messa di inizio anno per le scuole superiori

Bologna, Cattedrale

Nell’anno scolastico che avete da poco iniziato, voi ascolterete giorno dopo giorno tutta una lunga serie di lezioni. E spero che le frequenterete tutte con interesse e con impegno.
Ma anche stasera siete venuti qui per una “lezione”: una lezione diversa, una lezione insolita, una lezione fuori programma, ma una lezione seria, che certo vi disponete ad ascoltare con animo aperto e con intelligenza volonterosa.

Stasera siete stati convocati da colui che è il Maestro unico e imparagonabile, perché è anche il Signore dell’universo, della storia e dei cuori. Siete venuti a sentire che cosa ha da dirvi Gesù di Nazaret, il “Verbo” eterno del Padre, cioè la stessa sapienza di Dio che ha assunto volto e cuore di uomo. Nell’ultima cena egli ha detto agli apostoli (e dunque anche a noi): “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché io lo sono” (Gv 13,13).

Il tema della lezione di oggi – l’avrete capito dai passi che sono stati letti – è la “libertà”; ed è un tema che nessuno può disattendere o ignorare. Difatti ne parlano tutti: tutti esaltano la libertà nei loro discorsi e nei loro scritti. Almeno verbalmente la onorano tutti, persino quelli che nei confronti degli altri – con la violenza, i ricatti, persino le azioni terroristiche – tentano poi di sopraffarla o addirittura di distruggerla.

Ma “libertà” è anche una parola “cristiana”: è risonata dall’inizio insieme con l’annuncio evangelico. “Siete stati chiamati a libertà” (Gal 5,13), ci ha detto san Paolo. E prima ancora ci ha ricordato che l’azione di Cristo è stata essenzialmente una “liberazione” (cfr. Gal 5,1).
Il Signore Gesù si è affacciato alla ribalta della storia proprio come la piena e definitiva manifestazione del Dio liberatore, il Dio che “ha visitato e redento il suo popolo” (cfr Lc 1,68). Presentando nella sinagoga di Nazaret la sua missione, egli (con le parole del profeta) dichiara di essere stato mandato “per proclamare ai prigionieri la liberazione” e “per rimettere in libertà gli oppressi” (cfr. Lc 4,18).

Gesù ha trovato la più grossa difficoltà nello svolgere la sua azione liberatrice quando si è imbattuto in chi era convinto di essere già libero e perciò di non aver bisogno di lui. E’ il caso dei Giudei, di cui ci ha parlato la pagina evangelica: “Noi non siamo mai stati schiavi nessuno. Come puoi tu dire: diventerete liberi?” (cfr. Gv 8,33).
E’ una cosa che deve farci riflettere. Anche noi possiamo cadere nella stessa presunzione, che finirebbe col paralizzare, anche per noi come per i Giudei, l’azione divina di salvezza e di liberazione.

Viviamo in una società che si vanta di essere “permissiva”, dove possiamo dire e fare quello che vogliamo, sicché è facile illudersi di essere già pienamente liberi. Ma è proprio vero che le cose stiano così? E’ proprio vero che apparteniamo a un’umanità che non ha bisogno di essere redenta? O forse la verità è che noi, come persone singole, siamo piuttosto come dei burattini mossi e determinati da fili invisibili; invisibili, ma non per questo meno implacabili e condizionanti.
In realtà, se per un momento (mettendoci alla scuola di Cristo) riusciamo a vincere la tirannia dei luoghi comuni e delle persuasioni dogmatiche che ci sono imposte dalla cultura dominante, allora non facciamo fatica a individuare alcune cause ossessive e innegabili di uno stato di schiavitù nella quale corriamo tutti il pericolo di precipitare.

Una prima fonte di schiavitù, indicataci dalla parola di Dio è la “vuotezza”: “La creazione è sottoposta alla vuotezza (mataiòtes)” (Rm 8,20), osserva amaramente san Paolo.
L’esistenza è “vuota” quando è senza una mèta e senza un significato. L’uomo che non assegna un traguardo all’intero suo vivere e ritiene che i suoi giorni siano senza un perché, è tanto più schiavo quanto più ha l’illusione di essere libero. La sua è la libertà del fuscello che danza nell’aria abbandonato a se stesso: sembra padrone di andare dove vuole, ma in effetti è in balìa di ogni soffio di vento.

