ordinazione diaconale

Bologna, Cattedrale

Che significa essere “diaconi”? Che significa entrare nell’ordine sacro con la specifica connotazione di “servi”? Possiamo farci utilmente aiutare nella comprensione di ciò che state per diventare, carissimi, e dei compiti che vi aspettano, da quanto ci ha detto san Paolo nella seconda lettura.
Il punto eminente ed essenziale è stato espresso da queste parole che qui sono risonate: “Siamo i vostri servitori per amore di Gesù” (2 Cor 4,5). Il testo originale greco è più preciso e significante, e dice: “Dià Iesùn” (“attraverso Gesù”). Si tratta cioè di un servizio ai fratelli che non è diretto e immediato, ma passa attraverso il solo che direttamente e immediatamente può e deve essere servito, perché “lui solo è il Signore”.

Gesù però, come abbiamo ascoltato, ha scelto di venire tra noi a servire e a dare la vita per il riscatto umano (cfr. Mt 20,28); e chi si dona a lui deve farsi partecipe di questo suo fondamentale programma.
L’adesione a Cristo sarà dunque il senso ultimo e, per così dire, la ragione sorgiva del vostro ministero.
Si spiega così perché coloro che, non avendo altri legami sponsali, ricevono l’ordine sacro, per ciò stesso si impegnano a vincolarsi e a fondersi col loro unico Sposo e Signore in una donazione totale e irrevocabile di tutto il loro essere, qual è il celibato di consacrazione.

E ancora così si spiega perché, tra gli obblighi inderogabili che oggi voi assumete, c’è quello di elevare quotidianamente quel cantico d’amore al Figlio di Dio e “al più bello tra i figli dell’uomo” (cfr. Sal 44,3), che è la liturgia delle ore.
Poiché Cristo si è fatto servo dei figli di Adamo in vista del loro vero bene e della loro salvezza, anche voi vi considererete – e non a parole, ma nei fatti e nei sacrifici – servitori dei vostri fratelli, ma sempre ai fini del loro bene autentico e della loro salvezza non effimera e non illusoria.

Badate: non ai fini di quello che essi ritengono il loro bene, ma ai fini di quello che il Signore vede e ha deciso che sia il loro bene.
Certo potrete anche mettervi in ascolto dei pareri degli uomini che incontrete e dei vari opinionisti mondani; purché però siate sempre ben decisi a restare fedeli agli insegnamenti dell’unico vero Maestro e ad accogliere le sue richieste di comportamento e di vita, anche quando esse non incontrano il favore della cultura prevalente.

Infine, poiché Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei (cfr. Ef 5,25), anche voi vi lascerete pervadere da questo supremo e onnicomprensivo amore del Signore Gesù per la sua Sposa “santa e innacolata” (cfr. Ef 5,27).

Voi dunque sarete sì servitori generosi dei fratelli, ma sempre “per la causa di Cristo”. Le altre “cause” – anche quelle che legittimamente motivano il comportamento dei cittadini – non sarano in modo primario e coinvolgente le vostre cause. Questo vuol dire, ad esempio, che i diaconi non vengono istituiti per fare i sociologi, i sindacalisti, i politici, i personaggi dello spettacolo, eccetera.

La vostra “causa” è – e dovrà sempre essere – Gesù Cristo, morto e risorto, Signore dell’universo, della storia e dei cuori: è una “causa” da annunciare con la parola e con l’intera esistenza, da comunicare vitalmente con la grazia implorata nella preghiera ed elargita nei sacramenti, da affermare e difendere con il vigore e l’integrità della fede, oltre che con l’ardore concreto e operoso della carità.

San Paolo suggerisce anche una serie di attenzioni, perché il vostro diaconato riesca davvero proficuo per gli uomini e degno di lode “al cospetto di Dio”.
C’è in primo luogo il proposito di camminare nel mondo da persone leali, senza doppiezze, senza “dissimulazioni vergognose”, lasciandovi guidare non dall’astuzia ma da un vivo e intemerato senso della giustizia (cfr. 2 Cor 4,2).

Poi c’è il coraggio di “annunziare apertamente la verità” (ib.), e prima ancora di amarla, perché amare la verità è amare Gesù che ha detto: “Io sono la verità” (cfr. Gv 14,6).
In special modo, proprio per amore della verità, bisogna guardarsi dal “falsificare la parola di Dio” (è anche questa una parola severa di san Paolo), neppure per favorire i luoghi comuni, oggi dominanti, dell’irenismo e del buonismo.

In sintesi, non dobbiamo mai dimenticare che “noi non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore” (cfr. 2 Cor 4,5).

Con questo rito e con la grazia di questa ordinazione il Signore Gesù vi manda nel mondo arricchiti di un’accresciuta comunione vitale con lui e investiti di un’alta e lusinghiera responsabilità: la responsabilità di essere portatori di una verità salvifica a un’umanità che sembra non avere più nessun riferimento oggettivo e illuminante; di essere seminatori di speranza in una terra sempre più smarrita e desolata; di essere operatori di pace sostanziale e di fraternità non retorica in mezzo a una selva di rancori, di incomprensioni, di chiacchiere inconcludenti.

E’ un tesoro quello che vi viene consegnato; ed è, da parte di Cristo, un atto eccezionale di fiducia e di predilezione.
Ma, ci ammonisce ancora san Paolo, “abbiamo questo tesoro in vasi di creta” (cfr. 2 Cor 4,7): è grande il tesoro, ma è grande anche la nostra fragilità.
La consapevolezza sempre acuta di tale fragilità vi consiglierà di non litigare mai con la virtù cristiana della prudenza; e quindi di non essere mai troppo disinvolti e incontrollati negli atteggiamenti, nelle frequentazioni, negli stessi ardimenti pastorali.

Soprattutto vi indurrà a essere assidui nella contemplazione del disegno integrale del Padre, entro il quale si colloca ogni prerogativa e ogni potestà che col diaconato vi viene assegnata.
E vi renderà instancabili nell’umile implorazione degli aiuti divini, in modo che rimaniate sempre esistenzialmente persuasi che “questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi” (ib.).

05/10/2002
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