! Possiamo uscire! Per Gesù niente è perduto. Cristo ci fa rivivere. La cosa importante è proprio questa, solo questa: prendere coscienza del suo grande amore, sentire in noi l’infaticabile misericordia con la quale Dio ci ha amato e ci ama. In questa Quaresima così vera e forte, purifichiamo i nostri occhi chiedendo e dando perdono, perché possiamo vedere lo sguardo pieno di amore, di misericordia di Gesù rivolto verso ciascuno di noi.

Dio ci strappa definitivamente dall’esilio, ci viene a prendere per renderci suoi, finalmente non stranieri perché amati per sempre da Lui che non si dimentica mai di noi, non ci abbandona nella prova. Lui la vive perché nell’ora della nostra prova lo sentiamo sempre dentro e accanto a noi!

17/03/2021
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