messa crismale

Bologna, Cattedrale

La “messa del crisma” – azione di culto straordinaria, solenne, pervasa da una pacata e intima gioia – è un regalo della sapiente pedagogia della Chiesa. Ci è proposta quasi prologo e preparazione a quel “Sacro Triduo”, cuore dell’anno cristiano, che da stasera sarà al centro di un’attenzione affettuosa nelle innumerevoli case di Dio disseminate per il territorio bolognese e per tutto il mondo.

Questa varia e diffusa esperienza liturgica delle varie comunità dei fedeli comincia dunque da un’unica celebrazione, nella chiesa cattedrale che è la fonte di ogni giusta vitalità della diocesi; comincia da una celebrazione presieduta dal vescovo che è il principio visibile di attiva unità e di comunione, prima di tutto entro il presbiterio qui felicemente radunato e poi entro il popolo dei credenti; comincia da una celebrazione che vuol disporre le nostre menti a capire un po’ più profondamente nella sua verità il “mistero pasquale” e intende sollecitare i nostri animi a una più consapevole risposta di ammirazione e di gratitudine a quell’iniziativa redentrice del Padre, che in questi giorni ci verrà richiamata con eccezionale forza e intensità.

Prima dunque che nel Sacro Triduo ci abbandoniamo, sotto la guida e il magistero dei santi riti, alla contemplazione del grande evento salvifico – evento sostanziato di amore senza limiti e senza riserve, di donazione fino alla morte, di rivincita della vita risorta e sublimata – la messa crismale vuol ricordarci in anticipo l’indole propria e inalienabile del Protagonista di quell’azione di riscatto e di rinnovamento che ha trasfigurato l’universo, e pone in risalto davanti ai nostri occhi quale caratteristica sia evidente nella realtà risorta e trasfigurata che ne è il risultato.

L’indole propria e inalienabile del Protagonista è quella di essere un “consacrato”; e la caratteristica evidente del risultato della sua azione è di essere una “realtà sacra”.
Stamattina noi siamo perciò coinvolti in una specie di “festa della sacralità”. La Sposa di Cristo, che resta fedele all’insegnamento del suo Signore, non ha mai rinunciato per fortuna a proporre annualmente ai suoi figli questa “festa della sacralità” anche quando, in decenni ormai trascorsi, qualcuno in ossequio alle mode culturali del momento la esortava a “desacralizzarsi” il più possibile, per riconquistare (si diceva) una religiosità senza bardature, un’adorazione più autentica e più essenziale.

“ Lo Spirito del Signore è su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4,18).
Gesù è il primo dei consacrati e il principio di ogni altra realtà che è resa sacra. Con il prodigio dell’incarnazione, lo Spirito Santo (che noi oggi evochiamo ritualmente nel segno del crisma) ha ghermito una concreta natura di uomo dall’istante della sua concezione e l’ha strettamente congiunta alla ricchezza divina fino a renderla possesso inalienabile dell’Unigenito del Padre: è una consacrazione sostanziale che, iniziata nel grembo di Maria, ha raggiunto l’ultimo suo compimento nella gloria e nel conseguimento del dominio cosmico alla destra di Dio.

“ Egli riceve l’unzione dell’olio spirituale e della potenza celeste – scrive sant’Ambrogio – per vivificare la miseria della condizione umana con il tesoro eterno della sua risurrezione, allontana definitivamente la schiavitù delle anime, illumina la cecità dei cuori, predica quell’anno del Signore che si estende ormai all’intera corsa dei secoli” (In Lucam IV,45).
Proprio questa sua arcana ed essenziale sacralità è la ragione intrinseca dell’efficacia restauratrice di quanto egli ha detto, di quanto egli ha fatto, di quanto continua a operare nella storia e nei cuori. Gesù è l’unico necessario salvatore appunto perché è “il Cristo”, cioè colui che è stato “consacrato con l’unzione”.

Gesù, pontefice sommo ed eterno, non ha considerato questo stato di consacrazione come un suo bene esclusivo e incomunicabile, né ha voluto essere un “consacratore” chiuso in sé e solitario. Pur essendo pienamente adeguato e sufficiente all’opera di santificazione affidatagli dal Padre, ha deciso di associare a sé “con affetto di predilezione” (prefazio per l’ordinazione) una schiera di collaboratori, “dispensatori dei santi misteri, perché in ogni parte della terra sia offerto il sacrificio perfetto e con la parola e i sacramenti si edifichi la Chiesa, comunità della nuova alleanza e tempio della divina lode” (cfr. prefazio dell’ordine)

Oggi è perciò la festa anche di coloro che sono stati consacrati mediante il sacramento dell’ordine; una festa in cui essi sono invitati non solo a ravvivare i loro impegni e le loro promesse, ma anche a riscoprire e riassaporare il gusto e la bellezza della loro vocazione.
Con ardimento poetico oltre che con robusta fede nel proprio sacerdozio, sant’Ambrogio ha scritto: “Il giorno brilla di più quando noi celebriamo i sacri misteri” (De Ioseph 52: “Tunc plus dies lucet, quando sacramenta celebramus”).

Consacrati in virtù dello stesso Spirito che è sceso su Gesù di Nazaret, diventiamo anche noi – come Cristo, con Cristo e subordinatamente a Cristo – consacratori degli uomini e delle cose. Dal nostro ministero nasce e progressivamente si configura “la stirpe eletta, la nazione santa, il sacerdozio regale” (cfr. 1 Pt 2,9).

La messa crismale canta quindi anche la gioia del mondo riconsacrato ed esalta la dignità che proviene a tutti i discepoli di Cristo dalla loro consacrazione battesimale. “Tutti i figli della Chiesa sono sacerdoti”, dice icasticamente sant’Ambrogio (In Lucam V,33: “Omnes filii Ecclesiae sacerdotes sunt”), perché l’intera Sposa del Signore mutua dal suo Sposo la sua indole sacra.
Questa celebrazione ci è data anche come antidoto contro la tentazione di indulgere nella nostra mentalità e nel nostro comportamento a qualche forma di secolarismo e di profanità, che faccia dimenticare ai cristiani (preti o laici che siano) la loro assimilazione alla sacralità di Cristo e la loro connessione con il Sacerdote unico e vero.

Noi siamo oggi stupiti e gratificati dalla bellezza di questo disegno di Dio. Al tempo stesso però ci si stringe il cuore al pensiero dei molti nostri fratelli in umanità che ancora sono privi dello splendido dono della consacrazione battesimale e del sacerdozio regale. E’ una pena che immediatamente deve motivare in noi il proposito, da confermare e rinnovare in questa Settimana Santa, di obbedire con più sollecitudine e con più lucida convinzione all’estremo comando del Risorto: “Predicate il Vangelo a tutte le creature, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (cfr. Mc 16,15; Mt 28,19).

17/04/2003
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