1.«Lo Spirito del Signore è sopra di me … oggi si è adempiuta
questa Scrittura». L’applicazione delle parole profetiche che Cristo
fa a se stesso, ci introduce nel mistero della sua missione redentiva.
Attraverso le parole del profeta Cristo la descrive nel modo seguente: «mi
ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri
la liberazione e ai ciechi la vista.; per rimettere in libertà gli oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore». L’opera di Cristo è un
opera di annuncio di un lieto messaggio; è un’opera di liberazione
dei prigionieri e degli oppressi; è un’opera di illuminazione
di chi è cieco. Annunciare, liberare, illuminare sono le tre dimensioni
essenziali della missione redentiva di Cristo e della nostra partecipazione
sacramentale alla stessa.
Giunto alla fine della sua vita terrena, Gesù infatti ne farà come
un “riassunto” completo colle seguenti parole: «Io ti ho
glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da compiere… ho
manifestato il tuo nome agli uomini» [Gv 17,4-6]. L’opera da compiere
era di manifestare agli uomini il Nome: il Nome santo ed indicibile di Dio.
Era di svelare il Mistero come pienezza di misericordia, come compassionevole
cura dell’uomo: «ho manifestato il tuo nome agli uomini». è questo
annuncio-manifestazione che libera i prigionieri e gli oppressi; che illumina
e guida i ciechi. Libera l’uomo dall’oppressione di un enigma,
quello del suo esserci, che senza la manifestazione del Nome resterebbe inspiegabile;
illumina e guida il suo terreno pellegrinaggio, impedendo all’uomo di
trasformarlo in un vagabondaggio senza meta.
Ma ciò che caratterizza in maniera unica il compimento della sua missione
redentiva, è che in Gesù questa – la sua missione – si
identifica colla sua Persona, pienamente e completamente. Egli è l’Inviato,
e la sua presenza in mezzo a noi non ha altra ragione che la sua missione.
2.«Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio
sarete detti». Nel sacerdozio e nella missione redentiva di Cristo oggi
celebriamo anche il nostro sacerdozio che nel suo ha la sua origine, e di cui è partecipazione.
Questa partecipazione è posta in essere dallo Spirito Santo che ha
configurato la nostra persona a Cristo perché fossimo suoi servi per
la redenzione dell’uomo.
«Lo Spirito Santo del Signore è sopra di me, per questo mi ha
consacrato con l’unzione», ha detto Gesù di se stesso. In
Lui anche ciascuno di noi deve dire: «lo Spirito del Signore è sopra
di me, per questo mi ha consacrato con la unzione». All’origine
del nostro sacerdozio derivato sta lo stesso Spirito che è all’origine
del sacerdozio inderivato di Cristo. Lo stesso Spirito che ha unto il Cristo è stato
posto in ciascuno di noi, perché fossimo la presenza reale del sacerdozio
di Cristo in mezzo al nostro popolo. Siamo certamente vasi di creta, ma dentro
portiamo un tesoro mirabile. è il tesoro mirabile della mediazione redentiva
di Cristo; è il tesoro mirabile dell’unzione dello Spirito.
Se è lo stesso Spirito, questi intende inscrivere dentro alla nostra
quotidiana esistenza sacerdotale la stessa “logica” inscritta nell’esistenza
umana sacerdotale del Verbo incarnato. Questa «logica» può essere
espressa [colla lettera agli Ebrei] nel modo seguente: Cristo raggiunge la
perfezione del suo sacerdozio quando raggiunge la perfezione della sua condivisione
alla nostra condizione umana. è dentro a questa condivisione che avviene
la radicale trasformazione dell’uomo; morendo ha distrutto la morte,
poiché risorgendo ha ridato a noi la vita.
è questa la «logica» che lo Spirito Santo vuole inscrivere
dentro alla nostra esistenza. Siamo chiamati ad uscire completamente da noi
stessi per condividere pienamente la condizione dell’uomo che incontra
il nostro sacerdozio, anche quando siamo esposti al rifiuto e all’indifferenza.
Siamo spinti dallo Spirito ad abbandonare noi stessi, ad una radicale espropriazione
di se stessi per appartenere totalmente a Cristo che ci invia «per annunciare
ai poveri un lieto annuncio». è questo il senso profondo dell’obbedienza
a cui si siamo impegnati nel giorno dell’ordinazione, e la cui promessa
fra poco rinnoveremo. Lo Spirito Santo ci chiede di sedere a tavola coi peccatori,
per vivere una misteriosa comunione fraterna con essi, che ci dia il diritto
di intercedere in piena verità per loro.
I primi apostoli nel Getzemani non furono con Cristo dentro a questa condivisione;
essi non avevano ancora ottenuto lo Spirito Santo e non vegliarono con Lui.
Cristo agonizza fino alla fine del mondo, non lasciamolo solo: andiamo con
lui nella passione redentiva per l’uomo. Egli ci ha chiamati ad essere
con Lui nella grande opera redentiva; ci chiede di entrare con Lui nell’ora
della “grande prova”.
3.Come è possibile questa identificazione con Cristo redentore? Non
certamente in primo luogo mediante il nostro impegno morale ed ascetico. è l’Eucarestia
che imprime in noi la “forma di Cristo”, che ci dona la “mente”, “la
logica” di Cristo.
Carissimi fratelli, non possiamo meditare sul nostro sacerdozio senza
meditare sulla nostra celebrazione dell’Eucarestia. Siamo spinti a
questo anche dall’Anno eucaristico in corso. La qualità della
nostra vita sacerdotale dipende interamente dalla qualità delle nostre
celebrazioni eucaristiche.
La celebrazione dell’Eucarestia è la vera schola veritatis: è nella
sua luce che noi dobbiamo vedere l’uomo, ogni uomo affidato alle nostre
cure. Essa è la chiave interpretativa di tutta la realtà .
La celebrazione dell’Eucarestia è la vera schola libertatis: è in
essa che noi diveniamo liberi, perché diventiamo capaci di amare. E
la misura della nostra libertà è coestensiva alla misura della
nostra capacità di donarci.
Schola veritatis-schola libertatis: la nostra vita sacerdotale deve prendere
forma dall’Eucarestia. Dovremo certo riflettere sulla vita e sul ministero;
forse il bene dei fedeli ci chiederà anche riforme adeguate. Ma la linea
orientativa ed i criteri ci vengono dall’Eucarestia. Tutto il nostro
presbiterio deve prendere la forma dell’Eucarestia: testimonianza all’umanesimo
cristocentrico dell’Eucarestia.
Tutta la nostra teologia, tutta la nostra filosofia è riassunta, ricapitolata
nella celebrazione dell’Eucarestia. Radichiamo la nostra esistenza in
essa perché nel nostro cuore ci siano frutti permanenti di adorazione
del Padre in spirito e verità , e di stupore per la dignità dell’uomo
affidato alle nostre cure. Portiamoci dentro al costato di Cristo perché ogni
miseria umana faccia piaga al nostro cuore.
«Ti mi hai irrigato con la tua vita e io ho messo radici. Nutrito del
tuo Pane celeste, dissetato del tuo Sangue divino, mi hai reso intimo dell’Inaccessibile
e dell’Incomprensibile.
Tu m’hai dato il coraggio di fissare su di te i miei occhi di carne
e m’hai avvolto della luce della tua gloria. Hai permesso alle mie mani
impure e alle mie dita di carne d’avvicinarmi a te. Mi hai onorato, cenere
mortale e spregevole, quale un raggio di luce … e hai smorzato l’acuità del
mio sguardo quando, alzando gli occhi, li ho posti su di te» [Gregorio
di Narek, Preghiere (centone)].