Ogni forza prevalente lo domina, ogni esterno impulso decide del suo vagare.
Troppo spesso e da troppe cattedre ci viene proposta come strada a una desiderabile emancipazione e a una felice autonomìa lo smarrimento di ogni nostra radice, il ripudio di ogni finalità, il disconoscimento delle aspirazioni che sono intrinseche al nostro essere. Molti che sembrano “profeti di libertà”, originali e spregiudicati, in realtà sono soltanto degli incauti e ripetitivi imbonitori della servitù interiore, della vuotezza, del nulla.

Una seconda fonte di schiavitù è la menzogna. La straripante presenza nel mondo della menzogna è il segno dell’artiglio di Satana, il quale – ci ha detto Gesù – “è menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44); e appunto attraverso la diffusione della menzogna egli attenta nel modo più sottile e insidioso alla nostra sostanziale libertà. Perciò abbiamo sentito il Signore affermare: “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32).

Noi viviamo avvolti e intrigati da una menzogna multiforme. C’è la menzogna “teoretica” circa l’uomo, il suo destino, la sua natura: di essa sono intessuti troppi degli indottrinamenti e delle regole di comportamento che da varie parti quotidianamente giungono alle nostre orecchie. C’è poi la menzogna “morale”, quella riprovata dalla severa parola del profeta Isaia: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre” (Is 5,20). E c’è infine la menzogna “storica”, che imperversa per esempio nelle presentazioni convenzionali, spesso anacronistiche, ideologiche, sostanzialmente acritiche del Medio Evo o nelle interpretazioni delle vicende secolari della Chiesa.

Il capolavoro del “padre della menzogna” è però quello di essere riuscito a diffondere la convinzione che tutto è relativo e non ci sono verità assolute, sicché tutto è confuso, mescolato, alterabile.
Ma se non si può distinguere il vero dal falso e il giusto dall’ingiusto; se non si riesce ad appurare con sicurezza ciò che si può e ciò che non si può fare, non si può nemmeno decidere ragionevolmente. E se non si può decidere ragionevolmente, non si è più uomini liberi.
La perdita delle certezze comporta sempre la perdita della libertà; e la perdita della libertà finisce sempre con l’avvantaggiare i furbi, i prepotenti, gli uomini sciagurati che mirano a diventare padroni di uomini.

La terza fonte di schiavitù è il peccato: “Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato” (Gv 8,34). La quotidiana esperienza dell’uomo, quando non è censurata da ideologie interessate e arbitrarie, comprova da sempre questa limpida e netta affermazione di Cristo.
Si comincia a peccare magari solo per curiosità o per sentirsi forti e pronti a ogni trasgressione; si continua per debolezza e per incapacità di smettere; e si finisce col peccare per disperazione, perché ormai non si riesce a rompere delle catene che diventano sempre più opprimenti e angosciose.

A questo punto è facile che ci si sforzi di persuaderci, autoingannandoci, che il peccato non c’è, ed è solo untabù da abbattere o almeno da superare.
Così l’uomo, credendo di affermarsi come l’assoluto e svincolato signore di se stesso, diventa lo schiavo e lo zimbello delle forze del male. Il tragico immancabile itinerario alla disperazione e alla morte di chi sventuratamente inizia a drogarsi, è una spaventosa conferma di questa verità e un orribile esempio di questa spietata logica del demonio, il quale – ci ha detto Gesù – è “omicida fin da principio” (cfr. Gv 8,44).

Per fortuna, di fronte a tutte queste schiavitù noi non siamo senza aiuto, senza difesa, senza rimedio, senza speranza. Abbiamo un Liberatore, che ci ha liberati riscattandoci a prezzo del suo sangue. Nessuna forza malvagia, nessuna umana stupidità, osi perciò attentare a una libertà che è costata così tanto: “Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini!” (1 Cor 7,23), ci dice san Paolo, e noi non vogliamo dimenticarlo.

10/10/2002
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