Messa alla Tre Giorni invernale del Clero

Ringrazio di questi giorni che ci fanno comprendere di nuovo, come una prima tappa del nostro Giubileo, quanto il Signore ha fatto con noi in questi anni. Sento sempre la presenza buona e rassicurante del nostro fratello maggiore Francesco, che ci aiuta a stare insieme nelle diverse stagioni della nostra vita, che ci mostra la gioia dell’amarci tra noi, di vivere con gioia la radicalità del Vangelo, che ci libera dalle nostre glosse personali, quelle che ci appesantiscono e allontanano dal cuore di Gesù. Con San Francesco impariamo ad essere minori con i minori, la nostra vera minoranza, l’umiltà, stare con gli ultimi e allo stesso tempo scrivere ai re e agli imperatori. Qui siamo aiutati ad affrontare le difficoltà con la perfetta letizia, liberi dal lamento perché pieni di amore, senza complessi, con tanta libertà, superando ogni confine e pregiudizio. Per San Francesco tutto era un dono che sapeva contemplare e cantare. E voleva che tutti lo sperimentassero e capissero la grandezza di Dio che rende bella la vita. Nel 1216 mentre era in preghiera nella chiesa della Porziuncola, il santo ebbe una visione di Gesù e della Madonna circondati da una schiera di angeli. Questi gli chiesero quale grazia desiderasse avendo tanto pregato per i peccatori. Francesco rispose domandando che fosse concesso il perdono completo di tutte le colpe a coloro che, confessati e pentiti, visitassero la Porziuncola. Sognava che la sua casa fosse per tutti, e che per tutti fosse luogo di misericordia, di affrancamento dal peccato, cioè dal male.

Sappiamo che San Francesco si presentò a Papa Onorio III e chiese un’indulgenza senza oboli. Quindi per tutti. Il Papa rispose: “Questo, stando alla consuetudine, non si può fare, poiché è opportuno che colui che chiede un’Indulgenza la meriti stendendo la mano ad aiutare, ma tuttavia indicami quanti anni vuoi che io fissi riguardo all’Indulgenza”. San Francesco gli rispose: “Santo Padre, piaccia alla vostra santità concedermi, non anni, ma anime”. Ed il Papa riprese: “In che modo vuoi delle anime?”. Il beato Francesco rispose: “Santo Padre, voglio, se ciò piace alla vostra santità, che quanti verranno a questa chiesa confessati, pentiti e, come conviene, assolti dal sacerdote, siano liberati dalla colpa e dalla pena in cielo e in terra, dal giorno del battesimo al giorno ed all’ora dell’entrata in questa chiesa”. Il Papa rispose: “Molto è ciò che chiedi, o Francesco; non è infatti consuetudine della Curia romana concedere una simile indulgenza”. Il beato Francesco rispose: “Signore, ciò che chiedo non viene da me, ma lo chiedo da parte di colui che mi ha mandato, il Signore Gesù Cristo”. Il Papa, raccontano le fonti, senza indugio proruppe dicendo tre volte: “Ordino che tu l’abbia”. Gratuità dell’amore e libertà della Chiesa.

L’apostolo Giovanni ci ricorda come Dio ci ha amati e così come noi ci amiamo. Il nostro non è un amore qualunque: viene da Dio e l’amore comunica altro amore, passa per il nostro e lo rende pieno. Non parliamo, infatti, di amore in maniera astratta, virtuale, senza la concretezza della nostra carne, che significa anche le contraddizioni della nostra vita. Non sono queste che preoccupano il Signore, che ben le conosce, quanto piuttosto la presunzione, la resistenza all’amore, l’autosufficienza, il restare gli stessi e non cambiare più. L’amore di Dio è sempre unito alla nostra umanità segnata dal limite. Gesù non colpevolizza, anzi ci riveste con la sua misericordia, ci ridona di essere davvero noi stessi e, come Lui vuole, figli che tornano in vita, alla vita. Gesù supere le distanze, non le mette! Siamo noi che per paura e diffidenza lo teniamo fuori dalla porta! Gesù non fa finta, non ci condanna ma nemmeno ci dice di essere quello che siamo, come se non dovessimo combattere contro l’istinto del nostro cuore. Ci insegna a vedere il peccato, a riconoscerlo e a liberarci dagli inganni del male che ce lo fa vedere ovunque o lo nasconde del tutto, come se ammetterlo sia condannarci mentre è esattamente il contrario. Chi affronta il peccato se ne libera, perché Dio è misericordia. Il confronto con il male, con l’oggettività del male, sembra inutile e pericoloso per una generazione così individualista e soggettiva come la nostra, che non sa comprenderne e riconoscerne le conseguenze nel prossimo e nella nostra stessa umanità. È la complicità con il principe del male. Se ci amiamo gli uni gli altri Dio rimane in noi e l’amore di Lui è perfetto in noi. Ed è proprio questo che sconcerta ma e ciò che ci aiuta a superare le pagliuzze e le travi.

Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, dice l’Apostolo. L’amore vince la paura, non perché non abbia timore di fare male, di deludere, ma perché l’amore supera il timore. Non amiamo perché siamo perfetti, ma amiamo così come siamo per diventare perfetti, perché amando da e come Lui siamo perdonati delle nostre contraddizioni e fragilità. Rimaniamo con Lui e Lui rimane con noi nella nostra ambiguità, come avvenne nella casa di Zaccheo con i suoi proventi illeciti da distribuire, o in quella di Levi con i suoi amici tutti peccatori e con i quali Gesù siede a tavola. Dopo che i cinquemila uomini furono saziati, Gesù si rimette in viaggio. I discepoli dimenticano facilmente come non serve una quantità enorme di pane ma il piccolo granello di senape della fede per realizzare quello che Gesù chiese e ci chiede, sfamare tutta la gente. Nel Vangelo parallelo i discepoli si erano dimenticati di prendere il pane salendo sulla barca e Gesù li mette in guardia dal lievito dei farisei e da quello di Erode. Noi diamo il lievito che può trasformare il pane. Gesù manda i discepoli da soli, senza di Lui. Li lascia soli, ma non sono soli! È un po’ come quando i nostri genitori ci lasciavano andare per sperimentare la nostra responsabilità e aiutarci se ci fossero state difficoltà. Gesù non possiede ma ama e ci fa essere noi stessi, non dei servi ma degli amici. Indica l’altra riva. La speranza è avere un luogo dove arrivare e che sappiamo c’è. Il cristiano è pieno di speranza per questo. Sono affaticati nel remare perché avevano il vento contrario.

Le nostre fatiche sono anche la condizione oggettiva. Il vento è presenza normale nella vita. Il Signore sembra un fantasma, distante dal nostro presente agitato da tante domande sulla nostra vita concreta, tanto da apparire una presenza inquietante, irreale, non tanto forte da difenderci. Sento anche per noi il forte invito del Vangelo: “Non abbiate paura!”. Gesù voleva andare più avanti, per preparare qualcosa per loro. Gesù è sempre avanti e ci spinge con fermezza e accoglienza. Gesù è la speranza che si fa accogliere nella nostra vita, è il futuro e il presente.  La Sua compagnia, poterlo prendere con noi. I suoi sacramenti e noi. I suoi sacramenti liberano dalla paura. La nostra speranza è quella che ci fa raggiungere il cielo e iniziare a contemplarlo oggi. “Non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito”. Perché non lo capiamo? Il peccato di uno nuoce anche agli altri, così come la santità di uno apporta beneficio agli altri. In tal modo i fedeli si prestano vicendevolmente l’aiuto per conseguire il loro fine soprannaturale. Giubileo è saper ringraziare e riconoscere gli immensi benefici che ha concesso a noi e alla sua Chiesa. Liberi dagli affanni, con una comprensione profonda, con un servizio sapienziale per implorare il Suo aiuto e riscoprire la gioia e la presenza di Dio nella vita delle persone. Capire l’attesa e riconoscere quella domanda di speranza, spirituale, da svelare, nella certezza che molti saranno i frutti. La conversione spirituale accresca il senso della Chiesa, e che di esso tutti prendano più chiara e fattiva coscienza.

Assisi, Basilica di Santa Maria degli Angeli
09/01/2025
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